Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12774 del 19/06/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 12774 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: TRICOMI LAURA

SENTENZA

sul ricorso 21757-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente •domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente 2015
1421

contro
UNIONE BANCHE ITALIANE PER IL FACTORING UBI FACTOR
SPA in persona del Presidente e legale rappresentantè
pro tempore, elettivamente domiciliato

in ROMA VIA

ANDREA VESALIO 22, presso lo studio dell’avvocato
NATALE IRTI, che 1o rappresenta e difende unitamente

Data pubblicazione: 19/06/2015

all’avvocato

ENZO BARAZZA

con procura notarile del

Not. Dr. PAOLO MENCHINI in MILANO rep. n. 68763 del
21/10/2009;

controricorrante

avverso la sentenza n. 40/2008 della

COMM.TRIB.REG.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/04/2015 dal Consigliere Dott. LAURA
TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MELONCELLI che ha
chiesto raccoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato ARNAUD per
delega dell’Avvocato IRTI che ha chiesto
l’inammissibilità o il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di TRIESTE, depositata il 07/07/2008;

3

RITENUTO IN FATTO

Per quanto interessa il presente giudizio, l’Agenzia aveva contestato ai fini IVA la
emissione di fatture per operazioni imponibili senza applicazione dell’imposta per
complessivi C.6.947.934,28, cui corrispondeva una imposta di €.1.389.587,00 e la
presentazione della dichiarazione IVA annuale infedele per €.1.389.587,00, con
conseguente ripresa a tassazione.
2. La ripresa, come si evince dall’avviso di accertamento trascritto nel ricorso
introduttivo del giudizio di cassazione, era stata motivata dal fatto che le operazioni
relative al factoring erano state considerate dalla società, nella loro totalità, esenti ex
art.10 del DPR n.633/1972. Secondo l’Ufficio, invece, la causa del contratto non
andava identificata solo nell’operazione di finanziamento o nel recupero dei crediti del
cedente, ma andava individuata nel rapporto concreto e tipizzato nei singoli accordi,
ove vi erano elementi costanti di gestione dei crediti del fornitore, attuati attraverso la
cessione dei crediti e, in alcuni casi, ma non necessariamente, con l’assunzione del
rischio contrattuale (cessione pro soluto). Sempre nella prospettazione dell’Ufficio,
nell’ambito di questa complessa operazione, la società, da un lato, percepiva un
compenso caratterizzato da “commissioni” per le attività svolte nell’ambito della
gestione e dell’incasso dei crediti e, dall’altro, la remunerazione sotto forma di
“interessi” dei capitali eventualmente anticipati: tali caratteristiche, a parere
dell’Ufficio, si ritrovavano nelle condizioni generali di contratto dove la società si
impegnava a svolgere una serie di attività a favore del fornitore, cedente dei crediti, ed
eventualmente provvedeva altresì a finanziare il cedente attraverso anticipazioni,
sull’incasso dei crediti, produttive di interessi.
Sosteneva l’Ufficio che l’unicità giuridica della prestazione del factor, individuata nel
sinallagma, non comportava necessariamente l’univoco assoggettamento al medesimo
regime fiscale. Mentre non poteva dubitarsi sulla esenzione dalla applicazione del
tributo per quanto riguardava gli “interessi”, ai sensi dell’alt 1°, comma 1 n.1, del
DPR n.633/1972, in quanto operazioni di finanziamento vero e proprio, non poteva
concludersi negli stessi termini anche per le “commissioni”, le quali costituivano di
fatto il corrispettivo di un’attività economica svolta dal factor e caratterizzata
essenzialmente dal sollevamento del cedente da tutte le attività di gestione,
contabilizzazione ed incasso del credito ceduto.
Secondo l’Ufficio la prestazione di servizio remunerata dalla “commissione” come
attività economica era imponibile ai fini IVA, non rientrando nell’ambito delle
operazioni “esenti”, costituite principalmente da operazioni di finanziamento, previste
dall’art.10 citato, norma eccezionale e di stretta interpretazione.
3. Il ricorso proposto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pordenone
veniva accolto con la sentenza n. 61/05/05. Nelle more del giudizio la società Veneta

R.G.N. 21757/2009
Cons. est. Laura Tricorni

I. Con avviso n. R55030501072 per IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno di imposta 2002
notificato in data 29.12.2004, l’Agenzia delle entrate, a seguito di processo verbale di
constatazione redatto da un funzionario dell’ufficio in data 27.10.04, aveva accertato
nei confronti di Veneta Factoring SPA maggiori imposte e sanzioni conseguenti ad
una serie di rilievi.

Factoring SPA aveva cessato la propria attività per effetto della incorporazione nella
società Compagnia di Banche Italiane per il Factoring SPA.

Con tale decisione, per quanto interessa il presente processo, il giudice di appello, nel
confermare la motivazione della sentenza di primo grado, affermava che, ai fini
dell’applicazione dell’IVA, era necessario distinguere — secondo quanto previsto dalla
Risoluzione n.139/E del 17.11.04 dell’Agenzia delle entrate, emessa a seguito della
sentenza della Corte di Giustizia C-305/01 del 26.06.03 — tra operazioni di recupero
dei crediti tassabili ed operazioni di natura finanziaria esenti / e ciò richiedeva una
specifica indagine che nel caso in esame non emergeva dai documenti depositati
dall’Ufficio in quanto mancava negli atti il collegamento tra la Commissione riscossa e
le prestazione del factor, nonché la disamina delle varie tipologie di commissioni.
Rilevava, quindi, la CTR che .
5. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La società contribuente resiste con controricorso, che illustra con memoria ex art.378
cpc.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Con il primo motivo l’Agenzia lamenta la violazione o falsa applicazione
dell’art.10, comma 1 n.1, del DPR n.633/1972, in relazione all’art.13, parte B, lett. D),
punto 3 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE per come
interpretato dalla Corte di Giustizia delle Comunità euopee nella sentenza n 26 giugno
2003, causa C-305/01 , MKG Kraftfahrzeuge — Factoring, nonché dell’art.12,
comma 1, del DPR n.633/1972 (art.360, comma 1 n.3, cpc), formulando il seguente
quesito “Dica codesta Ecc.ma Corte se, nel caso di una società che eserciti l’attività di
factoring, rendendosi cessionaria, in alcuni casi pro solvendo, in altri pro soluto, di
crediti trasferitile dai propri fornitori ed erogando ad essi, in un certo numero di casi
(corrispondenti circa al 60%) delle anticipazioni finanziarie sui crediti trasferiti,

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Cons. est. Laura Tricorni

4. Avverso la decisione di primo grado proponevano appello l’Agenzia delle entrate e
la società contribuente. Entrambi, riuniti, venivano respinti con la sentenza della
Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia n. 40/08/08, depositata il
07.07.08 e non notificata.

tuttavia percependo, indipendentemente dall’assunzione del rischio di insolvenza e
dalla corresponsione di anticipazioni, commissioni — che la stessa società stima in
misura pari a ca. il 21%- del fatturato del factoring — a fronte dell’impegno,
contrattualmente pattuito a:
– registrare i crediti oggetto di cessione su apposite evidenze, dandone periodica
informazione al fornitore ai fini del riepilogo dei crediti accettati in cessione nonché
all’aggiornamento sulle posizioni relative ai singoli debitori;
– incassare i crediti, inviando i solleciti ai debitori che presentino ritardi o irregolarità
nei pagamenti;
debba escludersi che alle commissioni medesime risulti applicabile la norma di
esenzione dall’IVA di cui all’art.10, comma 1, n.1) del DPR n.633/1972, in ragione
del fatto che tratterebbe del corrispettivo di operazioni strumentali, o comunque
meramente accessorie, a quella principale (esente) di finanziamento”.
In buona sostanza la Agenzia sostiene che la CTR ha errato nel ritenere che le
prestazioni fornite dal factor ed indicate nel quesito, remunerate con “commissioni”,
erano soggette al regime fiscale dell’esenzione applicabile all’attività di factoring, in
quanto le stesse non erano strumentali o accessorie al factoring.
1.2. Il motivo è inammissibile sotto molteplici profili.
1.3.1. E’ opportuno premettere brevemente il quadro normativo di riferimento,
integrato dagli interventi della Corte di Giustizia e dalla successiva elaborazione della
prassi amministrativa.
1.3.2. Il richiamato art. 10 del DPR n.63311972, dedicato a “Operazioni esenti
dall’imposta”, al comma 1 prevede “Sono esenti dall’imposta: 1) le prestazioni di
servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi
da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento; l’assunzione di impegni di
natura finanziaria, l’assunzione di fideiussioni e di altre garanzie e la gestione di
garanzie di crediti da parte dei concedenti; le dilazioni di pagamento, le operazioni,
compresa la negoziazione, relative a depositi di fondi, conti correnti, pagamenti,
giroconti, crediti e ad assegni o altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero di
crediti; la gestione di fondi comuni di investimento e di fondi pensione di cui al
decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, le dilazioni di pagamento e le gestioni
similari e il servizio bancoposta; (…)”.
Tale disposizione trae la sua fonte dall’art.13 della sesta direttiva del Consiglio 17
maggio 1977, 77/388/CEE, intitolato «Esenzioni all’interno del paese», che fa parte del
capo X, intitolato «Esenzioni», e che così dispone nella parte B, titolata “Altre
esenzioni” “Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano,
alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione
delle esenzioni sottoelencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
d) le operazioni seguenti: 1. la concessione e la negoziazione di crediti
nonché la gestione di crediti da parte di chi li ha concessi; (..) 3. le operazioni,
compresa la negoziazione, relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti,
ai giroconti, ai crediti, agli assegni e ad altri effetti commerciali, ad eccezione del
ricupero dei crediti; (…)”.

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Cons. est. Laura Tricorni

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1.3.4. L’art. 12 del DPR n.633/1972 titolato “Cessioni e prestazioni accessorie” quindi
dispone che “(1.)(…) le altre cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni
o ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero
per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti
fra le parti dell’operazione principale. (2) Se la cessione o prestazione principale e’
soggetta all’imposta, i corrispettivi delle cessioni o prestazioni accessorie imponibili
concorrono a formarne la base imponibile. “.

1.3.6. Orbene, sul tema della esenzione di imposta, proprio con riferimento al contratto
di factoring, la Corte di Giustizia CE si è pronunciata con la decisione, citata dalla
ricorrente, del 26 giugno 2003, causa C-305101, con la quale è pervenuta ad una
interpretazione della sesta direttiva che ha escluso l’applicabilità dell’esenzione al
contratto di factoring, affermando i seguenti principi “1)La sesta direttiva del
Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari ( Sistema
comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, dev’essere
interpretata nel senso che un operatore che acquisti crediti assumendo il rischio
d’insolvenza dei debitori e che, come corrispettivo, fatturi ai propri clienti una
commissione esercita un’attività economica ai sensi degli arti. 2 e 4 della stessa
direttiva, di modo che lo stesso ha la qualità di soggetto passivo ed ha quindi diritto
alla deduzione in forza dell’art. 17 di tale direttiva. 2)Un’attività economica, con cui un
operatore acquisti crediti assumendo il rischio d’insolvenza dei debitori e, come
corrispettivo, fatturi ai propri clienti una commissione, costituisce un “ricupero dei
crediti” ai sensi dell’art. 13, parte B, lett. d), punto 3, in fine, della sesta direttiva
77/388 e, pertanto, è esclusa dall’esenzione stabilita dalla stessa disposizione.”.
1.3.7. Tale decisione sostanzialmente ha equiparato il contratto di factoring al
“recupero crediti” e lo ha, quindi, escluso dal campo delle operazioni esenti, sulla base
della ricostruzione causale del contratto stesso; la sentenza non ha tuttavia esaminato,
né distinto specifiche prestazioni nell’ambito del contratto di factoring, né,
conseguentemente, ha individuato regimi fiscali differenti a seconda del tipo di
prestazione, come suggerisce la ricorrente nel caso di cui ci si occupa.
1.3.8. Questa sentenza della Corte di Giustizia non ha avuto una diretta ricaduta sul
sistema fiscale italiano in ragione delle differenze esistenti tra il contratto di diritto
tedesco esaminato dalla Corte di Giustizia e la disciplina contrattualistica italiana del
factoring, differenze evidenziate dalla Agenzia delle entrate, che ha colto l’occasione,
proprio a seguito della richiamata sentenza in causa C-305/01, per fare il punto sulle
questioni fiscali sottese al factoring.
1.3.9.1. L’Agenzia è infatti intervenuta fornendo alcuni chiarimenti in ordine al
trattamento fiscale da riservare alle operazioni di factoring ed alle distinte attività di
recupero del credito con la Risoluzione 139/E del 17 novembre 2004 e con la
Risoluzione n.32/E dell’11.03.2011.
1.3.9.2. Con la prima Risoluzione 139/E del 17 novembre 2004 ha escluso che le
conclusioni raggiunte dai giudici comunitari, in base alle quali l’attività di factoring è

R.G.N. 21757/2009
Cons. est. Laura Tricorni

1.3.5. In ragione di questo quadro normativo le operazioni di factoring, connotate da
una causa di finanziamento, sono state considerate in Italia esenti.

assimilabile all’attività di recupero crediti, siano automaticamente estensibili
all’ordinamento giuridico nazionale, sulla considerazione che il factoring ha avuto
un’evoluzione non uniforme a livello europeo e sovra-europeo e, più in particolare,
che la figura del factoring interno, pur non espressamente regolata in via normativa,
non è comunque assimilabile alla fattispecie esaminata dalla Corte, riferita
all’ordinamento tedesco. La Agenzia ha altresì convenuto, sulla scorta della
prevalente ricostruzione del factoring da parte di dottrina e giurisprudenza, che
l’attività in questione ha natura eminentemente finanziaria, tenuto conto tanto dei
soggetti legittimati ad esercitarla quanto della causa del negozio, ossia il
finanziamento, con la conseguenza che la stessa rientra tra le operazioni esenti di cui
all’articolo 10, comma l, n. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. 1.3.9.3.
Con la più recente Risoluzione l’Agenzia ha affermato che tale conclusione è stata
corroborata dalla successiva sentenza del 28 ottobre 2010 causa C-175/09 della Corte
di Giustizia ove è puntualizzato che, ai fini della qualificazione di un servizio quale
“recupero crediti” non rileva il fatto che esso sia fornito al momento della scadenza dei
crediti in questione. Ciò in quanto la formulazione della norma comunitaria — vale a
dire l’articolo 13, parte B, lettera 4, d), punto 3, della Direttiva 77/388/CEE, vigente
all’epoca dei fatti oggetto della causa, poi trasfuso nell’articolo 135, paragrafo 2,
lettera d) della Direttiva 2006/112/CE — “riguarda il recupero dei crediti di
qualsivoglia natura, senza restringere il suo campo di applicazione a crediti che non
erano soddisfatti al momento della loro scadenza. Peraltro il factoring, che in tutte le
sue forme rientra nella nozione di ‘ricupero dei crediti’ non è limitato a crediti rispetto
ai quali il debitore è già inadempiente. Esso può anche avere ad oggetto crediti non
ancora scaduti e che saranno pagati alla scadenza”, perché la pronuncia verte su una
fattispecie che evidenzia chiaramente le caratteristiche tipiche del recupero crediti,
piuttosto che quelle del factoring, in quanto il credito non forma oggetto di
trasferimento dal creditore originario al prestatore del servizio, il quale si limita ad
assumere “l’incarico del recupero di crediti per conto del titolare degli stessi” ed in tal
modo “libera i propri clienti da compiti che, senza il suo intervento, questi ultimi, in
qualità di creditori, dovrebbero effettuare da soli, compiti consistenti nel richiedere il
trasferimento di somme ad essi dovute attraverso il sistema di addebito diretto” (cfr.
punto 33 sentenza C-175/09).
1.3.9.3. Ed infatti l’Agenzia delle entrate conclude “Non può, pertanto, ritenersi
aderente all’ordinamento giuridico interno l’affermazione contenuta nel punto 34 della
causa C-175/09 secondo cui “il factoring … in tutte le sue forme rientra nella nozione
di ‘ricupero dei crediti’.
Sulla scorta di questa puntualizzazione, la Agenzia ha affermato che la individuazione
del regime fiscale applicabile in tema di factoring necessita l’esperimento di volta in
volta2kin’indagine che consenta di individuare la corretta natura dell’operazione
concretamente realizzata e la causa del contratto stipulato tra cedente e cessionario del
credito.
Quindi ha precisato che, se la causa del contratto consiste nell’ottenere da parte del
prestatore una gestione dei crediti rivolta essenzialmente al recupero degli stessi,
l’operazione è da qualificare come recupero crediti e come tale imponibile ai fini Iva.
Di contro, qualora il creditore, con la stipula di un contratto di factoring, vuole

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Cons. est. Laura Tricorni

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In proposito è significativo che la Agenzia sottolinei come la qualificazione della
operazione come finanziaria, piuttosto che come recupero crediti, possa prescindere
dalla circostanza che il compenso del factor venga eventualmente scomposto tra
commissioni ed interessi ovvero venga previsto un unico compenso in cui la
componente “commissioni” risulti prevalente rispetto alla componente “interessi”,
determinata in base a parametri di riferimento mediamente praticati sul mercato
ovvero in base ad altri criteri.
1.3.9.4. Passando quindi, da ultimo, ad esaminare le eventuali prestazioni aggiuntive
rese dal factor (ad esempio, analisi del portafoglio crediti, gestione dei crediti diversi
da quelli ceduti, ecc.) rispetto alla cessione del credito, la Agenzia nella ricordata
Risoluzione, conclude affermando che il contratto di factoiing non perde la sua natura
finanziaria, se per tali ulteriori prestazioni viene convenuto un autonomo corrispettivo
e che per tali prestazioni dovrà essere individuato caso per caso il regime IVA
applicabile.
1.3.10 Così ricostruito il quadro normativo, giurisprudenziale comunitario e la prassi
amministrativa, si deve concludere che l’esame da condurre per la individuazione del
corretto regime fiscale va, dunque, orientato sulla individuazione della causa del
contratto stipulato tra il cedente ed il cessionario del credito, sia in relazioni alle
prestazioni principali che alle prestazioni aggiuntive.
1.4. Ciò premesso, tornando al caso in esame, va rimarcato che il rilievo mosso
dall’Amministrazione finanziaria non ha riguardato tutte le prestazioni del contratto di
factoring, ma solo alcune, esemplificativamente indicate e qualificate come non
strumentali nel quesito. Risulta quindi di immediata evidenza la non stretta pertinenza
al caso di specie della decisione della Corte di Giustizia C-305/01 , atteso che la stessa
ricorrente non contesta la natura di operazione finanziaria del contratto di factoring,
sostanzialmente adeguandosi alla ricostruzione causale del contratto italiano accolta
nelle ricordate Risoluzioni dell’Agenzia delle entrate, e tantomeno individua gli
elementi di fatto che, nella sua prospettazione, avrebbero potuto consentire di
assimilare la fattispecie a quella esaminata dal giudice comunitario.
1.5. Risulta allora evidente che il punctum dolens riguarda solo la qualificazione della
prestazioni aggiuntive, come “strumentali” — e quindi soggette al regime delle
prestazioni principali ex art.12 del DPR n.633/1972, come ritenuto dalla Commissione
Regionale -, ovvero come “autonome” – e quindi soggette a normale imposizione IVA,
come prospettata dalla ricorrente Agenzia-.
1.6. Tale questione, tuttavia, non risulta attinta da adeguata censura: di qui la
pronuncia di inammissibilità del motivo.

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Cons. est. Laura Tricomi

ottenere un finanziamento (in pratica, una monetizzazione anticipata dei propri
crediti), per il quale paga una commissione che si atteggia, in linea di principio, alla
stregua di un pagamento di interessi (essendo solitamente quantificata in una
percentuale dell’ammontare dei crediti ceduti), allora appare evidente che il factoring
costituisce una vera e propria operazione finanziaria esente da Iva. In tale ipotesi, la
presenza di clausole diverse, pro soluto o pro solvendo, non incide sulla natura
finanziaria del contratto ma, verosimilmente, solo sulla determinazione della
commissione.

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1.7. E’ evidente che la ricorrente nel prospettare il motivo in esame non coglie la ratio
decidendi della decisione, fondata sull’accertamento in fatto della natura accessoria
delle prestazioni in esame e sulla esclusione di una loro autonomia, giacché, al
contrario, la Agenzia pone come presupposto del principio di diritto invocato proprio
la autonomia delle prestazioni stesse rispetto alla causa di finanziamento del factoring.

Invero la ricorrente oblitera che la CTR ha compiuto un accertamento di fatto in
merito alle cd, prestazioni remunerate con commissioni e ne ha escluso la natura
autonoma e rilevante di gestione dei crediti: ciò, sia sulla scorta delle condizioni
generali di contratto — che peraltro la ricorrente omette di trascrivere, sia pure nei
passaggi più significativi – in relazione alle quali ha affermato , sia
ribadendo che l’Ufficio, comunque, non aveva provato e documentato l’esistenza di
attività, autonoma e rilevante, di gestione dei crediti, attraverso l’individuazione di
specifiche e significative prestRzioni di tale natura, per cui .
Emerge altresì, una palese carenza sul piano dell’autosufficienza, in quanto la
ricorrente si limita ad assertive affermazioni sulla natura delle prestazioni senza
fornire, come già sottolineato, gli specifici ed individuanti elementi contrattuali sulla
scorta dei quali ha ritenuto di dedurne la autonomia e di sollevare i propri rilievi, e
senza illustrarne la significatività.
1.8. A ben vedere la censura sulla contestata qualificazione delle prestazioni de quo
agitur avrebbe potuto essere formulata quale violazione degli artt.1362 e ss del codice
civile, sull’intepretazione del contratto, mediante la specifica trascrizione dei passaggi
contrattuali inerenti il contenuto delle prestazioni, i reciprochi obblighi contrattuali
delle parti ed i collegamenti contrattuali tra le prestazioni principali e quelle agguntive
— ovvero l’assenza di collegamenti -, sintomatici di una diversa causa negoziale e
considerati rilevanti per qualificare come autonome le prestazioni agguntive rispetto
alla causa di finanziamento, di modo da consentire il vaglio di fondatezza della
doglianza.
Altrimenti – stante l’accertamento in fatto compiuto a tal proposito dalla Commissione
Regionale —, la censura avrebbe potuto essere sollevata quale vizio motivazionale ai

R.G.N. 21757/2009
Cons. est. Laura Tricorni

Va inoltre considerato che, sotto la veste della violazione di legge, la ricorrente
articola un motivo ed un quesito essenzialmente volto a pervenire ad una
qualificazione delle indicate prestazioni conforme a quella da sé medesima prospettata
ed in antitesi con le conclusioni raggiunte dalla CTR e poste a base della decisione.

2.1. Con il secondo motivo la ricorrente Agenzia lamenta la insufficiente motivazione
su un fatto controverso e decisivo, che invidivua nell’esistenza di una attività,
autonoma e rilevante di gestione dei crediti (art.360, comma 1 n.5, cpc) che riassume
con il seguente momento di sintesi ” Nel condurre il proprio giudizio di fatto sulla
realizzazione, nel contesto delle operazioni di factoring praticate dalla contribuente di
un’attività di gestione e riscossione dei crediti a fronte delle “commissioni” che la
contribuente aveva separatamente contabilizzato e addebitato ai propri clienti, la
Commissione regionale ha trascurato di rilevare che la circostanza non era stata
contestata, se. non in parte, dalla contribuente, la quale, per la restante parte, si era
limitata contestare la qualificazione di esse, ai fini del trattamento fiscale, contenuta
nell’atto impositivo, affermando che il regime IVA delle prestazioni in questione
dovesse seguire quello delle connesse operazioni finanziarie, rispetto alle quali le
prestazioni controverse dovevano, in tesi, considerarsi strumentali e/o accessorie”.
2.2. Anche questo motivo è inammissibile.
2.3.Innanzi tutto la circostanza che le prestazioni venissero separatamente
contabilizzate ed addebitate a clienti, su cui la ricorrente insiste, non appare decisiva
per escludere la loro strumentalità nell’ambito di un più ampio accordo contrattuale,
rispetto al quale risulta determinale la individuazione della causa del contratto stesso
alla luce delle rispettive prestazioni delle parti.
Sul punto va rilevato che nel porre la sua censura la Agenzia, trascura di considerare
che la Commissione Regionale ha congruamente motivato la sua decisione proprio
analizzando il profilo causale del contratto e delle prestazioni aggiuntive, sia con il
richiamo alle condizioni di contratto, sia tacciando di insufficienza probatoria
l’accertamento dell’Ufficio, di guisa che anche questo motivo non coglie la ratto
decidendi della decisione impugnata e mostra, altresì, una evidente carenza sul piano
dell’autosufficienza, in quanto la ricorrente si limita ad assertive affermazioni senza
fornire (come già sottolineato sub 1.7. ed 1.8.) gli specifici elementi contrattuali sulla
scorta dei quali ha ritenuto di dedurre la autonomia delle prestazioni e di sollevare i
propri rilievi e senza illustrarne la significatività. Inoltre la denunciata insufficienza
motivazionale non è accompagnata dalla esposizione degli elementi di fatto trascurati
o pretermessi.
3.1. In conclusione il ricorso va rigettato per inammissibilità dei motivi.
3.2. Le spese dél giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano a, carico
della Agenzia delle entrate nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione,
– rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi;

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Cons. est. Laura Tricorni

sensi dell’art.360, comma 1 n.5, cpc, mediante una adeguata e puntuale indicazione
degli elementi non valutati, ma ciò non è avvenuto nemmeno con il secondo motivo,
come di seguito verrà chiarito.

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– condanna la ricorrente Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese del giudizio di
legittimità che liquida nel compenso di £.12.000,00, oltre spese borsuali per E. 150,00,
IVA e CASSA.

Così deciso in Roma, camera di consiglio del 13 aprile 2015.

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