Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12770 del 22/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/05/2017, (ud. 16/03/2017, dep.22/05/2017),  n. 12770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10624-2016 proposto da:

S.M.A., S.P.E.B., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA A. VALLISNERI, 11, presso lo studio

dell’avvocato CHIARA PACIFICI, rappresentati e difesi dall’avvocato

ANTONIO GIUA;

– ricorrenti –

contro

SC.FR., F.V., SC.MA.IG.,

SC.GI.MA., nella loro qualità di Eredi del Sig. Sc.Si.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI BATTISTA

LUCIANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 82/2015 del TRIBUNALE di SASSARI, depositata

il 19/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/03/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso affidato a tre motivi, S.E.B. e S.M.A. hanno impugnato la sentenza del Tribunale di Sassari del 20 gennaio 2015 (confermata dall’ordinanza ex artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, del 23 febbraio 2016) che aveva accolto l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 612 cod. proc. civ., da Silvio Sc., dichiarando che i predetti S. non avevano diritto a procedere ad esecuzione forzata in base al titolo costituito dalla sentenza n. 207 del 2008 del Tribunale di Sassari (il cui dispositivo così recitava: “ordina al convenuto Sc.Si. di ripristinare il precedente stato dei luoghi, demolendo la volta edificata a copertura del pozzo luce di cui in espositiva, rimuovendo le opere realizzate a chiusura della porta finestra di accesso al ballatoio adiacente al primo piano del fabbricato degli attori, sito nella (OMISSIS), rilasciando il ballatoio medesimo nella disponibilità degli attori e chiudendo la porta finestra che gli consente l’accesso al predetto pozzo”);

che il Tribunale riteneva che lo Sc. aveva provato (in base alle deposizioni testimoniali) “di aver demolito il tetto in onduline sovrastante il ballatoio e di aver murato il varco occupato dalla porta finestra, eliminando quest’ultima”, quali opere che, nell’impossibilità (in base alla documentazione in atti) “di stabilire quale fosse l’originario stai dei luoghi”, dovevano reputarsi “idonee ad estinguere gli obblighi ripristinatori nascenti dalla sentenza n. 207/08”, là dove incombeva sulla parte opposta “la prova della insufficienza delle opere realizzate” e non già a mezzo di c.t.u. a carattere esplorativo;

che resistono con controricorso F.V., Sc.Gi.Ma., Sc.Fr. e Sc.Ma.Ig., quali eredi di Sc.Si.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che entrambe le parti hanno depositato memoria: i controricorrenti in data 13 marzo 2017;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Considerato preliminarmente che la memoria dei controricorrenti va dichiarata inammissibile in quanto tardivamente depositata rispetto al termine di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (cinque giorni prima dell’adunanza camerale);

che con i tre motivi di ricorso si deduce: 1) violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., per erronea attribuzione dell’onere probatorio in capo alla parte opposta; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ. e art. 12 preleggi, per mal governo delle regole di ermeneutica quanto alla portata del titolo esecutivo; 3) nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., per essere la stessa fondata su presupposti arbitrari nella valutazione delle testimonianze e del titolo esecutivo;

che i motivi – da potersi scrutinare congiuntamente – propongono censure in parte manifestamente infondate e in parte inammissibili;

che è principio consolidato quello per cui l’interpretazione del titolo esecutivo, consistente in una sentenza passata in giudicato, compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione, si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno” (in quanto assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della lite pendente davanti a quel giudice e che lo stesso avrebbe il dovere di decidere (se non fosse stata già decisa), bensì come titolo esecutivo e, pertanto, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto dell’esecuzione, senza che vi sia possibilità di contrasto tra giudicati, nè violazione del principio del ne bis in idem (tra le altre, Cass. n. 17482/2007; Cass. n. 15852/2010). Con l’ulteriore precisazione che una tale interpretazione può aversi anche in base agli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato, trattandosi di documento la cui funzione è soltanto quella di esprimere un giudizio, fermo restando che la valutazione della rilevanza ed idoneità di tali fonti d’integrazione extratestuale dell’accertamento contenuto nel titolo spetta al giudice di merito (Cass. n. 19641/2015);

che il Tribunale ha operato l’interpretazione del titolo esecutivo costituito dalla sentenza n. 207/2008 in forza di una esegesi congruamente correlata alla portata del suo dispositivo, rilevando, altresì, che proprio in forza delle risultanze probatorie acquisite in quel giudizio non era possibile avere contezza dello stato dei luoghi preesistente, così da gravare sulla parte opposta l’onere di dimostrare che le opere realizzate, di per sè idonee ad assolvere agli obblighi ripristinatori, non fossero tali rispetto allo status quo ante;

che, pertanto, non è dato apprezzare alcuna delle violazioni di legge dedotte, armonizzandosi la decisione impugnata in questa sede ai principi in tema di onere della prova e di interpretazione del titolo esecutivo, nè sussistendo l’evocata nullità in relazione all’art. 132 cod. proc. civ., giacchè la motivazione della sentenza stessa è ben lungi dall’essere apparente o dal palesare aporie insanabili, là dove, invece, sono le doglianze di parte ricorrente a veicolare critiche generiche e, in ogni caso, orientate ad una non consentita rivalutazione del merito della controversia;

che in tale ultima prospettiva si collocano anche i rilievi della memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale (che, in ogni caso, per la sua funzione meramente illustrativa, non può integrare carenze o emendare vizi dell’atto di impugnazione), assumendosi illogicità e travisamento di prove, che costituiscono profili neppure denunciabili in base all’art. 360 cod. proc. civ., vigente n. 5 nella specie applicabile ratione temporis, il quale è imperniato sull’omesso esame di fatto storico decisivo e non già su insufficienze o contraddittorietà motivazionali, anche in riferimento alla valutazione delle prove, nè tantomeno, e di per sè, sull’omesso esame di elementi istruttori;

che, pertanto, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 (e senza tenere conto della memoria depositata tardivamente).

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2017

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