Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12767 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/06/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 26/06/2020), n.12767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14259/2012 R.G. proposto da:

DIERRE AUTO s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’avvocato Evo Talone, elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’avv. Giovanni Moscarini in Roma,

via Sesto Rufo n. 23, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo n. 105/2011, depositata il 13 aprile 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Marco Dinapoli.

Fatto

RILEVATO

Che:

1.1 – Dierre Auto s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore R.D., impugna l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate di Ortona relativo all’anno di imposta 2004 con cui vengono accertate maggiori imposte (Iva e sanzioni) in relazione alle operazioni di acquisto di n. 5 autovetture dalla ditta Autoimport di D.M.P. Trading, fittiziamente interposta al solo fine di conseguire risparmi fiscali.

1.2 – La Commissione Tributaria Provinciale di Chieti accoglie il ricorso ritenendo che l’Amministrazione Finanziaria non avesse fornito alcun elemento in base al quale poter desumere che il cessionario fosse a conoscenza dell’attività fraudolenta del cedente.

1.3 – La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle entrate, rigetta il ricorso originario del contribuente, che condanna alle spese del doppio grado di giudizio, ritenendo che la società ricorrente fosse consapevole di partecipare ad una operazione fraudolenta, perchè aveva fornito al soggetto interposto la valuta necessaria per acquistare i veicoli dall’importatore, per altro ad un prezzo superiore a quello della successiva cessione alla Dierre Auto.

1.4 – Ricorre per cassazione la contribuente con due motivi e chiede la cassazione della sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione.

1.5 – L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e chiede respingersi il ricorso avverso, con ogni conseguente statuizione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

2.1 – Il primo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, art. 21, comma 7 e art. 60 bis, dell’art. 2697 c.p.c., dell’art. 1321 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) perchè non vi sarebbe prova in atti di un accordo simulatorio intervenuto fra le parti ed inoltre in sede penale è stata pronunziata sentenza di proscioglimento.

2.2 – Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) perchè la sentenza impugnata non avrebbe illustrato i motivi per cui la Dierre Auto s.r.l. non poteva ignorare la interposizione fittizia della D.M. trading ed inoltre non ha valutato la rilevanza della sentenza penale di assoluzione.

3. – Occorre premettere che le c.d. “frodi carosello” sono caratterizzate da un rapporto trilatero, in cui un soggetto economico fittiziamente interposto importa merce (in genere veicoli usati) da un venditore residente in un Paese comunitario in esenzione dall’Iva, e la rivende ad un terzo, apparentemente con aggravio dell’Iva, che però non versa, mentre il terzo la contabilizza in detrazione, in violazione del principio della neutralità dell’imposta.

4. – Questa Corte si è occupata ripetutamente degli aspetti tributari del fenomeno e dei criteri di ripartizione dell’onere della prova fra l’Amministrazione Finanziaria ed il contribuente formulando i principi di diritto che seguono, cui occorre dare continuità: 1) “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”; 2) “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” 3) “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. V 20 aprile 2018 n. 9851).

5. – La sentenza impugnata in questa sede appare rispettosa di tali principi, mentre sono inammissibili entrambi i motivi del ricorso proposto; perchè, nonostante la loro formulazione, in realtà contrastano la valutazione dei fatti di causa effettuata dalla sentenza impugnata, e mirano ad una rivisitazione in senso favorevole alla ricorrente del materiale probatorio acquisito, inammissibile in sede di legittimità. Inoltre la sentenza penale di cui si lamenta l’omessa valutazione non è allegata al ricorso nè si indica in quale fase e con quali modalità sia stata prodotta nel corso del giudizio di merito, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

6. – Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile, con le pronunzie che ne conseguono anche in tema di regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente Dierre Auto s.r.l. al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.300 (duemilatrecento) oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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