Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12766 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 10/06/2011), n.12766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

S.R., residente in

(OMISSIS), elettivamente domiciliato, nel giudizio di primo

grado, in Termini Imerese (PA) alla Via Luigi Einaudi n. 2 presso lo

studio del Dr. LUINI Francesco Saverio che lo rappresentava e

difendeva in quel grado;

– intimato –

avverso la sentenza n. 84/04/05 depositata il 20 ottobre 2005 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 febbraio 2011

dal Cons. Dr. Michele Dr ALONZO;

sentite le difese dell’Agenzia, perorate dall’avv. Alessandro DE

STEFANO (dell’Avvocatura Generale dello Stato);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.

LETTIERI Nicola, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato (nel domicilio eletto in primo grado) a S.R., l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che (2) “su disposizione della Procura della Repubblica … il Nucleo Regionale di Polizia Tributaria … di Palermo ha eseguito indagini sul conto di … Se.Ra. e R. per il reato di usura”; (2) “dalle indagini è(ra) emerso che gli indagati, oltre a gestire alcune società ed a stornare le relative provviste sui propri conti personali, utilizzavano svariati conti correnti aperti presso vari istituti di credito ed a loro intestati per compiere ingenti movimentazioni finanziarie attraverso operazioni di prestito, di riscossione di assegni e di sconto e rinnovazione di effetti (pagg. 1- 3 del p.v. di constatazione redatto in data 25 giugno 1997)”; (3) “taluni conti intestati agli indagati, residenti entrambi nel Comune di (OMISSIS), erano aperti presso gli stessi istituti di credito (Banco di Sicilia e Banca del Popolo, pagg. 1 e 2 p.v.c.)”;

(4) “dall’esame dei conti i verbalizzanti desumevano la sostanziale fungibilità dell’uno rispetto alle operazioni compiute dall’altro (pag. 3, righi 15 e 16, p.v.c.)”; (5) “nel corso delle indagini veniva acquisita la deposizione di … C.P. (contabile delle società gestite dai S.), L.G. (ex amministratore di una di tali società) e S.G. (cliente debitore degli indagati), i quali concordemente dichiaravano che i S. (al plurale) gestivano una contabilità parallela per svolgere, accanto alle attività ufficiali, una attività finanziaria occulta, praticando tassi usurai del 60% annuo circa (pag. 12 p.v.c.)”; (6) “sulla base delle prove raccolte, con sentenza del 25 luglio 1996 il Tribunale di Termini Imerese irrogava ai …

S., su richiesta da essi stessi formulata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena di anni uno e mesi due di reclusione e di L. 2.000.000 per i reati di cui agli artt. 62 bis, 81 cpv., 110, 612, 56, 629, 640, 644 e 644 bis c.p. (pag. 2 del p.v.c.)”; (7) “sulla base di autorizzazione ad utilizzare a fini fiscali i dati risultanti dall’indagine penale rilasciata dal competente Procuratore della Repubblica in data 13 giugno 1997, la Guardia di Finanza ha intrapreso una verifica fiscale nei confronti di … Se.

R. e R., quali soci di una società di fatto costituita e gestita occultamente per svolgere attività usuraie illecite”: “i verbalizzanti hanno ricostruito tutti i flussi finanziari risultanti dai conti a loro intestati, hanno eliminato le operazioni neutre (quali i giroconti) ed hanno ipotizzato la produzione di un reddito di impresa in misura pari al 60% degli accreditamenti (cosi depurati) risultanti dai predetti conti”; (8) “sulla base delle rilevazioni della Guardia di Finanza” l’Ufficio “ha notificato alla s.d.f.

Se.Ra. e R. un avviso di accertamento per l’anno 1993 ai fini ILOR, contestando un reddito non dichiarato di L. 1.815.093.000 quale importo degli interessi usurari percepiti al tasso del 60% sul capitale impiegato di L. 3.025.155. 000 risultante dall’analisi dei conti bancari”, in forza di tre motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 84/04/05 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia (depositata il 20 ottobre 2005) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (437/12/98) della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo la quale (secondo la ricorrente) aveva accolto il ricorso “sostenendo che mancherebbe la prova dell’esistenza della società di fatto”.

L’intimato non svolgeva attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. La sentenza impugnata.

A. La Commissione Tributaria Regionale – premesso che: (1) l’Ufficio aveva iscritto a ruolo in capo a S.R., ritenuto “socio della società di fatto intercorrente tra Se.Ra. e S.R.”, l’IRPEF che per l’anno 1993 derivava dall'”avviso di accertamento” con il quale, in base alle “risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza in data 25 giugno 1997, nel corso delle indagini svolte su delega del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese ai fini della ricostruzione dei flussi finanziari riconducibili ai soggetti sopraindicati”, “si asseriva la presenza” di detta società; (2) ” Se.Ra. e S.R. hanno impugnato l’avviso di accertamento … contestando l’esistenza della società di fatto” (“erroneamente ipotizzata … sulla scorta di elementi indiziari quali la documentazione bancaria e le dichiarazioni rese da certo C.P.”); (3) “l’Ufficio … ha proposto appello ribadendo la legittimità dell’iscrizione a ruolo” nonchè “dell’… accertamento da cui è scaturita l’iscrizione a ruolo”; (4) ” Se.Ra. e S.R. non si sono costituiti in questo grado”, pur ritenendo che “correttamente l’Ufficio ha proceduto all’iscrizione a ruolo … il debito tributario” (in quanto “scaturiva da un avviso di accertamento …

assoggettato a gravame” e “all’epoca non … ancora annullato”), ha respinto l’appello perchè l'”avviso di accertamento” costituente il “presupposto indispensabile della iscrizione a ruolo” è stato “annullato dalla Commissione Tributaria Provinciale” con “sentenza confermata” in appello.

p. 2. Il ricorso dell’Agenzia.

L’Agenzia – esposto aver ” Ra. e S.R.” (“presunti soci della società”) contestato “la sussistenza della società di fatto ipotizzata dai verbalizzanti” nonchè “dedotto” (2) che “l’impugnato avviso di accertamento sarebbe illegittimo perchè motivato per relationem al p.v.c. della Guardia di Finanza”, (2) che “nella verifica fiscale non sarebbero state osservate le disposizioni in materia di assistenza dell’imputato”, (3) che “l’accertamento si basava su dichiarazioni di terzi, asseritamente non utilizzabili” e (4) che “all’epoca dei fatti i proventi di attività illecita non costituivano reddito tassabile” – impugna la decisione per tre motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dell’art. 2247 c.c., e segg. e art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 654 c.p.p.”, nonchè “insufficiente ed illogica motivazione su punti decisivi della controversia”, esponendo:

– poichè “l’accertamento dell’Ufficio è fondato su alcune circostanze che devono ritenersi assolutamente pacifiche, perchè mai contestate” “in particolare … la circostanza che … Se.

R. e R. abbiano movimentato ingentissime risorse finanziarie per svolgere attività di finanziamento ad interessi usurai”, li come “risulta inequivocabilmente” dall'”analisi dei conti bancari ad essi intestati” e dalla “sentenza penale di condanna”), l'”affermazione dei giudici tributari, secondo cui l’Amministrazione avrebbe dovuto provare in termini particolarmente rigorosi l’esistenza di una società di fatto tra i due imputati di tale illecita attività attraverso elementi e circostanze evidenti …

specificamente riguardanti i suoi requisiti tipici, quali la costituzione di un fondo comune, l’attività comune, la partecipazione agli utili e alle perdite, il vincolo di collaborazione tra i soggetti, nonchè attraverso manifestazioni esteriori dell’attività di gruppo che per la loro sistematicità e concludenza evidenzino l’esistenza della società, anche nei rapporti interni”, “appare manifestamente illogica” in quanto, dovendo “il rigore della prova … essere posto in relazione con la natura dei fatti da provare”, “nel caso di svolgimento di un’attività penalmente illecita” (“quale è pacificamente quella svolta dai …

S.”) “è assurdo pretendere che il loro accordo si dovesse esteriorizzare in forme evidenti ed attraverso manifestazioni che per la loro sistematicità e concludenza evidenzino l’esistenza della società” in quanto “lo svolgimento di un’attività penalmente illecita si realizza per sua natura in forme occulte” per cui “non ha senso pretendere elementi evidenti e manifestazioni esterne dell’accordo associativo, sotto pena di rendere sostanzialmente impossibile la prova che si intende fornire”: “nel contesto sopra descritto”, quindi, “i giudici tributari avrebbero dovuto esigere prove meno apparenti e avrebbero dovuto meglio valorizzare, secondo il comune buon senso, gli elementi presuntivi emersi nel caso”;

– “questi elementi sono stati integralmente trascurati dai giudici a quibus, che si sono limitati ad esprimere inconferenti considerazioni astratte sul rigore della prova che avrebbe dovuto essere fornita dall’Ufficio”: “in particolare, la C.T.R. non ha considerato lo stretto rapporto di parentela esistente tra i … S.; la ristrettezza dell’ambiente nel quale operavano; l’identità del disegno delittuoso da essi posto in essere; la coincidenza delle condizioni di spazio e di tempo in cui essi hanno operato l’attività illecita loro ascritta; il contenuto delle concordi dichiarazioni rese da … C., L. e S.G. (certamente ammissibili nel rito tributario, per le ragioni che saranno meglio esplicitate nel successivo motivo di gravame), che hanno imputato promiscuamente ai … S. l’attività usuraia posta in essere”;

– “tutte queste circostanze apparivano logicamente idonee a far presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, l’esistenza di un pactum societatis, ancorchè non formalizzato in atti esteriori”.

La ricorrente aggiunge che “la C.T.R. ha … del tutto ignorato l’esito del processo penale celebrato a carico dei … S., sebbene l’art. 654 c.p.p., correttamente interpretato, consentisse loro di trarre elementi di valutazione e di giudizio”: “in particolare, essi hanno ignorato che ai … S. è stata contestata l’ipotesi del concorso, ex artt. 81 e 110 c.p.p., e che la condanna loro inflitta ha riconosciuto la sussistema del rapporto associativo”; “la circostanza che la condanna sia stata emessa a seguito di patteggiamento, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., implica anzi il sostanziale riconoscimento di tale circostanza da parte degli stessi imputati” (“l’omessa considerazione di questi elementi rilevanti integra certamente il vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 654 c.p.p., nonchè quello di omesso o insufficiente esame di punti decisivi della controversia”).

B. Con l’altro motivo l’Agenzia censura l’affermazione della “C.T.R.” secondo cui “l’accertamento sarebbe illegittimo anche perchè l’Ufficio avrebbe indebitamente determinato il reddito percepito nella misura del 60% dei capitali affluiti sui conti bancari dei …

S., mediante l’indebita utilizzazione delle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dai testimoni sentiti” e denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1972, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, e art. 39, comma 2, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7”, oltre che “insufficiente ed illogica motivazione su punti decisivi della controversia”, sostenendo che “l’accertamento avrebbe dovuto essere confermato anche nel quantum” perchè:

– “i giudici a quibus non hanno considerato che la determinazione del reddito mediante applicazione del tasso di interesse del 60% sull’ammontare dei versamenti affluiti sul conto, ha costituito una misura di favore per la società di fatto, perchè l’Ufficio era legittimato a recuperare a tassazione l’intero importo dei versamenti risultanti dai conti bancari, secondo il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1”;

– “la sentenza impugnata è manifestamente illegittima nella parte in cui nega validità probatoria alle concordi dichiarazioni rese dai testi sentiti dalla Guardia di Finanza in merito all’ammontare del tasso di interesse applicato (5% mensile circa)” in quanto (1) “la mancata dichiarazione dei redditi illecitamente percepiti legittimava l’Ufficio ad effettuare l’accertamento in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, ricorrendo anche ad elementi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza” e (2) “l’utilizzazione delle dichiarazioni rese dai recte: al verbalizzanti” è “perfettamente legittima” perchè “il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, si limita a vietare la testimonianza come mezzo istruttorio, e non pure come prova in senso sostanziale (cfr., tra le tante, Cass., 25 marzo 2002, n. 4269; Cass., 15 novembre 2000, n. 14774; Cass., 19 dicembre 1997, n. 12854; nonchè Corte Cost., 21 gennaio 2000, n. 18)”.

C. In terzo (ed ultimo) luogo l’Agenzia impugna la affermazione per la quale l'”insussistenza della società di fatto comporterebbe automaticamente l’integrale annullamento dell’accertamento eseguito nei confronti dei presunti soci” e denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2267 e 2293 c.c., e dei principi generali del contenzioso tributario” affermando che tale “ragionamento appare manifestamente erroneo” perchè “i redditi della società di fatto si identificano con la somma dei redditi accertati a carico dei singoli soci”, con la conseguenza che “una volta esclusa l’esistenza dell’accordo associativo, l’accertamento dei redditi di partecipazione imputati ai soci conserverebbe comunque validità, sia pure nei limiti dei redditi direttamente ascrivibili alla propria attività”.

Per la ricorrente, poi, “l’asserita illegittimità dell’accertamento, nella parte concernente la causale e la misura del reddito accertato, non esclude la responsabilità personale del socio, nei cui confronti l’accertamento è stato diretto quale componente della società, nei limiti dei redditi da lui direttamente prodotti ed a lui direttamente ascrivibili”: “questa tesi trova conforto nel principio generale” (“costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa … Corte”) “secondo cui il giudizio tributario non si riduce all’esame della legittimità formale dell’atto impugnato, si estende al marito del rapporto, essendo diretto a verificare la fondatezza della pretesa impositiva”: “in base a questo principio, la C.T.R. non poteva limitarsi a sostenere che l’atto impositivo conseguiva ad altro accertamento eseguito nei confronti di una società di fatto, ma avrebbe dovuto altresì verificare se potesse comunque affermarsi la personale responsabilità del socio ricorrente, nei limiti del maggior reddito a lui personalmente ascrivibile per 1′ attività da lui stesso compiuta. Sussistevano infatti tutti gli elementi di sostanza e di forma perchè l’accertamento potesse esplicare efficacia a questi più ridotti fini, perchè alla determinazione del reddito di partecipazione accertato concorre certamente il reddito prodotto in proprio”.

p. 3. Le ragioni della decisione.

Il ricorso è inammissibile.

A. In tale atto l’Agenzia scrive:

– pag. 5: “con sentenza n. 439/12/98 … l’adita C.T.P. … ha annullato l’accertamento, sostenendo che mancherebbero le prove dell’esistenza della società di fatto”;

– pag. 6: “con sentenza n. 81/4/05 la C.T.R. ha respinto 1′ appello con la seguente motivazione”; a detta pagina segue 1′ allegazione della fotoriproduzione delle quattro facciate che compongono la sentenza indicata.

B. I motivi di ricorso (innanzi riprodotti nella loro integralità proprio per evidenziare l’assoluta carenza di corrispondenza degli stessi con il concreto decisum) si rivelano congrui unicamente con il contenuto della decisione “n. 81/4/05” (impugnata con separato ricorso per cassazione; peraltro emessa sull’appello proposto avverso la decisione di primo grado n. “437/12/98” e non su quella n. “439/12/98″ richiamata dall’Agenzia) ma, come emerge dalla loro semplice lettura, non investono assolutamente la diversa, specifica ed autonoma (unica) ragione giuridica (l'”avviso di accertamento” costituisce il “presupposto indispensabile della iscrizione a ruolo”, per cui il suo annullamento, anche con sentenza non definitiva, determina l’illegittimità della iscrizione a ruolo fondata sullo stesso) per la quale, con la decisione n. 84/04/05 (oggetto di questo gravame), la medesima Commissione Tributaria Regionale ha confermato l’annullamento della cartella di pagamento già disposto dal giudice di primo grado.

Come ribadito ancora di recente da questa Corte (Cass., 3^, 12 ottobre 2010 n. 21013) “la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiest dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (ex multis, Cass. 07/11/2005, n. 21490; Cass. 24/02/2004, n. 3612; Cass. 23/05/2001, n. 7046)”: “l’inconferenza del motivo”, infatti, “comporta che l’eventuale accoglimento della censura risulta comunque privo di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidoneo a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass. Sez. Unite, 12/05/2008, n. 11650)”.

C. Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità in quanto l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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