Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12765 del 21/06/2016

Cassazione civile sez. trib., 21/06/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 21/06/2016), n.12765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.M.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 105/2009 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 12/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. MARULLI MARCO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO LUIGI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza in atti della CTR Campania che, rigettandone l’appello, ha confermato la decisione che in primo grado aveva ritenuto che l’efficacia dell’istanza di definizione L. n. 289 del 2002, ex art. 9-bis non venga meno nel caso in cui, come nella specie, il contribuente abbia effettuato tutti i versamenti nei termini ad eccezione dell’ultimo avvenuto con due giorni di ritardo.

La CTR ha motivato il proprio deliberato con la considerazione che “la norma non prevede espressamente” per il caso di inesatto adempimento la decadenza dal condono, sicchè, analogamente alle altre fattispecie di condono, “appare più aderente a criteri di logica giuridica ritenere che il legislatore abbia inteso escludere la decadenza anche in questa ipotesi”.

Il ricorso è affidato ad unico motivo.

Non ha svolto attività difensiva la parte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso, l’Agenzia ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9-bis, poichè, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di seconde cure, “il perfezionamento della definizione ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9-bis è subordinato per la mancata previsione di una norma di segno contrario come nelle altre ipotesi di condono richiamate in sentenza, all’integrale e tempestivo pagamento degli importi dovuti, siano essi versati in unica rata ovvero secondo le scadenze previste dal citato articolo”.

2.2. Sul presupposto che la materia imponibile attenga ad un prelievo in punto di IVA e di imposte dirette, il motivo si palesa fondato per ragioni pregiudiziali quanto alla prima imposta e per ragioni di nel merito quanto alle altre.

2.3. Invero, quanto agli effetti della disciplina agevolativa recata dalla L. n. 289 del 2002, sull’IVA, come questa Corte ha già osservato, le misure clemenziali che in tema di condono comportano una rinuncia definitiva dell’amministrazione alla riscossione di un credito già accertato contrastano con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, in data 17.5.77, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17.7.08, in causa C 132/06.

Secondo tale decisione, invero, la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della predetta sesta direttiva del Consiglio, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di IVA, per avere previsto, con la L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, una rinuncia generale ed indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, così pregiudicando seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto (24505/15; 24009/15; 20068/09).

Ebbene – come si è precisato – deve ritenersi che detta pronuncia abbia una portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale (a carattere sia legislativo che amministrativo), con la quale lo Stato membro rinunci in via generale, o in modo indiscriminato, all’accertamento e/o alla riscossione di tutto o parte dell’imposta dovuta, oltre che delle sanzioni per la relativa violazione, trattandosi di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto comunitario. Ne discende che va disapplicato, per contrasto con il diritto comunitario cogente, sebbene con riferimento alla sola IVA, l’art. 9-bis, che, consentendo di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento del tributo, comporta una rinuncia definitiva alle sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo, oltre che repressivo, incidono sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del tributo principale (20467/15; 25133/15;

19546/11).

2.4. Nè può dubitarsi del fatto che la disapplicazione del diritto nazionale confliggente con le norme del diritto comunitario cogente debba essere operata, pure d’ufficio, anche nel presente giudizio di legittimità, onde assicurare la piena applicazione delle norme comunitarie aventi un rango preminente rispetto a quelle del singoli Stati membri. A tanto induce, invero, il principio di effettività, enunciato nei Trattati istitutivi della Comunità prima e dell’Unione poi, che comporta l’obbligo per il giudice nazionale di applicare il diritto comunitario in qualsiasi stato e grado del processo, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o –

nella specie – il carattere chiuso del giudizio di cassazione (SS.UU. 26948/06)).

2.5. Il motivo è invece fondato nel merito quanto alle imposte dirette.

E’ invero insegnamento di questa Corte che “in tema di condono fiscale, la definizione agevolata ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9-bis, comportante la non applicazione delle sanzioni relative al mancato versamento delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 dicembre 2002, e per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data, si perfezioni solo se si provvede all’integrale pagamento del dovuto nei termini e nei modi previsti dalla medesima disposizione, attesa l’assenza di previsioni quali quelle contenute negli artt. 8, 9, 15 e 16 della citata Legge, che considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche senza adempimento integrale, e che sono insuscettibili di applicazione analogica, in quanto, come tutte le disposizioni di condono, di carattere eccezionale” (19421/15; 13264/15; 21364/12).

Ne discende dunque che è palesemente errato il contrario convincimento fatto proprio dal giudice territoriale poichè la mancata previsione nell’art. 9-bis cit. di una disposizione corrispondente a quella recate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 8, 9, 15 e 16, che fanno salvi gli effetti del beneficio anche in difetto di adempimento integrale, trova giustificazione nella diversa natura delle fattispecie in esame, vero infatti, come più volte ricordato da questa Corte, che queste ultime disposizioni regolamentano una fattispecie di condono di tipo premiale, in guisa del quale si riconosce al contribuente il diritto potestativo di chiedere che il suo rapporto giuridico tributario sia sottoposto ad un accertamento straordinario, da effettuarsi cioè secondo regole diverse da quelle ordinarie, mentre l’art 9-bis cit. concede un condono tributario di tipo clemenziale, che, basandosi sul presupposto di un illecito tributario, elimina o riduce le sanzioni e, a determinate condizioni, concede modalità di favore per il loro pagamento, ma senza prevedere, come logica vuole, alcuna forma di accertamento tributario straordinario (12782/15; 9761/15; 10650/13).

2.6. Il ricorso erariale va dunque accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, previa cassazione della sentenza impugnata, potrà essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo.

3. Spese alla soccombenza nel presente giudizio, compensate con riguardo ai gradi di merito, essendosi stabilizzato il quadro interpretativo di seguito al ricorso in prime cure.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo; condanna parte intimata al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1200,00, oltre le spese prenotate a debito e ad eventuali accessori, e compensa integralmente le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 17 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016

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