Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12764 del 21/06/2016


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Cassazione civile sez. trib., 21/06/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 21/06/2016), n.12764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6635-2010 proposto da:

BIL METAL SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA M. PRESTINARI 13, presso lo

studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI, rappresentato e difeso

dall’avvocato MAURIZIO LOVISETTI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI BRESCIA (OMISSIS), in

persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

BRESCIA, depositata il 19/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il controricorrente l’Avvocato GALLUZZO che si riporta

agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19.1.2009 la Sezione staccata di Brescia della CTR Lombardia ha confermato la decisione che in primo grado, respingendo in parte qua il ricorso della Bil Metal s.r.l. in liquidazione, aveva ritenuto legittima la ripresa a tassazione dell’IVA indebitamente detratta dalla società in relazione a talune operazioni, consistenti nell’intermediazione di partite di alluminio vergine, giudicate inesistenti dai verificatori.

La CTR ha motivato il proprio assunto con la considerazione che la buona fede allegata dall’appellante “nulla rileverebbe” nella fattispecie, risultando la documentazione utilizzata fiscalmente invalida e “non apparendo verosimile che operazioni negoziali di notevole rilievo economico possano essere state realizzate omettendo accurate e prudenti verifiche e riscontri sull’attendibilità dell’altro contraente”.

Avverso detta sentenza insorge ora la Bil Metal ricorrendo a questa Corte con un mezzo affidato a tre motivi, ai quali replica l’erario con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con il primo motivo di ricorso, l’impugnante lamenta in capo alla sentenza gravata un vizio di omessa motivazione, poichè, limitando il proprio giudizio al solo profilo della buona fede, la CTR ha assunto come pacifica l’inesistenza delle operazioni, quantunque “la circostanza che le fatture di acquisto portate in detrazione sia ai fini reddituali sia ai fini IVA fossero relative ad operazioni inesistenti è sempre stata oggetto di contestazione”, sicchè, pronunciandosi nei riferiti termini, la CTR “ha completamente omesso di motivare il percorso logico-fattuale” che l’ha condotta alla decisione adottata.

2.2. Il secondo motivo di ricorso allega al pari del primo un vizio di omessa motivazione avendo la CTR “omesso di valutare alcuni elementi di fatto risultanti per tabulas”, quali in particolare “la corrispondenza fisica tra i quantitavi di vergella” rinvenuti presso l’acquirente (nella specie la società Deral) e quelli ceduti da Bil Metal, “l’acquisto da parte di Bil Metal della vergella” oggetto poi di cessione, “la reale esistenza delle società” fornitrici e “l’effettività degli acquisti” operati dalla Deral.

2.3. Entrambi i motivi – che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della sostanziale identità della censura – sono infondati.

Ricordato che è principio cardine nella giurisprudenza di questa Corte che il vizio in parola sia “configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione” (24148/13), nella specie l’allegato vizio è del tutto insussistente.

Come invero assicura una piana e serena lettura della dichiarazione motivazionale che accompagna nel suo complesso il deliberato d’appello, è irrefutabile che, allorchè la CTR, formulando un giudizio di sintesi sulla vicenda e sottolineando la debolezza probatoria dell’assunto difensivo di parte, ha l’agio di osservare che “non appare verosimile che operazioni negoziali di notevole rilievo economico possano essere realizzate omettendo accurate e prudenti verifiche e riscontri sull’attendibilità dell’altro contraente”, esterni il proprio convincimento esattamente sulla base delle acquisizioni istruttorie risultanti dalle carte processuali, tra le quali figurano, sia pur se ad onta della sommarietà con cui vi fa cenno il motivo, anche le circostanze fattuali di cui si lamenta l’omessa considerazione, posto che esse, lungi dall’essere state ignorate (cfr. pagg. 2-3 della sentenza), sono state giudicate dal decidente, nell’esercizio dei poteri di valutazione delle prove che competono in via esclusiva solo a lui, giudicate probatoriamente inconferenti ai fini di un diverso orientamento della decisione.

3.1. Con il terzo motivo di ricorso la Bil Metal denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, in quanto la CTR, nel considerare irrilevante la buona fede della contribuente, avrebbe legittimato una conclusione che non è deducibile in base alle ricordate norme di diritto, posto che “non esiste alcun obbligo di legge” in guisa del quale sarebbe onere del contribuente verificare la correttezza dei comportamenti fiscali dei propri fornitori e sarebbe, del pari, incorsa in un duplice vizio motivazionale avendo “completamente omesso l’indicazione degli elementi di fatto” a sostegno dell’affermazione secondo cui Bil Metal non avrebbe verificato l’attendibilità commerciale del proprio fornitore e non avendo “preso in considerazione” gli elementi di fatto, già ricordati con il secondo motivo di ricorso, in guisa dei quali doveva ritenersi provata l’esistenza delle operazioni e la buona fede di essa ricorrente.

3.2. Il motivo che racchiude una duplice censura – denunciando, in pari tempo, l’errore di diritto in cui la CTR sarebbe incorsa per aver impropriamente gravato la contribuente di un onere probatorio circa la rettitudine fiscale dei propri interlocutori che non le pertiene e un vizio di omessa motivazione circa gli elementi fattuali a riprova della genuinità delle operazioni scandagliate – è sotto entrambi i profili privo di fondamento.

3.3. Brevemente, la seconda censura reitera quella già espressa con il primo ed il secondo motivo argomentando, infatti, che il denunciato vizio risiederebbe nell’obliterazione di quegli stessi elementi di cognizione offerti al giudizio del decidente e da questi invece ignorati, onde la sua reiterazione è destinata ad essere assorbita da quanto, riguardo alla fondatezza dei primi due motivi di ricorso, si è osservato poc’anzi.

3.4.1. Quanto alla seconda censura, vanno qui ribaditi i noti insegnamenti in materia di questa Corte che, sul filo dell’ammaestramento dispensato dalla giurisprudenza Eurounitaria e da ultimo da Corte Giust. UE C-277/14 – a tenore della quale “le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2002/38/CE del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare” – ha da tempo espresso il convincimento che, sebbene spetti all’amministrazione finanziaria che contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio (cd.

operazioni soggettivamente inesistenti), “provare che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente abbia, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode” (23560/12), è compito poi del contribuente “dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti” (2630/16; 14863/15; 20059/14), all’uopo non essendo peraltro bastevole che egli si limiti a dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata, poichè trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente (18374/15; 14863/15;

15044/14), ma richiedendosi piuttosto che, facendo uso della comune diligenza che si raccomanda ad un operatore professionale del settore mediamente avveduto (“diligentia viri eiusdem generis ac professionis”), il contribuente si premuri di verificare – e di ciò offra la prova – la regolarità sostanziale della operazione e non soltanto la regolarità formale della fattura anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente (13803/14 in motivazione).

3.4.2. E’ dunque evidente che nessun addebito può muoversi alla sentenza in esame per aver disatteso l’argomento secondo cui nella specie la parte, al di là di constatare la regolarità formale dell’operazione, non sia gravata da alcun ulteriore onere probatorio a garanzia della genuinità dell’operazione, al contrario facendo invece carico alla stessa, in ossequio al principio Eurounitario che fa leva sul concetto di “sapeva o avrebbe dovuto sapere”, l’onere di verificare secondo gli ordinari canoni di diligenza professionale, come ha scritto il giudice d’appello, “l’attendibilità dell’altro contraente sul piano commerciale e la correttezza dei comportamenti fiscali” tenuti dal medesimo.

4. Il ricorso va dunque respinto. Spese alla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in Euro 10000,00=, oltre eventuali spese prenotate a debito ed eventuali accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5 sezione civile, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016

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