Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12763 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 26/06/2020), n.12763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7239-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.E., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA SS.

APOSTOLI 66, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE DETTORI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA TARULLI,

giusta procura in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 82/2013 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 06/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato TARULLI che si riporta agli

scritti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 82/24/13, depositata il 6 agosto 2013, la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha accolto l’appello di I.E. avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, in (parziale) accoglimento dell’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione col quale l’Agenzia delle Entrate aveva liquidato le maggiori imposte (di registro e ipocatastali) dovute in relazione alla compravendita (del 19 marzo 2008) di un terreno edificabile (dell’estensione di mq. 1.250), – aveva rideterminato in Euro 145,00 al mq il valore del terreno edificabile in questione, già rettificato dall’Ufficio in Euro 220,00 al mq. (a fronte del pattuito prezzo di Euro 72,00 al mq).

Ha rilevato il giudice del gravame che:

– ai fini del confronto con gli atti di vendita utilizzati dall’amministrazione a titolo comparativo, doveva tenersi conto della differenza che passava “tra un terreno inserito in un piano regolatore particolareggiato e un terreno inserito in un piano regolatore generale”, rilevando, dunque, come rimarcato dalla stessa Corte di Legittimità, “la mancata adozione di un piano particolareggiato di attuazione”;

– il terreno nella fattispecie compravenduto si trovava in “una fase iniziale del complesso procedimento amministrativo”, diversamente da quelli utilizzati a comparazione che erano “già beneficiari degli atti conclusivi del suddetto iter”, con ciò emergendo una “differenza giuridica” (“tra terreni già prontamente edificabili e terreni che tale attitudine non possedevano in modo pieno”) rilevante ai fini della (distinta) valutazione dei beni e di cui l’amministrazione non aveva tenuto conto;

– l’avviso di accertamento andava, pertanto, annullato perchè l’amministrazione non aveva “fornito… un criterio razionale per rettificare il valore dello scostamento” e perchè difettavano, nella fattispecie, “elementi tali da permettere una razionale stima”, anche con riferimento ai prodotti “atti di accertamento con adesione” che riguardavano “beni non… comparabili”.

2. – L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso I.E..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, deducendo, in sintesi, che, – una volta assolti agli obblighi di motivazione e di prova, con riferimento all’accertamento di valore contestato, – il decisum del giudice del gravame si era risolto in un ingiustificato annullamento dell’avviso di rettifica stesso quando, – anche in ragione della rideterminazione operata dal giudice di prime cure sulla base degli accertamenti con adesione perfezionatisi a riguardo dei terreni indicati a titolo comparativo, – le rilevate differenze (tra terreni edificabili) potevano incidere, al più, su di una diversa loro valutazione.

Col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente denuncia la nullità della gravata sentenza che, in difetto assoluto di motivazione (ovvero con motivazione apparente), ha escluso la sussistenza di elementi probatori offerti al giudizio ed idonei, in quanto tali, a fondare, ad ogni modo, una valutazione del terreno oggetto di rettifica.

Il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, reca la denuncia di insufficiente motivazione di fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione, ancora una volta, alla rilevata insussistenza di elementi di prova idonei a fondare, ad ogni modo, una valutazione autonoma (in sede giudiziale) del terreno compravenduto ed a riguardo, altresì, della dedotta irrilevanza di una convenzione urbanistica (che non rendeva ex se edificabili i terreni utilizzati a comparazione).

Col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente denuncia la nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. deducendo che alcuna pronuncia equitativa si sarebbe integrata, come erroneamente rilevato dal giudice del gravame, nel rideterminare la pretesa impositiva (“nei termini già prospettati dalla CTP”) e che, statuendo per l’integrale annullamento dell’atto impugnato, il giudice del gravame aveva omesso, per l’appunto, di esaminare nel merito la fondatezza (ed il quantum) dell’azionata pretesa impositiva.

2. – Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Il giudice del gravame, in vero, non ha affatto escluso che il potere di rettifica del valore venale del bene potesse conseguire dalla valutazione, a titolo comparativo, di contratti traslativi aventi ad oggetto beni “di analoghe caratteristiche e condizioni” ma ha, diversamente, ritenuto che, sotto tale profilo, venissero in considerazione “beni non… comparabili”.

Al di là, quindi, della formale evocazione di una violazione di norme di legge, il motivo in esame tende ad una non consentita rivalutazione del merito della lite contestata, con riferimento agli atti contrattuali utilizzati a titolo comparativo e, come detto, alle conseguenti valutazioni probatorie operate sul punto dal giudice del gravame.

3. – Il secondo motivo è destituito di fondamento in quanto, come reso esplicito dai rilievi svolti dal giudice del gravame (qual sopra riassunti), la gravata pronuncia ha dato pienamente conto delle sue ragioni fondative, correlandole ai contenuti (anche istruttori) della pretesa impositiva azionata ed alle emergenze processuali.

Deve, difatti, ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice; laddove “Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. sez. un. 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).” (così Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).

4. – Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

La ricorrente, per vero, sollecita (anche qui) alla Corte una revisione del ragionamento probatorio sotteso alla gravata sentenza senza farsi carico, peraltro, di indicare il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso.

Il motivo di ricorso in esame va, difatti, ricondotto alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo il cui disposto rileva, ora, l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”), qual conseguente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, c. 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (novella applicabile nella fattispecie, in quanto la gravata è stata pubblicata il 6 agosto 2013), e la riformulazione di detta disposizione codicistica deve essere interpretata “come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza ” della motivazione.”; e si è, in particolare, rimarcato che la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).

5. – Infondato, da ultimo, è anche il quarto motivo.

La gravata sentenza, difatti, ha dato conto dell’inidoneità comparativa degli atti posti a fondamento della pretesa impositiva e, con ciò, dell’impossibilità di rideterminare il valore del bene compravenduto secondo criteri diversi da quelli indicati nello stesso atto sottoposto a tassazione.

Così statuendo, il giudice del gravame non ha affatto omesso di esaminare nel merito la fondatezza (ed il quantum) dell’azionata pretesa impositiva che, giustappunto, è stata valutata come infondata in relazione all’onere della prova gravante sull’amministrazione.

6. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza dell’Agenzia delle Entrate nei cui confronti, però, non ricorrono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis, Cass., 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.900,00, oltre rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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