Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12763 del 19/06/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 5 Num. 12763 Anno 2015
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 15784-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2015
343

SOCIETA’ SEMPLICE 3A AZIENDE AGRICOLE ASSOCIATE;

intimato

Nonché da:
SOCIETA’ SEMPLICE 3A AZIENDE AGRICOLE ASSOCIATE in
persona dell’Amministratore Unico pro tempore,

Data pubblicazione: 19/06/2015

I domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la
cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato
e difeso dall’Avvocato SALVATORE MUSCARA’ con studio
in CATANIA VIA CERVIGNANO 32 (avviso postale ex art.
135) giusta delega a margine;

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;

avverso

la

sentenza

n.

intimato

43/2008

della

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SIRACUSA, depositata il
12/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/01/2015 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;
udito per il controricorrente l’Avvocato MUSCARA’ che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso
principale, rigetto incidentale.

– controricorrente incidentale –

RITENUTO IN FATTO
1.Con processo verbale di constatazione n. 1129 del 21 dicembre 2000,
la Guardia di finanza appurava che la ditta “3A – Aziende Agricole
Associate”, società semplice costituita per la lavorazione dei prodotti
agricoli dei soci e la loro commercializzazione sui mercati nazionali ed
esteri, operava non come impresa agricola ma quale vera e propria
compagine commerciale. Su tali presupposti e in tempi diversi il fisco

scaturiva ampio contenzioso giudiziario.
2.Le riprese fiscali per imposte dirette riguardanti gli anni 1995-19961997 erano definite, in senso favorevole alla contribuente, con le
sentenze di questa Corte nn. 15708, 15709 e 15710 del 2009, che
affermavano il seguente principio di diritto: «Ai fini dell’assoggettamento
all’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), l’attività di
lavorazione e commercializzazione di prodotti agricoli svolta da una
società semplice, ed avente ad oggetto i prodotti agricoli derivanti
dall’attività di produzione dei soci e di terzi, può essere ritenuta
connessa a quella agricola ai sensi dell’art. 2135 cod. civ. e dell’art. 29,
secondo comma, lettera c), del d.P.R. n. 917 del 1986, e
conseguentemente non assoggettabile al regime fiscale relativo alle
imprese commerciali, anche se la connessione operi solo in senso
oggettivo e funzionale, non avendo il legislatore prescritto come
requisito indispensabile la corrispondenza soggettiva tra chi svolge
l’attività principale e quella connessa, ferma restando la necessità di
valutare, caso per caso, la rilevanza quantitativa e qualitativa degli
apporti, al fine di stabilire se l’attività connessa non risponda
prevalentemente a scopi commerciali od industriali, realizzando utilità
indipendenti o prevalenti rispetto all’attività agricola». (Sez. 5, Sentenza
n. 15708 del 03/07/2009, Rv. 609007).
3.Le riprese fiscali per imposta sul valore aggiunto riguardanti sempre
gli anni 1995-1996-1997 erano pure definite, in senso favorevole alla
contribuente, con sentenze di merito divenute definitive per mancata
impugnazione. L’avviso di accertamento per imposte dirette e IVA
riguardante l’anno 1998 era anch’esso annullato con decisione
confermata dalla sentenza n. 43 del 12 maggio 2008 della commissione
tributaria regionale della Sicilia, sezione di Siracusa. Il giudice di appello,
in estrema sintesi, riteneva che l’attività svolta dalla contribuente non
travalicasse i limiti dell’attività agricola come definita dall’art. 2135 cod.

200915784_1 def.doc

1

emetteva svariati atti impositivi per gli anni dal 1995 al 1999, dai quali

civ., restando senz’altro nell’ambito della manipolazione, trasformazione
e commercializzazione di prodotti agricoli coltivati, prevalentemente, sui
terreni dei soci; sicché la società era esente da imposta sui redditi a
mente dell’art. 10 del DPR n. 601 del 1973. In tal senso militavano le
risultanze peritali e la conclusione assolutoria del procedimento penale
sorto sulla vicenda. Riteneva, inoltre, che legittimamente la società
aveva detratto VIVA esposta nelle fatture per gli acquisti di prodotti

emergenze assolutorie del processo penale. Osservava, infine, che taluni
costi considerati indeducibili erano, invece, adeguatamente documentati
da specifiche fatture per lavori di manutenzione di attrezzature e
impianti posti all’interno dell’immobile sociale.
4.Per la cassazione della decisione, l’Agenzia delle entrate ha proposto
ricorso (15784/09) affidato a tre motivi. La controparte privata resiste
con controricorsi e ricorso incidentale affidato a due motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione della contribuente
di giudicato esterno. Com’è noto, la sentenza con la quale si accertano il
contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato
anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo
dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi
costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi di
imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di
una specifica disciplina tributaria), assumano carattere tendenzialmente
permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando
l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto
potenzialmente mutevoli (Cass. 20029/2011). Inoltre, in materia di IVA,
le controversie sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui
applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del
giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 cod. civ., e dalla eventuale
sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce
specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito
dalla sentenza della Corte di giustizia in causa Fallimento Olimpiclub (C2/08) – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto,
individuato dalla giurisprudenza comunitaria come strumento teso a
garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta.
(Cass. 16996/2012).

200915784 ldefcloc

2

agricoli dai soci produttori, dovendosi richiamare le condivisibili

6.11 concreto atteggiarsi dell’attività d’impresa, agricola e commerciale, è
dato potenzialmente mutevole. Infatti, il legislatore e la giurisprudenza
di legittimità, per l’applicazione del regime fiscale delle imprese agricole,
richiedono di valutare, volta per volta, la rilevanza quantitativa e
qualitativa degli apporti, al fine di stabilire se l’attività connessa non
risponda prevalentemente a scopi commerciali od industriali e realizzi,
quindi, utilità indipendenti o prevalenti rispetto all’attività agricola.
Inoltre, quanto ai rilievi in materia di IVA, essi sono diversi rispetto a

procedura contabile tra soci e società, derivante dall’opzione di questo
per il regime ordinario, mentre il contenzioso in atto riguarda la non
deducibilità dell’IVA a monte per gli acquisti correlati a successive
vendite in esenzione.
7.Passando all’esame di ricorso principale, con il primo motivo la difesa
erariale denuncia error in procedendo per violazione degli artt. 36,
comma 2, proc. trib. e 111 Cost. e censura l’operato del giudice
d’appello laddove avrebbe solo apparentemente motivato la decisione:
(a) col richiamare altre sentenze e una c.t.u. senza indicarne i contenuti
e senza specificare le ragioni della loro condivisione; (b) con l’aver
ritenuto la natura agricola della società “3A – Aziende Agricole Associate”
solo per la conformità statutaria all’articolo 2135 cod. civ., senza alcuna
valutazione degli elementi di segno contrario addotti dal fisco; (c) con
l’aver ritenuto le fatture sufficienti a documentare i costi disconosciuti
per la genericità delle stesse, inidonee a ricondurre le spese a beni
aziendali.
8.11 motivo è inammissibile perché quelli concretamente denunciati dalla
difesa erariale sono più che altro pretesi errori di giustificazione della
decisione di merito sui fatti controversi e non una vera e propria
violazione di norme processuali che determini l’invalidità della decisione.
Com’è noto ricorre vizio di motivazione della sentenza, denunziabile in
sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., quando
si censuri l’operato del giudice di merito laddove ometta di indicare gli
elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali
elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo
in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del
suo ragionamento (Cass. 9113/2012; conf. 21447/2009), ovvero
acriticamente neghi che sia stata data la prova di un fatto ovvero che, al
contrario, affermi che tale prova sia stata fornita, omettendo un

200915784 ldef.doc

3

quelli disattesi dalle sentenze definitive di merito che riguardano la

qualsiasi riferimento sia al prezzo di prova che ha avuto a specifico
oggetto la circostanza in questione, sia al relativo risultato (Cass.
871/2009), restando esclusa ovviamente la valutazione delle circostanze
probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte ricorrente
(Cass. 16762/2006). Sono, invece riconducibili allo schema dell’art. 360,
n. 4, cod. proc. civ. quei vizi che, per difetto assoluto di conformità della
decisione al modello di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. si traducano

argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, o fra di loro
logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente
incomprensibili (Cass. 26426/2008 e 24985/2006; conf. sez. un.
13358/2008). Nella specie non può dirsi del tutto apparente la
motivazione della decisione impugnata, atteso che il giudice d’appello
richiama, sia pure sinteticamente, le ragioni per le quali perviene al
risultato enunciato in sentenza; il che integra la sostanziale osservanza
dell’obbligo imposto dall’art. 132 n.4 cod. proc. civ. e dall’art. 36 n.4
proc. trib. di esporre concisamente ovvero succintamente i motivi in
fatto e diritto della decisione. Dunque il primo motivo, calibrato sui soli
parametri d’invalidità formale dell’art. 360 n.4 cod. proc. civ., non coglie
nel segno essendo in discussione, invece, ciò che attiene al rapporto tra
il discorso giustificativo del giudice delle decisione con l’insieme dei dati
e delle prospettive individuati nel giudizio di merito e dalle deduzioni
delle parti.
9.Con il secondo motivo – denunciando la violazione degli artt. 8 e 19
del decreto IVA – la ricorrente principale censura l’operato del giudice
d’appello laddove avrebbe «illegittimamente […] confermato la
compensazione di un credito IVA solo per essere stata assolta la relativa
imposta, ma senza considerare che nella specie non poteva essere
trasferita su un ulteriore cessionario attenendo a beni oggetto di
cessioni all’esportazione ed intracomunitarie, pertanto esenti» (così nel
quesito di diritto).
10.11 motivo non è fondato. E’ assolutamente pacifico tra le parti che la
pretesa impositiva, fondata sul fatto che la società (operante in regime
ordinario) avrebbe indebitamente detratto VIVA per i corrispettivi versati
ai soci riguardo a prodotto agricoli destinati all’estero, è stata
determinata dal fisco considerando a posteriori la percentuale di
prodotto lavorato e commercializzato dalla società con destinazione
straniera, ossia «facendo riferimento alla quota di prodotto esportato

200915784_1def.doc

4

nella radicale carenza della motivazione, ovvero del suo estrinsecarsi in

dalla 3A» (v. controricorso, pag.5). Ai sensi dell’art. 19, comma 2, del
decreto IVA e in conformità all’art. 17 della “sesta direttiva”
(immediatamente applicabile già prima dell’art. 2, comma 1, D.Igs. n.
313 del 1997 modificativo del citato art. 19), non è ammessa la
detrazione dell’imposta pagata a monte per l’acquisto di beni utilizzati ai
fini di attività esenti o, comunque, non soggette ad imposta, atteso che,
per usufruire della detrazione, non è sufficiente che le operazioni

loro volta assoggettabili all’imposta (Cass. 17299/2014). Riguardo alle
cessioni intracomunitarie e alle esportazioni extra, la Corte di giustizia in
causa Eurodental (C-240/05) chiarisce che esse, se sono relative a
operazioni esenti all’interno dello Stato, non consentono il diritto alla
detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti. Ciò avviene perché il
regime dell’esenzione, che non consente il diritto alla detrazione, è
prevalente rispetto al regime IVA ordinario che prevede la detrazione a
fronte di esportazioni e di cessioni intracomunitarie. Dunque per le
operazioni esenti, con il conforto di dottrina e prassi, «questa regola va
coordinata con quella contenuta nel comma 5 che stabilisce
l’applicazione di un “pro rata” generale di detrazione ai soggettivi passivi
che esercitano sia attività che danno diritto a detrazione, sia attività che
danno che danno luogo ad operazioni esenti»
11.Diversamente – in base alla contro-deroga di cui all’art. 19, comma 3
– lett. a), del decreto IVA [«La indetraibilità di cui al comma 2 non
si applica se le operazioni ivi indicate sono costituite da: a) operazioni di
cui agli articoli 8, 8-bis e 9 o a queste assimilate dalla legge, ivi
comprese quelle di cui agli articoli 40 e 41 del decreto-legge 31
agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29
ottobre 1993, n. 427…»] – le operazioni “non imponibili” di cui agli artt.
8 – 8-bis – 9 dello stesso decreto (cessioni all’esportazione e simili),
nonché quelle di cui agli artt. 40 e 41 del decreto-legge n. 331 del 1993
(cessioni intraconnunitarie) «sono assimilate, ai fini dell’esercizio del
diritto di detrazione dell’imposta “a monte”, rispetto alle operazioni
imponibili con territorialità per così dire interna, con ciò evidenziando
che si tratta pur sempre di operazioni rilevanti agli effetti del tributo e
non, al contrario, di “non operazioni”». Dunque, l’espressa controderoga di cui al comma 3 – lett. a) legittima pienamente l’operato della
società.

200915784_1def.doc

5

attengano all’oggetto dell’impresa, ma è necessario che esse siano a

12.La “ratio” specificamente perseguita dal legislatore con la citata
previsione del comma 3 – lett. a) risiede nella regolamentazione fiscale
degli scambi transfrontalieri basata sulla neutralità dell’IVA e sulla
tassazione “a destino”. Infatti, l’art. 45 del D.L. n. 331 del 1993 nel
disciplinare la detrazione dell’IVA per gli acquisti intracomunitari di beni
richiama la descritta disciplina generale dell’art. 19 del decreto IVA, in
quanto correlata con le regole sulla territorialità dettate dall’art. 28-ter,

cause riunite C-536/08 e C-539/08, Facet BV / Facet Trading BV).
13.E’ vero, infine, che gli artt. 17 e 19 del decreto IVA – da interpretare
in coerenza con gli artt. 17 e 20 della “sesta direttiva” e con la sentenza
della Corte di giustizia in causa Genius Holding (C-342/87) – non si
estendono all’imposta che sia sta addebitata erroneamente in rivalsa e
che sia stata pagata per il semplice fatto di essere stata indicata in
fattura (Cass. 12146/2009). Tuttavia, riguardo all’imposta addebitata in
rivalsa dai soci fornitori, si osserva che i produttori agricoli possono
applicare due diversi regimi IVA (art. 34 del decreto cit.), ciascuno dei
quali caratterizzato da uno specifico modo di calcolare l’imposta da
versare, l’uno caratterizzato dal regime speciale di detrazione forfettaria
dell’imposta, l’altro dal regime ordinario. Ma, in ambo i casi, l’imposta va
addebitata in rivalsa dai produttori agricoli secondo le apposite aliquote
di cui alla tabella A allegata al DPR n. 633 del 1972. Invece, non risulta
– nella sentenza e nel ricorso – che da ciò si siano discostati i soci
fornitori della società contribuente, che a sua volta ha pacificamente
operato in regime ordinario. Si aggiunga, per completezza, che anche i
produttori che in regime speciale effettuano esportazioni, cessioni a
esportatori agevolati, cessioni intracomunitarie e assimilate è consentito
di esercitare la detrazione IVA «di un importo calcolato mediante
l’applicazione delle percentuali di compensazione che sarebbero
applicabili per analoghe operazioni effettuate nel territorio della Stato».
Il che conferma il principio generale della detrazione dell’imposta in caso
d’inerenza a operazioni “non imponibili”, diversamente dai casi
d’inerenza ad attività “esenti” (es. art.10), oppure “escluse” dal campo
IVA (cioè «per le quali manca almeno uno dei requisiti previsti dall’art.
1, anche per effetto delle specifiche disposizioni contenute negli artt. 2 e
3»).
14.Con il terzo motivo – denunciando congiuntamente violazioni di
norme di diritto (articoli 75 TUIR e 2697 cod. civ.) e vizi di omessa o

200915784_1 def.doc

6

parte A), n. 1) della “sesta direttiva” (e ribadite dalla Corte di giustizia in

insufficiente motivazione – la ricorrente principale censura l’operato del
giudice d’appello laddove avrebbe «illegittimamente riconosciuto […]
senza alcuna ulteriore documentazione, i costi portati da fatture
indicanti generiche prestazioni incidenti su beni non con certezza
riconoscibili come aziendali, anziché confermarle non dimostrative delle
spesa e quindi non deducibili». La censura è inammissibile perché non è
consentita la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione
eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art.

la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili,
quali (a) quello della violazione di norme di diritto, che suppone
accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della
violazione o falsa applicazione della norma, e (b) del vizio di
motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere
in discussione; o quale (c) l’omessa motivazione, che richiede l’assenza
di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e
l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica
indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello
sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e (d) la contraddittorietà della
motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni,
contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione
tra loro. Invero, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni
concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il
merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di
isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad
uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per
poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo,
così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito
di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di
decidere successivamente su di esse. (Cass. 19443/2011; conf.
9793/2013, 12701/2014, 671/2015). E’, dunque, inammissibile la
congiunta proposizione di doglianze ai sensi dall’art. 360 c.p.c., nn. 3) e
5), salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per il primo
vizio, del quesito di diritto, nonché, per il secondo, dal momento di
sintesi o riepilogo, in forza della duplice previsione di cui all’art. 366-bis
cod. proc. civ. (Cass. n. 12248 del 20/05/2013).
15.11 rigetto integrale del ricorso principale comporta l’assorbimento del
ricorso incidentale, con il quale la contribuente censura la sentenza

200915784_1def.doc

7

360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.. Non è, infatti, consentita

d’appello laddove avrebbe omesso di motivare sull’eccezione d’illegittima
estensione della verifica anche presso il domicilio personale del legale
rappresentante della società in assenza delle prescritte autorizzazioni
(motivo 1) e laddove ha rigettato l’eccezione d’illegittimo protrarsi della
verifica fiscale per una durata superiore a quella fissata dalla
disposizione statutaria dell’art. 12, comma 5 (motivo 2). Si tratta di
rilievi logicamente e giuridicamente subordinati alle questioni sollevate

16.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono
liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso
incidentale, condanna l’Agenzia delle entrate alle spese del giudizio di
legittimità liquidate in € 7000,00 per compensi e in € 200,00 per
borsuali, oltre agli oneri di legge.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2015 e il iti-c-1-13-pf eD 2°/5Il Consigl

sore

Il Presidente

col rigettato ricorso principale.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA