Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1276 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 20/01/2011), n.1276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2043/2010 proposto da:

C.A. (OMISSIS) elettivamente domiciliata in

ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’AVVOCATO PARRILLO Lucio giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17 presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocato RICCIO Alessandro, VALENTE

NICOLA, PULLI CLEMENTINA, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3427/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

27.5.09, depositata il 29/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/12/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. UMBERTO

APICE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di consiglio del 21 dicembre 2010, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

“Con ricorso notificato il 13 gennaio 2010, C.A. chiede la cassazione della sentenza depositata il 29 luglio 2009 – e non notificata -, con la quale la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione del giudice di prime cure di rigetto della sua domanda di riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222.

In proposito, la ricorrente censura tale sentenza per falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, citando una poco comprensibile (per un refuso) massima di una sentenza di questa Corte (Cass. 9 maggio 1998 n. 4719), di cui comunque non viene spiegata la pertinenza rispetto al caso in esame e lamentando che la Corte territoriale, nel valutare la presenza del c.d. requisito sanitario in capo alla C. (riduzione per malattia della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle sue attitudini a meno di un terzo), avrebbe anzitutto omesso di considerare che l’assicurata svolgeva attività di bracciante agricola, per cui le infermità accertate, soprattutto quella cardiaca, associata all’obesità e a complicanze artrosiche, inciderebbero in maniera notevole sulle sue capacità lavorative.

Inoltre, la Corte avrebbe ignorato una sentenza passata in giudicato ancorchè emessa in materia di invalidità civile tra le medesime parti e non avrebbe adeguatamente valutato l’incidenza della obesità, l’importanza della patologia psichiatrica consistente in una sindrome depressiva di tipo mediograve e, a fronte di tali rilievi formulati dall’appellante, avrebbe errato nel non disporre una nuova C.T.U., invece di adagiarsi su quella effettuata nel giudizio di primo grado.

L’INPS resiste alle domande con proprio rituale controricorso, deducendo l’inammissibilità, sotto molteplici profili, del ricorso e sostenendone in via subordinata l’infondatezza.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg., con le modifiche e integrazioni apportate dalla predetta legge.

Preliminarmente va affermato che non costituisce motivo di inammissibilità del ricorso l’erronea formulazione del quesito di diritto, data l’intervenuta l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile ratione temporis al ricorso in esame, ai sensi dell’art. 58, comma 5 della medesima legge, in quanto questo è stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data del 3 luglio 2009.

Va viceversa rilevata la circostanza per cui, nonostante che l’unico motivo di ricorso enunci, in rubrica, il vizio di violazione della L. n. 222 del 1984, non è rinvenibile nel corpo dello stesso lo sviluppo di siffatta censura, con riferimento all’effettivo decisum della Corte.

La quale ha infatti indicato il tipo di attività lavorativa riconducibile alle attitudini della assicurata ed ha tenuto conto e valutato, alla luce della relazione del C.T.U. incaricato nel giudizio di primo grado, anche delle infermità indicate in ricorso, affermando che dell’obesità non esisteva in giudizio alcun riscontro probatorio, che la patologia psichiatrica consisteva in una mera alterazione del tono dell’umore, virato verso il polo ansioso, che l’avvenuto accertamento da parte della commissione di prima istanza della ASL di una invalidità civile della C. dell’ordine del 70% non poteva avere rilievo decisivo nel presente procedimento attesa la diversità dei parametri di valutazione usati in quella sede, a norma della L. 30 marzo 1971, n. 118; sicchè si rendeva inutile disporre una nuova consulenza tecnica nel giudizio di appello.

In realtà, le censure del ricorso alludono piuttosto ad un preteso vizio relativo alla valutazione delle infermità dell’assicurata nel quadro della sua situazione personale e lavorativa, valutazione riservata ai giudici di merito e nel caso di specie operata in maniera adeguata alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e secondo un percorso motivazionale esauriente quanto ai dati esaminati e privo di carenze, salti logici o contraddizioni interne nel relativo sviluppo.

In sostanza, la ricorrente pretende di sovrapporre a tali valutazioni altre diverse ad essa favorevoli, sostenute con argomentazioni generiche e comunque insufficienti ad evidenziare vizi logici decisivi nel ragionamento della Corte territoriale.

Trattasi pertanto di argomentazioni che tendono ad ottenere da questa Corte un nuovo giudizio nel merito della valutazione di invalidità della ricorrente, come non è ammissibile in sede di giudizio di legittimità.

Il ricorso presenta pertanto più di un profilo di inammissibilità o comunque di manifesta infondatezza e va pertanto trattato in Camera di consiglio per essere respinto.

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione unitamente all’avviso della data della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, valutando il ricorso in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato, pertanto rigettandolo, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, come operato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna C.A. a rimborsare all’INPS le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.500,00, oltre accessori di legge, per onorari.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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