Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12759 del 19/06/2015


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Civile Ord. Sez. U Num. 12759 Anno 2015
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: RAGONESI VITTORIO

ORDINANZA

sul ricorso 11778-2014 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
2015

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

220

legis;
– ricorrente contro

BASF POLIURETANI ITALIA S.P.A. (già Elastogran Italia

Data pubblicazione: 19/06/2015

s.p.a.), in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA
30, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO GIZZI,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MARINO,
per delega in calce al controricorso;
controricorrente

per regolamento di giurisdizione in relazione al
giudizio pendente n. 4372/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA PROVINCIALE di ROMA;
uditi gli avvocati Antonio GRUMETTO dell’Avvocatura
Generale dello Stato, Giuseppe MARINO; è altresì
presente l’avvocato Gabrizio GIZZI;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 12/05/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO
RAGONESI;
lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale
Aggiunto dott. Pasquale CICCOLO, il quale chiede che le
Sezioni Unite della Corte di cassazione rigettino il
ricorso.

Svolgimento del processo

In data 17 novembre 2009 Basf Poliuretani Italia S.p.a. (già

S.p.a. con socio unico, già Bast Italia S.r.l.) — società
appartenenti al Gruppo chimico internazionale Basf e che, a
partire dal 2004, avevano optato per il regime del consolidato
fiscale nazionale — ricevevano l’avviso di accertamento n.
TSB080100197/2009 (c.d. di primo livello) notificato
dall’Agenzia delle Entrate direzione regionale del Piemonte e
contenente, tra l’altro, la contestazione di presunti costi non
inerenti, ex art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 917/86, per un
ammontare di euro 755.669,00, scaturenti da rapporti
intersocietari instaurati tra l’allora Elastogran Italia Sp.a. e Basf
AG, anch’essa avente sede in Germania.

Alla notifica del suddetto atto, faceva seguito, in data 17 dicembre
2009, quella dell’avviso accertamento di “secondo livello” n.
T95090300025/2009, impugnato dalle predette società dinanzi
alla Commissione Tributaria provinciale di Milano.

Elastogran Italia S.p.a.) e Basf Interservice S.r.l. (oggi Basf Italia

Nei confronti della descritta rettifica fiscale, in data 8 gennaio 2010
Basf Poliuretani S.p.a. e l’allora Basf Interservice s.r.1., oggi Basf
Italia S.p.a. ,presentavano istanza di accertamento con adesione e
tale procedimento si concludeva con esito positivo, avendo le

contestati e, di conseguenza firmato l’atto di adesione, senza
tuttavia, addivenire al perfezionamento dello stesso, atteso il
mancato versamento di quanto pattuito.
Nel frattempo, in considerazione del fatto che la rettifica fiscale
sollevata determinava un fenomeno di doppia impostazione tra la
Germania e l’Italia, il 23 dicembre 2009 Basf Poliuretani S.p.a. e,
successivamente, 1’8 marzo 2011, Basf Interservice s.r.1.,
presentavano apposita istanza al Ministero dell’economia e delle
finanze – Direzione relazioni internazionali – di avvio della
procedura amichevole ex art. 6 della Convenzione europea
sull’arbitrato (n. 90/436/CEE del 23 luglio 1990), al fine di
dirimere la situazione di doppia imposizione originatasi. Pertanto,
con la presentazione, in data 28 gennaio 2010, di copia del pool
partner agreement, richiesta dallo stesso Ministero, si avviava la

citata procedura amichevole, confermata da una nota ministeriale

medesime società e l’ufficio, raggiunto un accordo sui rilievi

che dava evidenza della tempestiva presentazione dell’istanza e,
quindi, della corretta instaurazione della procedura.
La Bsf Poliuretani Italia S.p.a. (già Elastogran Italia S.p.a.) e la
Basf Interservice S.r.l. (oggi Basf Italia S.p.a., con socio unico„ già

delle Entrate, con istanza depositata all’udienza del 15 giugno
2011, celebrata dinanzi Commissione Tributaria Provinciale di
Milano, e relativa al giudizio avverso il citato avviso di
accertamento IRES di “secondo livello ” dichiaravano di rinunciare
al ricorso e di optare per la procedura arbitrale prevista dalla
Convenzione n. 90/436/CEE, evidenziando oltremodo che tale
rinuncia non potesse essere considerata acquiescenza alle pretese
impositive del Fisco, bensì come scelta di procedura alternativa al
contenzioso tributario. Per queste ragioni, il giudice adito
dichiarava — con sentenza n. 261/24/2011 depositata addì 27
luglio 2011 – l’estinzione del giudizio per cessata materia del
contendere.
In data 21 dicembre 2011, la società istante nonché la Basf
Italia S.P.A. ricevevano la comunicazione di diniego/revoca della
procedura arbitrale de qua prot. N. 10234/2011/DF/DRI da parte

Basf Italia S.r.l.) recependo le indicazioni fornite dall’Agenzia

del Ministero dell’economia e delle finanze. Questi informava i
predetti contribuenti dell’impossibilità di proseguire la procedura
amichevole essendone venuti meno i presupposti, e ciò
sull’assunto che sarebbe stato perfezionato l’accertamento con

conseguenza, ad avviso del Ministero, sarebbe mutata la
situazione originaria posta a base della richiesta di applicazione
dell’art. 6 della citata Convenzione e la fattispecie in esame non
avrebbe più potuto essere oggetto di controversia.
La società BASF Poliuretani Italia spa odierna controricorrente
impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di
Roma ( RG 4732/12) tale comunicazione, deducendo, in via
preliminare, l’immediata impugnabilità della richiamata nota
ministeriale, quale diniego di agevolazione o di rigetto di domanda
di definizione agevolata di rapporti tributari.
Di poi, nel merito, contestava la legittimità del provvedimento di
diniego di attuazione della procedura amichevole, stante il
mancato perfezionamento dell’accertamento di adesione.
Con atto di controdeduzioni, deposito addì 2 luglio 2012, si
costituiva in giudizio il Ministero dell’economia e delle finanze

adesione nei confronti dell’atto impositivo per cui è causa. Di

eccependo che la conclusione della procedura di accertamento
con adesione precludeva alla società la richiesta di apertura della
procedura amichevole e, comunque, l’insussistenza della
giurisdizione italiana in relazione alla predetta comunicazione in

competente italiana nell’ambito della procedura amichevole.
Proponeva, quindi, l’odierno ricorso per regolamento preventivo di
giurisdizione,illustrato con memoria, cui ha resistito con
controricorso la società BASF Poliuretani Italia spa .

Motivi della decisione
Con l’unico motivo di regolamento, il ricorrente Ministero deduce,
in primo luogo, che la Convenzione europea di arbitrato non
rientra nella nozione del “diritto derivato” dell’Unione europea,
in quanto l’atto in questione è una convenzione internazionale
multilaterale, soggetta alle regole proprie dei trattati
internazionali, e non a quelle dell’ordinamento comunitario.
Il Ministero ricorrente assume che la procedura amichevole di
cui a detta convenzione si fonda su preminenti interessi pubblici

quanto emanata da esso Ministero nella sua vesta di autorità

degli Stati che vi partecipano in quanto investe la potestà
impositiva degli stessi né la circostanza che l’accordo, una volta
assunto, svolgerà specifici effetti nei confronti del contribuente
può modificare tale situazione giuridica. I negoziati si svolgono

sottoscrittori, rimanendo in capo alle imprese coinvolte nel caso un
mero diritto d’informazione sugli sviluppi della procedura .Non
potrebbe, quindi, sussistere sindacato giurisdizionale interno, in
quanto esso costituirebbe un’interferenza sulla sovranità degli Stati e
violazione del ben noto principio dell’immunità.
La nota oggetto di gravame, in conclusione, non costituirebbe un
provvedimento amministrativo riconducibile ai moduli tipici di
attuazione del tributo.
Contesta tali affermazioni la società contro ricorrente sostenendo
che la materia oggetto del contendere non riguarda atti adottati
dallo Stato estero, bensì un provvedimento di diniego assunto
dall’autorità amministrativa italiana competente, che esclude la
possibilità di accedere alla “procedura amichevole” in ragione
dell’asserita verificazione di una circostanza ostativa, quale
l’intervenuto accertamento con adesione ( a suo dire, comunque

infatti esclusivamente fra le autorità competenti degli Stati

inefficace per mancata esecuzione).
Invoca, a tale proposito, la normativa nazionale e sovranazionale
che garantisce il diritto di difesa al soggetto privato e sostiene
l’impugnabilità dell’atto de quo dinanzi al giudice tributario, in

In particolare

rileva che la tesi dell’Agenzia risulta

incompatibile con il diritto UE ed in proposito prospetta anche
l’opportunità di rinvio pregiudiziale, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 267 del T.F.U.E. alla Corte di giustizia dell’Unione
europea, per violazione della Carta dei diritti fondamentali
dell’UE, nonché del principio di leale collaborazione postulato
all’art. 4 par. 3 commi 2 e 3 TFUE.
Da ultimo, evidenzia come la tesi di parte ricorrente porterebbe alla
conseguenza assurda che non vi sarebbe alcun organo
giurisdizionale nazionale o internazionale deputato a valutare la
legittimità dell’operato dell’autorità nazionale.
Il ricorso appare infondato.
La tesi del ricorrente secondo cui la “procedura amichevole”
coinvolgerebbe esclusivamente gli interessi pubblici degli Stati

applicazione dell’art. 19 d.lgs. 546/1992.

nell’esercizio della loro sovrana potestà impositiva ed
escluderebbe ogni possibile intervento dell’autorità giudiziaria
nazionale appare infondata.
La Convenzione Europea di Arbitrato, cd. “Convenzione

Europea il 23 luglio 1990 con lo scopo precipuo di risolvere i casi
di doppia imposizione internazionale “economica ” i connessi ad un
solo particolare settore tributario: quello dei “prezzi di
trasferirnento” 2. Essa quindi ha un ambito di operatività specifico e
ristretto rispetto alle Convenzioni contro le doppie imposizioni
normalmente stipulate, che si applicano viceversa anche a tutte le
altre forme di doppia imposizione riferibili alle varie tipologie di
reddito.
Si aggiunge che il Consiglio dell’Unione Europea, su proposta
della Commissione, nell’ottobre del 2002 ha istituito il Forum
congiunto sui prezzi di trasferimento GTPF Joint Transfer
Pricing Forum) con il compito di fornire un supporto agli Stati
Membri nello specifico settore e garantire la efficiente e fattiva
applicazione della Convenzione arbitrale per la risoluzione dei casi
di doppia imposizione scaturenti da rettifiche in materia di prezzi di

Arbitrale”,è stata conclusa dagli Stati membri dell’Unione

trasferimento.
Tra le iniziative più rilevanti del JPTF vi è stata l’adozione di un
“codice di condotta” nel 2004, sostituito nel 2009 da una nuova
versione, tuttora vigente, che reca talune indicazioni di dettaglio

della Convenzione Arbitrale.
Fatte queste premesse, va rammentato che l’articolo 6 della
Convenzione attribuisce al contribuente l’iniziativa di reclamare
l’osservanza dei principi stabiliti art. 4 della convenzione in
materia di rettifica degli utili d’impresa, di fronte all’autorità
competente dello Stato contraente indicata nell’art 3 della
Convenzione in cui è residente o ha stabile organizzazione. Tale
richiesta impegna l’autorità competente a cercare un accordo con
l’autorità dell’altro Stato al fine di evitare la doppia imposizione.
La richiesta in questione può essere effettuata, indipendentemente
dai ricorsi previsti dalla legislazione nazionale degli Stati contraenti
interessati.
In caso di mancato raggiungimento di un accordo entro due anni
dalla richiesta, l’articolo 7 ,comma primo, della Convenzione
prevede che le autorità competenti istituiscono una Commissione

finalizzate ad uniformare ed a rendere efficiente l’applicazione

consultiva che deve dare un parere sul modo di evitare la doppia
imposizione.
L’articolo 7 in questione disciplina poi nel dettaglio i rapporti
con il contenzioso interno.

prevede che” le imprese possono avvalersi delle possibilità di
ricorso previste dal diritto interno degli Stati contraenti interessati;
tuttavia, quando un tribunale è stato investito del caso, il termine di
due anni di cui al primo comma decorre dalla data in cui è divenuta
definitiva la decisione pronunciata in ultima istanza nell’ambito di
tali ricorsi interni.

Il comma secondo dell’articolo in questione stabilisce poi che ” i/
fatto che la commissione consultiva sia stata investita del caso non
impedisce a uno Stato contraente di avviare o continuare, per il
medesimo caso, azioni giudiziarie o procedure per l’applicazione di
sanzioni amministrative. ”
A sua volta il terzo comma statuisce che” qualora la legislazione
interna d’uno Stato contraente non consenta alle autorità
competenti di derogare alle decisioni delle rispettive autorità
giudiziarie, il paragrafo 1 si applica soltanto se l’impresa associata

In particolare il secondo paragrafo del primo comma dell’articolo 7

di tale Stato ha lasciato scadere il termine di presentazione del
ricorso o ha rinunciato a quest’ultimo prima che sia intervenuta una
decisione. Questa disposizione lascia impregiudicato il ricorso,
laddove questo riguarda elementi diversi da quelli di cui all’articolo

Dalle disposizioni in esame si evince complessivamente il principio
generale ,salvo le eccezioni previste , secondo cui il procedimento
di accordo amichevole tra gli Stati non impedisce il contemporaneo
svolgimento delle azioni giudiziarie relative alle imposizioni
innanzi agli organi giudiziari nazionali.
Ciò posto , alla luce di quanto evidenziato, deve ritenersi che
nell’ambito della procedura amichevole ai sensi dell’art. 6 della
Convenzione Arbitrale i due Stati non agiscono “iure privatorum” ,
bensì nell’ambito della propria potestà d’imperio in materia
tributaria.
La Procedura Amichevole in esame si fonda infatti su preminenti
interessi pubblici degli Stati che vi partecipano in quanto investe la
potestà impositiva degli stessi ed i negoziati si svolgono
esclusivamente tra le Autorità Competenti degli Stati
sottoscrittori della Convenzione e l’accordo amichevole viene

6.”

sottoscritto e adottato esclusivamente da questi.
Ciò posto, resta però estranea alla presente controversia la
questione prospettata dall’Amministrazione se possa essere
riconosciuta al Giudice nazionale la cognizione e la delibazione

del contenuto di tali atti e accordi, perché — secondo la sua tesi ciò costituirebbe una interferenza della sovranità di uno Stato nei
confronti dell’altro.
Nel caso in esame infatti la procedura amichevole non ha in
effetti avuto corso dal momento che con le due comunicazioni
del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento delle
Finanze, Direzione Relazioni Internazionali, cioè la nota prot.10234
del 21-12-2011, oggetto di gravame, nonché la precedente nota
prot.3474 del 21- 4-2011 oggetto dell’impugnazione innanzi alla
Commissione tributaria, l’Autorità italiana ha negato alla società
richiedente di poter dar corso alla procedura amichevole.
Come rilevato dal Procuratore generale, le cui conclusioni queste
Sezioni unite condividono , occorre tenere distinta la fase
prodromica oggetto del ricorso

(‘

relativa alla presentazione

dell’istanza di apertura della procedura amichevole ed alla
valutazione dei requisiti soggettivi ed oggettivi di ammissibilità,

4

che si svolge tutta nell’ambito del diritto interno (come può
chiaramente evincersi dai citati art. 6 e 7 della Convenzione e
come confermato dalla circolare dell’Agenzia delle entrate
5/6/2012 n. 21 punto 5.8.) da quella successiva — il confronto fra

un ruolo attivo ma è tenuto a prestare la propria collaborazione
descrivendo puntualmente il caso e fornendo sollecitamente le
informazioni supplementari eventualmente richieste (art. 10
Conv. punto 5.9 circolare).E’ di palese evidenza, quindi, che le
questioni che possono insorgere nella prima fase – come nel
caso di specie quella relativa agli effetti dell’istanza di
adesione non attuata — non possono essere aprioristicamente
sottratte alla valutazione giurisdizionale di organo giudiziario. E
questo non può che essere il giudice dello Stato ove l’istanza viene
proposta, giacché la Commissione consultiva si limita a dare un
parere sul modo di eliminare la doppia imposizione. “.
Resta da dire che l’impugnabilità della nota in questione non risulta
esclusa – come sostiene l’Amministrazione – dall’art 7 comma 3
della Convenzione che esclude la possibilità di ricorso innanzi al
giudice nazionale “qualora la legislazione interna d’uno Stato

le autorità competenti — nella quale il contribuente non svolge

contraente non consenta alle autorità competenti di derogare alle
decisioni delle rispettive autorità giudiziarie” in quanto nel caso di
specie la conclusione dell’accertamento con adesione risulta
contestato onde sarà il giudice investito della controversia a

Quanto al giudice italiano avente giurisdizione non è dubbio che sia
quello tributario, venendosi in materia di tributi .
E’ ben nota la giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente
affermato che , l’elencazione degli atti impugnabili contenuta
nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa,
ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli
stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una
ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e
giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle
disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di
tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento
dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione
dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge
28 dicembre 2001, n. 448. (Cass 17010/12) .
Da ciò discende che ogni atto adottato dall’ente impositore che porti,

valutare l’esistenza o meno di tale circostanza.

comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa
tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e
giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza
necessità che si manifesti in forma autoritativa, e tale impugnazione
va proposta davanti al giudice tributario, in quanto munito di
giurisdizione a carattere generale e competente ogni qualvolta si
controversa di uno specifico rapporto tributario ( Cass 7344/12).
Nel caso di specie non è dubbio che il diniego di dare corso alla
procedura amichevole comporta che la società resistente sarebbe
soggetta ad una doppia imposizione in Italia ed in Germania,
venendo quindi a dovere versare nel nostro Paese un tributo
maggiore di quanto altrimenti dovuto in caso di raggiungimento di
un accordo tra i due Stati nell’ambito della procedura amichevole.
Da qui l’impugnabilità delle note in questione.
In ragione della decisione assunta, che investe prevalenti aspetti di
diritto nazionale, non risulta necessario alcun rinvio pregiudiziale
ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E. restando quindi impregiudicata la
questione se in materia sussista o meno la competenza della Corte
di Giustizia in relazione alla esaminata Convenzione.

t

Il ricorso va in conclusione respinto dovendosi dichiarare la
• giurisdizione del giudice italiano, nella specie della Commissione
tributaria .Segue alla soccombenza la condanna al pagamento
delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo

Rigetta il ricorso , dichiara la giurisdizione del giudice italiano
(Commissione tributaria) e condanna l’amministrazione al
pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 3000,00 oltre
euro 200,00 per esborsi ed oltre spese forfettarie ed accessori di
legge.

PQM

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