Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12756 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 10/06/2011), n.12756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33430-2006 proposto da:

V.V., elettivamente domiciliata in ROMA VIA COLA DI

RIENZO 217, presso lo studio dell’avvocato FARRO VINCENZO C/O ST.

MARI MAGURNO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI NAPOLI UFFICIO LOCALE (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 193/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 20/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

V.V. impugna la sentenza della CTR della Campania, che rigettava l’appello della stessa avverso quella di primo grado, la quale a sua volta respingeva l’impugnazione contro l’avviso di rettifica e liquidazione circa la maggiore imposta relativamente alla successione al padre, sul presupposto che le varie doglianze erano generiche e che sul cespite n. 23 sostanzialmente la contribuente aveva accettato il classamento e la rendita così come modificati dall’amministrazione. A sostegno del gravame essa adduce cinque motivi, illustrati con memoria, mentre l’intimata agenzia non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione di numerose norme di legge, in quanto l’agenzia ormai era decaduta dalla facoltà di rettifica e liquidazione, anche se la norma che prima disciplinava la fattispecie era stata modificata con una diversa disposizione che però appare affetta da incostituzionalità.

Il motivo è infondato, dal momento che esattamente il giudice di appello osservava che l’atto esecutivo era stato emesso entro il previsto biennio rispetto al pagamento dell’imposta, da cui il termine deva farsi decorrere, giusta quanto previsto dal D.L. n. 323 del 1996, art. 10, comma 10 senza che la relativa norma possa essere sospettata d’incostituzionalità, apparendo fin troppo evidente che essa rientra nella libera scelta del legislatore.

2) Col secondo motivo la ricorrente deduce violazione di diverse norme di legge, giacchè la CTR non delibava le varie questioni prospettate col ricorso introduttivo inerenti ai vari cespiti diversi dal n. 23.

La censura è inammissibile, atteso che non solo non è stata proposta secondo il parametro della omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., ma anche perchè risulta fin troppo vaga, oltre a basarsi su doglianze che sarebbero state prospettate altresì soltanto genericamente nel ricorso introduttivo, come rilevato dal giudice del gravame.

3) Lo stesso è a dirsi con riferimento ai motivi 3 e 4, con cui la ricorrente lamenta violazione di diverse norme di legge, poichè il giudice di appello non avrebbe indicato le ragioni per cui disattendeva le censure in rodine alla maggiore pretesa e alla mancanza di motivazione dell’avviso di rettifica e liquidazione. Si tratta anche per queste censure di doglianze del tutto generiche ed articolate senza il necessario riferimento alle precise norme presunte violate e all’esatta natura di esse, sicchè sono inammissibili.

5) Col quinto motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la CTR non considerava che nel riparto dell’onere della prova era l’agenzia che doveva dimostrare il proprio assunto inerente alla rettifica di valore dei cespiti, dal momento che in realtà a seguito dell’impugnazione dell’atto esecutivo veniva contestata la relativa pretesa per mancanza dei presupposti.

Il motivo è fondato, anche se limitatamente al cespite n. 23, e non invece anche per gli altri, giusta le precedenti osservazioni inerenti alla genericità delle varie questioni sollevate sugli stessi.

Al riguardo il giudice di appello osservava che V. non aveva provato le ragioni addotte. L’assunto non è esatto, dal momento che resta a carico dell’amministrazione, nel giudizio instaurato dal contribuente con ricorso contro l’avviso, di provare la sussistenza delle circostanze che giustificano, nell’ambito del parametro prescelto, il “quantum” accertato (rimanendo inibita l’allegazione di criteri diversi), mentre il contribuente stesso può dimostrare l’infondatezza della pretesa creditoria anche in base a criteri non utilizzati dall’ufficio (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 27653 del 14/12/2005, Sezioni Unite: n. 8351 del 1990).

Quindi anche in rapporto alle suindicate non corrette valutazioni giuridiche, la doglianza della ricorrente riesce ad intaccare, limitatamente al punto relativo al cespite n. 23, quelle del giudice del gravame, onde queste non vanno condivise, con il conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà al principio di diritto testè enunciato.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibili il secondo, il terzo e il quarto; accoglie il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione a questo, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Campania, altra sezione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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