Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12754 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 13/05/2021), n.12754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22301-2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCANTI

42, presso lo studio dell’avvocato CARLO ALFREDO ROTILI

rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO NATOLI;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata dalla mandataria INTRUDI ITALY SPA,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA 11,

presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 189/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI

MARZIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – S.M. ricorre per tre mezzi, nei confronti di Banca Intesa Sanpaolo S.p.A., contro la sentenza del 30 gennaio 2019 con cui la Corte d’appello di Torino ha respinto la sua impugnazione per revocazione avverso sentenza della medesima Corte con la quale era stato rigettato il suo appello proposto nei riguardi di sentenza del locale Tribunale di rigetto di una sua domanda risarcitoria per illegittima segnalazione, da parte della banca, alla Centrale Rischi.

2. – Banca Intesa Sanpaolo S.p.A. resiste con controricorso, formulando anzitutto sotto diversi profili eccezione di inammissibilità del ricorso.

3. – Sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. – Il primo mezzo denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, censurando la sentenza impugnata per aver erroneamente escluso che la sentenza oggetto di revocazione non fosse frutto di sviste obiettivamente e immediatamente rilevabili.

Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione della stessa disposizione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il terzo mezzo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, fatto costituito da ciò, che “il debito della sig.ra S., non essendo liquida, non era neppure esigibile e non poteva pertanto essere segnalato in Centrali Rischi”.

RITENUTO CHE:

5. Il ricorso è inammissibile.

6. – E’ inammissibile il primo motivo.

6.1. – In tema di revocazione, rammentata la distinzione (per la quale v. Cass. 30 luglio 2014, n. 17402; Cass. 29 aprile 2016, n. 8472) tra giudizio di fatto (tutto ciò che attiene all’accertamento della verità di “fatti bruti”, fatti, dunque, accaduti nel mondo fenomenico, ai quali si addice per l’appunto il predicato di “vero” o “falso”), e giudizio di diritto (tutto quanto attiene all’applicazione di norme e, così, all’individuazione della norma applicabile al caso concreto; alla sua interpretazione; alla sussunzione dei fatti, come ricostruiti, entro la fattispecie astratta; all’individuazione delle conseguenze da quella norma previste), deve in generale osservarsi che l’errore revocatorio ricorre in presenza di una falsa percezione della realtà: di un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente percepibile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di uno specifico accadimento, al quale la parte interessata intende ricollegare effetti giuridici a sè favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata.

L’errore revocatorio deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive e, meno che mai, della ricognizione dell’attività ermeneutica svolta (Cass., Sez. Un., 10 agosto 2000, n. 561; Cass. 1 marzo 2005, n. 4295; Cass. 18 settembre 2008, n. 23856; Cass., Sez. Un., 7 marzo 2016, n. 4413). Detto errore non può perciò mai consistere in un’inesatta valutazione delle risultanze processuali (integrando essa, semmai, un vizio motivazionale), giacchè la valutazione implica di per sè una ponderazione tra più possibili letture, e dunque esclude in radice la configurabilità dell’errore in discorso.

Ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, ‘errore revocatorio, il quale ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, si svela nel contrasto – tale da presentarsi in termini di esclusione reciproca – tra la rappresentazione di un fatto (o di un complesso di fatti) univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto (o complesso di fatti) posta a base della decisione del giudice: si tratta insomma di una falsa percezione della realtà, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia condotto il giudice, per effetto di una sorta di abbaglio, ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo invece incontestabilmente escluso dagli atti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo, che dagli stessi atti risulti al contrario positivamente accertato (Cass. n. 6669/2015; Cass. n. 321/2015; Cass. n. 17443/2008). Occorre ancora, alla stregua del dato normativo, che il fatto oggetto dell’errore non sia stato oggetto del dibattito processuale su cui la pronuncia impugnata abbia deciso (Cass. n. 9416/1997; Cass. n. 12194/1993).

Inoltre, il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la decisione ebbe a pronunciarsi: sicchè non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass. 15 dicembre 2011, n. 27094).

6.1. – Tanto premesso, non v’è dubbio che la Corte d’appello, nel pronunciare in sede di revocazione, abbia fatto buon governo dei principi di diritto così riassunti.

Vale difatti osservare che, secondo la prospettazione della ricorrente, i tre fatti che la Corte d’appello, nella sentenza poi impugnata per revocazione, avrebbe erroneamente escluso, quantunque essi emergessero incontrastabilmente dagli atti, erano i seguenti:

-) “il credito della banca da interessi di preammortamento non era determinato e, pertanto, non era esigibile” (così a pagina 9 del ricorso), e ciò perchè, in breve, i documenti contrattuali intercorsi tra le parti presentavano diversi criteri di quantificazione degli interessi;

-) “la sussistenza di una circostanza di fatto, ictu oculi emergente dagli atti di causa, qual era l’errata segnalazione in Centrale Rischi della sig.ra S., anche per il solo debito da interessi di preammortamento” (così a pagina 11 del ricorso);

-) “il fatto, inesistente, che la sig.ra S. non avrebbe dato prova della disponibilità di altre banche a erogarle il credito richiesto”.

6.3. – Ora, i fatti cui si riferisce il primo motivo non sono in realtà tali, e, cioè, non sono “fatti bruti”, tali da essere predicati come veri o falsi, ma attengono al giudizio formulato in ordine alla fondatezza della domanda proposta dalla S., fondatezza che, in estrema sintesi, la Corte d’appello, nella sentenza impugnata per revocazione, ha escluso perchè: a) la banca era tenuta ad effettuare la segnalazione alla Centrale Rischi, sia pure per i soli interessi di preammortamento e non invece, come aveva fatto, per la somma capitale, interessi il cui calcolo era carico della debitrice; b) non era stato provato il nesso causale tra la segnalazione operata e il danno subito; c) nulla rilevava in particolare che la segnalazione fosse stata effettuata per la somma capitale, giacchè risultava dagli atti di causa che all’attrice sarebbe stato precluso l’accesso al credito da una segnalazione per qualsiasi importo.

E’ allora palese, come rilevato dalla Corte d’appello nella sentenza resa in sede di revocazione, che la precedente sentenza, quella pronunciata dallo stesso giudice in sede di appello, viziata o no che fosse da errori di giudizio, non era certo viziata da errori revocatori, avendo effettuato una valutazione del materiale istruttorio disponibile e ritenuto che gli interessi da preammortamento dovessero essere calcolati dalla S. e che ciò avrebbe giustificato la segnalazione, quantunque per una ragione diversa da quella per la quale era stata effettuata, neppure potendosi ritenere che, se la segnalazione avesse avuto ad oggetto i soli interessi e non la somma capitale, ciò non le avrebbe impedito l’accesso al credito, con ulteriore insussistenza della prova del pregiudizio asseritamente patito.

Insomma, la S. ha posto a fondamento dell’impugnazione per revocazione nient’altro che pretesi errori di giudizio, non sviste attinenti al fatto.

Ed in questa sede ha inteso ribaltare la valutazione del giudice di merito il quale ha ritenuto appunto che l’impugnazione per revocazione non avesse ad oggetto fatti.

Nè la memoria illustrativa apporta argomenti tali da condurre il giudizio ad esito diverso.

7. – E’ inammissibile il secondo motivo, che reca identiche censure ricondotte al n. 4, e non al n. 3, dell’art. 360 c.p.c..

8. – E’ inammissibile il terzo motivo.

Si è già detto che il fatto decisivo, secondo la ricorrente, consiste in ciò, che “il debito della signora S., non essendo liquida, non era neppure esigibile e non poteva pertanto essere segnalato in Centrali Rischi”.

Ora, il fatto cui si riferisce dell’art. 360 c.p.c., il n. 5 è, come è noto, un fatto storico (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053): e qui non siamo al cospetto di un fatto storico, ma di una valutazione giuridica sul quesito se il debito per interessi fosse o non fosse certo, liquida ed esigibile, e, dunque, se fosse o non fosse suscettibile di fondare una segnalazione alla Centrale Rischi.

9. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15/0 ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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