Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12753 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 10/06/2011), n.12753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24950-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

A.V., elettivamente domiciliato in ROMA VIA RAFFAELE

LAMBRUSCHINI 27 TER, presso lo studio dell’avvocato GRANDE MARIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato D’AVOLA ALDO con studio in ROMA

VIA RAFFAELE LAMBRUSCHINI 27 TER, (avviso postale), giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 118/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 18/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero e l’agenzia impugnano la sentenza della CTR della Sicilia, che rigettava l’appello avverso quella di primo grado, la quale annullava il provvedimento di diniego di condono circa la maggiore imposta pretesa nei confronti di A.V. relativamente alla successione al padre, sul presupposto che si trattasse di lite condonabile. A sostegno del gravame essi adducono un unico motivo, mentre il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il ricorso del Ministero va dichiarato inammissibile, in quanto esso non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel corso del giudizio di primo grado, e i contribuenti avevano accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il rapporto processuale si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal medesimo deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

1) In ordine poi alla posizione dell’altra ricorrente, e cioè l’agenzia, col primo motivo essa deduce violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 7 giacche la CTR non considerava che il processo andava sospeso in caso di presentazione di istanza di condono, e solo se il procedimento amministrativo fosse andato a buon fine col pagamento integrale di quanto dovuto, a seguito di attestazione dell’ufficio finanziario, il giudice poteva emettere declaratoria di estinzione del processo per condono, e non invece sostituirsi alla p.a., pronunciando invece in tal senso, specie in un procedimento che non consente tale definibilità.

Il motivo è fondato. Invero di fronte al provvedimento di diniego del condono, la CTR doveva delibare la controversia nel merito, senza pronunciare l’estinzione del processo per tale causa estintiva, specie in una fattispecie che non lo consente, come quella in esame, trattandosi di atto esecutivo, come quello impugnato, emesso a seguito di riliquidazione dell’imposta in base alla rendita attribuita mediante richiesta dello stesso contribuente, e quindi con valutazione automatica, con applicazione quindi di imposta complementare. Al riguardo si osserva come la dichiarazione di estinzione del giudizio per chiusura della lite ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 è subordinata, come previsto dal comma ottavo di tale disposizione, all’attestazione da parte dell’Ufficio della regolarità della domanda di definizione e del pagamento integrale di quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la produzione da parte del contribuente di documenti comprovanti l’avvenuta presentazione dell’istanza di condono ed il versamento della, somma dovuta (Cfr. pure Cass. Sentenze n. 23028 del 30/10/2009, n. 21559 del 2004). Inoltre appare opportuno rilevare come, sempre con riferimento alla chiusura delle liti pendenti disciplinata dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 non è suscettibile di definizione agevolata la controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, come pure eventulamente dell’INVIM, notificato al contribuente che abbia manifestato la volontà di avvalersi del sistema di valutazione automatica di cui al D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12 convertito con modificazioni nella L. 13 maggio 1988, n. 154. Infatti resta esclusa ogni possibilità di contesa in ordine alla determinazione della base imponibile in tal caso, in quanto il valore dell’immobile è ricavato senza margini di discrezionalità da parte dell’Ufficio, applicando il coefficiente legale fisso alla rendita attribuita dall’UTE, la cui contestazione, pur essendo destinata ad incidere sulla determinazione del tributo, comunque non rientra tra le controversie suscettibili di definizione agevolata, non avendo ad oggetto l’imposta, ma il classamento (V. anche Cass. Sentenze n. 7789 del 03/04/2006, n. 6216 del 2006).

2) Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 70 del 1988, art. 12 conv. nella L. n. 154 del 1988 e L. n. 289 del 2002, art. 16 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto i giudici di merito non potevano considerare che l’amministrazione avesse avuto l’onere di notificare l’atto di classamento e quindi la rendita catastale alla parte, atteso che era stata la medesima a chiedere la valutazione automatica dei cespiti sforniti con attribuzione di rendita; inoltre quell’onere di notificazione era stato stabilito dalla nuova normativa di cui alla L. n. 328 del 2000, art. 74 che ha attribuito natura recettizia all’atto di classamento, la quale non aveva effetto retroattivo.

La censura va condivisa.

Come è noto, in tema di imposta di registro o INVIM, poichè A. aveva chiesto, nella denunzia di successione, come pure a suo tempo il dante causa, per l’immobile non ancora iscritto in catasto, di avvalersi del sistema automatico di valutazione, non era allora necessario, qualora l’Ufficio dovesse recuperare la maggior imposta, cui A. era tenuto sulla base della rendita attribuita, procedere alla notificazione di avviso di accertamento, nè a separata comunicazione o notificazione dell’atto di classamento dell’immobile, prima dell’emissione dell’avviso di liquidazione, atteso che quest’ultima avveniva sulla base della volontà espressa dal contribuente medesimo. Tuttavia occorreva che nell’avviso di liquidazione fossero indicati gli ulteriori elementi posti a base dell’imposizione, compresi i dati di classamento e la rendita catastale attribuita dall’UTE, in modo che egli fosse posto in grado di controllare eventuali errori di inserimento dell’immobile nella categoria prevista, ovvero di applicazione dei coefficienti e delle aliquote, come peraltro era avvenuto nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 17941 del 06/09/2004, n. 13241 del 2003, n. 2124 del 2002). Pertanto la CTR non poteva applicare il condono in mancanza di una regolare attestazione dell’ufficio in tal senso. Peraltro, com’è noto, in tema di condono fiscale, non è ravvisabile “lite pendente”, suscettibile di definizione a norma della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3, quando l’atto impugnato si risolve in una mera liquidazione di imposta, secondo criteri predeterminati dalla legge ed attraverso semplici operazioni contabili, alla stregua di quanto dichiarato dallo stesso contribuente, come nel caso di avviso di liquidazione dell’imposta sulla base di dichiarazione di successione formalmente regolare proveniente dagli eredi (ancorchè successivamente emendata per supposti errori di fatto e di diritto), in quanto in tali ipotesi non può parlarsi di atto impositivo ne di importo, che formi oggetto di contestazione, al quale parametrare una somma da corrispondere per la chiusura della lite, atteso che la valutazione dell’asse viene necessariamente a corrispondere alla richiesta formulata dal soggetto obbligato al pagamento dell’imposta sui valori da lui stesso dichiarati, nè può parlarsi di lite effettiva – e non meramente apparente, concernente, cioè, l’accertamento dell’esistenza e dell’entità dei presupposti per l’imposizione, come nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 4566 del 25/02/2010, n. 11143 del 2006).

Inoltre va rilevato che gli atti attributivi o modificativi della rendita catastale, emessi anteriormente alla data del primo gennaio 2000 (a partire dalla quale l’efficacia dei medesimi decorre dalla loro notificazione, ai sensi della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1), erano immediatamente efficaci, anche in assenza di comunicazione o notificazione ai contribuenti, fatta salva la possibilità di contestare tale efficacia con rituale e tempestiva impugnazione, in assenza della quale si rendeva definitiva l’attribuzione della rendita, posta poi a base dell’accertamento dell’ufficio (V. pure Cass. Sentenze n. 1196 del 2005, n. 22571 del 2004). Infine – “ad colorandum” – va osservato che alcuna declaratoria di estinzione per condono poteva essere emessa, atteso che la dichiarazione di estinzione del giudizio per chiusura della lite ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 è subordinata, come previsto dal comma ottavo di tale disposizione, all’attestazione da parte dell’Ufficio della regolarità della domanda di definizione e del pagamento integrale di quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la produzione da parte del contribuente di documenti comprovanti 1’avvenuta presentazione dell’istanza di condono ed il versamento della somma dovuta (V. pure Cass. Sentenza n. 23028 del 30/10/2009).

Alla luce dunque di quanto più sopra enunciato, la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

Ne deriva che il ricorso dell’agenzia va accolto, con la cassazione della sentenza impugnata posto che la causa può essere decisa nel merito, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il conseguente rigetto del ricorso in opposizione del contribuente avverso l’avviso di liquidazione.

Quanto alle spese del giudizio, sussistono giusti motivi per compensare quelle del doppie grado, come pure le altre del presente tra il Ministero ed A., attesa anche l’inammissibilità del ricorso del primo, mentre quelle inerenti al rapporto tra l’agenzia e il contribuente seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie quello dell’agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente avverso l’avviso di liquidazione; compensa le spese del doppio grado e quelle tra il Ministero ed A., che condanna al rimborso delle altre del presente giudizio, liquidate in Euro 1.000,00 (mille/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito;

alle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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