Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12751 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2011, (ud. 04/01/2011, dep. 10/06/2011), n.12751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

la s.r.l. VITALE MOTOR, con sede in

(OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla

Via Borghesano Lucchese n. 29 (ìnt. 3), presso lo studio dell’avv.

PETRUCCIANI GIUSEPPE, insieme con gli avv. Angelo CIMA e Pietro

COLUCCI (del Foro di Campobasso), dai quali è rappresentato e difeso

in forza della “procura” rilasciata a margine del controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 47/02/08 depositata il giorno 11 giugno 2008

dalla Commissione Tributaria Regionale del Molise (notificata il 13

gennaio 2009);

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 gennaio 2011

dal Pres. Dott. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Gianna Maria DE

SOCIO (dell’Avvocatura Generale dello Stato), per l’Agenzia, e

dall’avv. Pietro COLUCCI, per la società;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, il quale ha concluso per la

declaratoria di improcedibilità – inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 13 marzo 2009 alla s.r.l. VITALE MOTOR (depositato 27 marzo 2009), l’AGENZIA delle ENTRATE – materialmente riprodotti (quale “fatto”), oltre alle decisioni di primo e di secondo grado ed ai “ricorsi” della società, (1) “il PV di constatazione del 25 maggio 2005”, (2) il “PV di constatazione… del 23 marzo 2006” (“verifica fiscale relativa alle cessioni effettuate in esenzione di imposta”) e (3) “gli accertamenti dell’Ufficio”, così espressi: “sulla base di tali rilievi e degli importi accertati dai verificatori l’Ufficio… ha emesso… quattro avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2001” (“omessa fatturazione di operazioni imponibili, dietro rilascio di false dichiarazioni di intento”), “2002” (“omessa fatturazione di operazioni imponibili, dietro rilascio di false dichiarazioni di intento”), “2003” (“omessa fatturazione di operazioni imponibili, dietro rilascio di false dichiarazioni di intento” e “omessa fatturazione su corresponsione bonus”, oltre ad altro) e “2004” (“omessa contabilizzazione di componenti positivi di reddito” e “omessa fatturazione (su) corresponsione bonus”, oltre ad altro) -, in forza di sei motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 47/02/08 della Commissione Tributaria Regionale del Molise (depositata il giorno 11 giugno 2008, notificata il 13 gennaio 2009) che aveva recepito (“annulla (ndo tutti) gli avvisi di accertamento”) l’appello della contribuente avverso la decisione (131/02/07) della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso la quale, riuniti i ricorsi, aveva (a) respinto quelli per il 2001 e 2002 e (b) accolto (b1) “parzialmente” (“relativamente all’assoggettamento ad IVA del bonus Autogemma”) “quello per il 2003” e (b2) “integralmente quelli per il 2004”.

Nel controricorso notificato il 4 aprile 2009 (depositato, con spedizione a mezzo posta, il 18 aprile 2009) la società intimata instava per il rigetto dell’impugnazione.

Il 14 maggio 2010 la medesima società depositava memoria ex art. 378 c.p.c..

Con ordinanza depositata il 21 maggio 2010 la Corte “rinvia(va) la causa a nuovo ruolo” dando “mandato alla cancelleria perchè sia chiesta alla CTR del Molise di inviare copia integrale autenticata della sentenza della CTR di Campobasso 14 aprile 2008, n. 47/2/08, depositata l’11 giugno 2008”.

Il 20 dicembre 2010 la società depositava ulteriore memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare vanno disattese le due “eccezioni” di improcedibilità e/o inammissibilità del ricorso dell’Agenzia sollevate dalla società nelle memorie depositate.

A. La “mancanza” negli “atti ricorsuali” (2) di “qualsiasi indicazione relativa al mandato conferito all’Avvocatura dello Stato” nonchè (2) della “richiesta specifica di patrocinio nel giudizio di cassazione” (che, si assume, “doveva essere rivolta dalla parte pubblica ricorrente all’Avvocatura Generale dello Stato”) è irrilevante alla luce del principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza 14 febbraio 2006 n. 3118) secondo cui “nei procedimenti” (quale il presente) “introdotti successivamente al 1gennaio 2001” – nei quali “la legittimazione appartiene soltanto all’Agenzia delle Entrate” (che “secondo il disposto del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, può semplicemente avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato”) – per il “ricorso” a tale “patrocinio… non è necessaria una specifica procura” (cfr., altresì, Cass., trib., 16 maggio 2007 n. 11227: “quando l’Agenzia si avvalga dell’Avvocatura dello Stato… non è necessario che l’ente rilasci una specifica procura all’avvocatura medesima per il singolo giudizio”).

B. La “violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2” (perchè “la copia autentica della sentenza impugnata è priva… di alcune…

pagine… essenziali nelle quali sono estese le motivazioni del secondo giudice… in ordine ai principali punti controversi della causa di cui ai primi tre motivi del ricorso”), di poi, è insussistente atteso che, come già evidenziato da questa sezione nell’ordinanza resa all’esito dell’udienza del 21 maggio 2010, l’omissione delle pagine affligge la copia autentica della sentenza notificata dalla contribuente.

In ipotesi di impugnazione di una sentenza notificata, l’indicata norma processuale, come noto, impone al ricorrente di depositare “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”, quindi proprio e soltanto quella (così come) notificata dalla controparte.

Nella giurisprudenza di questa Corte è, infatti, pacifico (cfr., Cass., 3^, 11 maggio 2010 n. 11376, da cui gli estratti, tra le recenti) che “nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione deve – quindi – essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo della eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione (In termini, ad esempio, Cass., sez. un., 16 aprile 2009, n. 9006; Cass., sez. un., 16 aprile 2009, n. 9005; Cass. 9 giugno 2008, n. 15233. Sempre nello stesso senso, altresì, tra le altre, Cass. 18 maggio 2007, n. 11619; Cass. 18 gennaio 2007, n. 1089; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1590; Cass. 1 ottobre 2004, n. 19654)”.

2. Nella sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale espone (per quanto interessa l’esame del gravame dell’Agenzia) quanto segue.

A. Con gli “avvisi di accertamento IVA anni 2001 e 2002 e IVA/IRPEG/IRAP anno 2003” e con “l’avviso di accertamento IVA/IRES/IRAP anno 2004” l’Ufficio, “sulla base di un processo verbale della Guardia di Finanza di Campobasso dal 25 maggio 2005, di uno della Guardia di Finanza di Seveso del 11 gennaio 2006 e di un altro redatto da propri funzionar il 23 marzo 2006”, ha (1) “negato per il primo anno un credito IVA di Euro. 742.875,00; per il 2002 di Euro. 897.572, 00; per il 2003 di Euro. 965,228,00” e (2) contestato “l’omessa fatturazione e l’omesso assoggettamento ad IVA di bonus Autogerma per un imponibile di Euro. 187.861,72” nonchè, “per il 2004”, (3) “l’omessa contabilizzazione di componenti positivi Euro 40.161,04”.

Il giudice espone che “il… rilievo… relativo all’indebita formazione del credito IVA per gli anni 2001, 2002 e 2003 scaturiva dalla circostanza affermata dalla Guardia di Finanza del coinvolgimento consapevole della Vitale Motor nelle attività fraudolente delle ditte G. & G. di Gianotti Giulio… ed in misura minore della Masperi Automobili, le quali, pur essendo prive di organizzazione aziendale, avevano emesso nei confronti della ricorrente dichiarazione di intento con cui attestavano falsamente di trovarsi nella condizione di esportatori abituali” essendo emerso (1) “dalle indagini svolte” (a) che ” B.L.” (“coniuge dell’amministratore della Vitale Motor srl,… V.T.”) (a1) “aveva avuto contatti esclusivamente con tali Bi.Gi. e Pa., gestori di fatto della G. & G. di Gianotti Giulio, cui erano riconducibili in massima parte le operazioni di acquisto delle autovetture in esenzione di imposta, nonchè effettivi cessionari, tramite proprie società, di quelle apparentemente vendute alla Masperi Automobili” e (a2) “aveva ricevuto n. 7 assegni bancari, del complessivo importo di Euro 54.600,00, tratti su un conto corrente intestato alla G. & G. di Gianotti Giulio” (ma “tali somme non erano transitate sui conti ufficiali della società”), nonchè (2) dalle “sommarie informazioni acquisite da… D.M.A., già contabile della Vitale Motor” (a) che “gli acquisti erano effettuati sempre da P. e B.G., più volte recatisi a Campobasso e con i quali erano stati intrattenuti tutti i rapporti commerciali intestati alle due imprese cessionarie” e (b) che “anche i loghi e le firme sulle dichiarazioni di intento risultavano talvolta diversi ed alcune di queste erano state rinvenute in bianco” (“le dichiarazioni di intento sbagliate, poi, erano state sostituite, secondo il D.M., secondo le istruzioni ricevute dal B.L.”).

B. Giudicati “pienamente condivisibili i presupposti di diritto…

affermati dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 12 gennaio 2006, per cui il diritto del soggetto passivo di dedurre l’IVA pagata a monte è condizionato, nel caso in cui il cessionario operi in frode alla legge, alla buona fede dello stesso e, comunque, ad un comportamento attento che non crei il ragionevole dubbio di una pur semplice connivenza con la situazione evasiva”, il giudice di appello ritiene “le affermazioni dell’Ufficio e della Guardia di Finanza… contraddittorie e smentite da una serie di circostanze difficilmente confutabili”:

– “la frode imputata alla Vitale Motor avrebbe richiesto un qualche interesse economico della stessa a parteciparvi”: “non basta”, quindi (“come fa l’Ufficio”), “affermare che l’interesse consisteva nel recupero dell’imposta sul valore aggiunto assolta sugli acquisti, poichè tal diritto non era affatto collegato alle vendite con dichiarazione d’intento, sussistendo comunque anche nel caso di vendite normali, per le quali anzi il recupero sarebbe probabilmente avvenuto in tempi più brevi di quelli imposti dalla procedura di rimborso”;

– “la Vitale Motor ha certamente tratto vantaggio dalle vendite, come dimostra il ricarico praticato poco superiore al 3%, calcolato proprio dall’Agenzia..-, cui vanno aggiunti i bonus quantitativi e/o qualitativi corrisposti dalla Autogerma s.p.a. ed oscillanti tra i 3.368,41 dell’anno 2003 e i 99.780,90 dell’anno 2004, ma si è trattato del normale profitto dr impresa, che giustifica di per sè le operazioni commerciali”;

– “non vi è alcuna prova, invece, di specifici e diversi vantaggi collegati ad un rapporto sinallagmatico di tipo fraudolento tra le parti”:

(1) “neppure può ritenersi, contrariamente a quanto assunto dal primo giudice, che gli importi pagati dal G. al B. L. siano in qualche modo da considerare una sorta di corrispettivo dalla partecipazione all’accordo fraudolento”; “l’Ufficio, in verità, ha riconosciuto che trattavasi di provvigioni ed in quanto tali le ha tassate in sede di accertamento con adesione (depositato agli atti dalla difesa della Vitale Motor srl) tanto da aver consentito ad una riduzione dell’imponibile a titolo di spese per la produzione del reddito”: “non può l’Amministrazione finanziaria da un lato attribuire le somme alla specifica categoria reddituale del lavoro autonomo e, dall’altro, pretendere di considerarle un provento illecito: avrebbe altrimenti dovuto considerare il reddito prodotto tra quelli diversi e tassarlo come tale”;

(2) “del tutto superflue, comunque prive di qualsiasi rilevanza giuridica, sono le disquisizioni circa il soggetto che ha ricevuto le somme (il B.L. o la V.) ed il loro impiego nell’acquisto di un appartamento”;

(3) “per quanto concerne i trasporti delle autovetture, non risulta che l’autotrasportatore B.A. abbia detto di aver ricevuto indicazioni da… B.L. o dall’Amministratore della Vitale Motor srl”: “ha, sempre riferito, invece, di aver preso ordini dal Bi. ( Gi.), con il quale, evidentemente, intratteneva i rapporti in via esclusiva e sul quale ricadeva l’onere del pagamento delle spedizioni”;

(4) “le dichiarazioni di intento… sono del tutto regolari negli aspetti formali, anche per quanto concerne le forme e i luoghi, difficili da controllare negli aspetti formali”: “la consegna in bianco di una sola dichiarazione, da compilare probabilmente secondo gli accordi già intercorsi, non può inficiare la validità dei documenti, che, come esattamente rilevato dalla parte in conformità alla giurisprudenza di legittimità, è attestazione emessa sotto la personale, diretta ed esclusiva responsabilità del soggetto che dichiara di essere in possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi postulati dalla legge per usufruire della non imponibilità IVA sui beni e/o servizi destinati all’esportazione, per cui il cliente che si attiene alla dichiarazione pone in essere un comportamento del tutto adeguato alla previsione di legge” e “al cedente non incombe alcun onere nè facoltà di specifico controllo in ordine all’eventuale non veridicità della stessa”; “anche l’Ufficio riconosce che la dichiarazione solleva il cedente da ogni responsabilità relativa al mancato pagamento dell’imposta, che in tale modo ricade esclusivamente sui soggetti attestanti il diritto all’agevolazione richiesta”;

(5) “le affermazioni… dell’Ufficio relative alla necessità di provare con idonea documentazione l’effettiva uscita dei beni dal territorio nazionale” non sono “pertinenti al caso” essendo “evidente che un tale obbligo incombe sul cessionario, non già sul cedente”.

La Commissione Tributaria Regionale osserva ancora: – “l’Amministrazione, in sostanza, pretende di inferire dal comportamento sicuramente fraudolento delle ditte acquirenti e degli altri soggetti coinvolti nel comportamento evasivo e delittuoso, una responsabilità quasi oggettiva della cedente Vitale Motor, pur non a- vendo alcuna prova in merito”: “non gli strumenti di pagamento utilizzati, tutti assegni della G. & G. di Gianotti Giulio (compresi i sette dati a B.L. a titolo di provvigione), non quelli della Masperi Automobili, che, pur provenendo dalla Autostar s.r.l., erano tutti intestati a M.R. e da questo girati alla Vitale Motor”;

– “anche la circostanza della conoscenza di… B.L. con i due Bi. non costituisce prova di una collusione, essendo stato documentalmente dimostrato che tra le parti erano esistiti regolari e non contestati rapporti economici nell’anno 2001”;

– “le illazioni circa i contratti successivi provengono esclusivamente da… D.M.A., soggetto poco attendibile in quanto licenziato per gravi contrasti con la proprietà ed entrato in contenzioso con la società”.

Il giudice a quo, quindi, ricordato esser “del tutto pacifica la piena autonomia del processo tributario da quello penale, a prescindere anche dall’esistenza o meno di un giudicato, ammettendosi nel primo presunzioni prive di valenza probatoria nel secondo”, aggiunge “un’ultima annotazione” circa “i profili penali della vicenda”: “non può tuttavia non rilevarsi, sul piano squisitamente fattuale, come il P.M. presso il Tribunale di Campobasso abbia dato una valutazione dei medesimi elementi di prova del tutto diversa da quella del giudice tributario di primo grado, che per le considerazioni sopra svolte si ritiene di condividere pienamente: non sono disponibili prove bastevoli del coinvolgimento dei coniugi B. nel complesso disegno criminoso ardito dal G. e dai due Bi.; la questione della frode fiscale citata in sentenza attiene al procedimento aperto dalla Procura della Repubblica di Milano, che l’ha indicata come ipotesi residuale rispetto all’esclusa associazione a delinquere, da verificare nelle sedi competenti e, come noto, poi archiviata a Campobasso. Per quanto concerne gli altri rilievi oggetto di contestazione, questo giudice non ha ragione di discostarsi dalle conclusioni alle quali è giunta la prima commissione”.

C. Secondo la Commissione Tributaria Regionale, di poi, “non vi è…

alcuna diversa conseguenza fiscale a considerare i bonus qualitativi o quantitativi, essendo comunque ricollegabili ad attività connesse con l’incremento delle vendite, per cui non si comprende perchè mai dovrebbero essere assoggettati ad IVA”; “la società Autogerma, peraltro, pur riconoscendo i bonus in relazione sia ad obiettivi di vendita che a standard organizzativi e ad indici di soddisfazione dei clienti, li parametra alle entrate e, anche se non li conteggia al momento della cessione degli autoveicoli, li considera di fatto quali sconti trimestrali da calcolare a decurtazione del prezzo di acquisto dei beni risultanti dalle singole fatture di acquisto”.

Per il giudice a quo “i bonus in questione non costituiscono lo specifico corrispettivo di obbligazione di fare assunte dalla concessionaria, altrimenti dovrebbero essere pagati a prescindere dal volume delle vendite” per cui “l’Ufficio effettua la distinzione teorica tra bonus qualitativi e quantitativi, ma essa nel considerarli remunerazioni aggiuntive a quelle principali di vendita, dalle quali invece scaturiscono” (sic).

D. La “parte”, infine, a giudizio della Commissione Tributaria Regionale, “ha dimostrato” che le “differenze tra i prezzi di vendita delle autovetture risultanti dai contratti e quelli risultanti dalle fatture di vendita… scaturiscono dalle diversità tra auto ordinate e auto consegnate”.

3. L’Agenzia chiede di cassare la decisione per sei motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia (“in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”) “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, nonchè dell’art. 2727 c.c. e ss.”, sintetizzate nel “quesito di diritto” “se il giudice di merito, nel valutare la fondatezza della prova presuntiva fornita dalla parte attrice, debba ricavare i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza richiesti dalla legge attraverso la valutazione globale e complessiva degli indizi disponibili, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, in guisa che risulti illegittima la sentenza resa nel caso di specie dal giudice a quo, che si è limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi”.

B. Con la seconda doglianza l’Agenzia denunzia “omessa, Insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi della causa”, ovverosia “in relazione alle ragioni sulle quali si è fondato l’accertamento”.

C. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia (“in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”) “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1912, n. 633, artt. 8, 21 e 54, anche con riferimento alla L. 21 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1, ed al D.Lgs. 18 dicembre 1991, n. 411, art. 7, comma 3”, idoneamente riassunte nel “quesito di diritto”;

“se sia tenuto al pagamento dell’imposta evasa il cedente che abbia emesso una fattura senza applicazione di imposta sulla base di una dichiarazione di intento rilasciata dal cessionario ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c, allorchè sussistano – come nel caso di specie – elementi gravi, precisi e concordanti che facciano ritenere che egli conoscesse, o dovesse comunque conoscere con l’uso dell’ordinaria diligenza, la falsità ideologica di quella dichiarazione”.

D. Con il quarto motivo l’Agenzia denunzia (“in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”) “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, comma 3, lett. a), artt. 3 e 21, e art. 26, comma 2”, per “quanto concerne il problema dell’applicazione dell’I.V.A. ai bonus ricevuti dalla soc. Vitale Motor s.r.l. da parte della soc. Autogerma, quale distributore dei veicoli in Italia” e – assunto esser “pacifico ed incontestato” (1) che “tali bonus rappresentano un compenso dovuto al verificarsi di determinate condizioni, in conformità con le clausole contrattuali contenute nella convenzione che disciplina il rapporto di distribuzione” e (2) che gli stessi “sono distinti in due categorie”: (a) “bonus quantitativi” (“che rappresentano lo strumento che la società distributrice utilizza per incentivare l’attività e che sono dovuti al raggiungimento di un predeterminato volume di vendite di veicoli”;

“secondo il sinallagma negoziale, essi sono calcolati trimestralmente e si traducono sostanzialmente in uno sconto di prezzo, praticato ex post, per l’acquisto dei veicoli effettuato dalla concessionaria presso la società distributrice”) e (b) “bonus qualitativi”, “erogati in relazione al raggiungimento ed al mantenimento di determinati standard che attengono alle strutture di vendita, all’organizzazione del personale, alla predisposizione di un adeguato sistema informativo ed all’esecuzione di attività promozionale, nonchè ai risultati di un’indagine condotta da un soggetto terzo per conto della società, in ordine al grado di soddisfazione della clientela” – sostiene che “i giudici tributari”, avendo “ritenuto che In entrambi i casi è ravvisabile una mera cessione di denaro, esclusa dall’imposizione I.V.A. ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a)”, sono incorsi in un “errore di diritto” atteso che “le cessioni di denaro escluse dall’ambito di applicazione dell’imposta sono rappresentate dalle sole operazioni finanziarie o dalle dazioni a titolo gratuito, e non pure quelle da quelle che siano legate da un rapporto di corrispettività con il compimento di specifiche operazioni di cessione di beni o di prestazioni di servizi”.

La ricorrente, quindi, aggiunge che “la circostanza (di per sè ovvia) che il compenso sia corrisposto in denaro non esclude certamente la sussistenza di una tipica operazione soggetta al regime dell’I.V.A.” in quanto:

– “i bonus quantitativi rappresentano uno sconto sul prezzo di vendita praticato dalla società distributrice alla concessionaria, al verificarsi di condizioni contrattualmente predeterminate” (e, pertanto, “possono essere assoggettati al medesimo trattamento riservato agli sconti ed abbuoni previsti contrattualmente, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, in relazione ai quali è prevista l’emissione di una nota di credito da parte del cedente nei confronti del cessionario, con obbligo di versamento dell’I.V.A. da parte di quest’ ultimo” mentre “ove… le parti non intendano avvalersi della facoltà di ricorrere all’emissione di una nota di credito, permane comunque l’obbligo del concessionario che riceva il bonus di emettere fattura, perchè tale pagamento configura il corrispettivo di uno specifico servizio reso al distributore, quale il raggiungimento di un particolare risultato contrattualmente convenuto”);

– “i bonus qualitativi… rappresentano il corrispettivo di specifiche prestazioni di fare (quali sono le prestazioni di pubblicità o di marketing, o le altre analoghe prestazioni a cui è connessa la loro erogazione) previste contrattualmente”: “la circostanza che tali prestazioni siano facoltative, eventuali ed aggiuntive rispetto a quella principale di vendita, e che il loro riconoscimento sia subordinato ad opportune verifiche di qualità, non esclude la natura sinallagmatica del rapporto ed il carattere corrispettivo del pagamento, con conseguente configurabilità di una regolare operazione commerciale soggetta ad I.V.A., e non di una mera dazione di denaro esente da imposta”.

A conclusione la ricorrente chiede (“quesito di diritto”);

“se siano soggetti ad I.V.A., in quanto espressione di sconti su operazioni di acquisto o di compensi su specifiche prestazioni di servizio eventuali ed accessorie, i bonus conferiti da una società distributrice di autoveicoli ad una società concessionaria sulla base di specifiche clausole contrattuali che prevedano speciali compensi al raggiungimento di determinati volumi di vendita o di determinati standard qualitativi, e se sia pertanto errata la sentenza resa sul punto dai giudici di merito, secondo cui nella fattispecie sarebbe ravvisabile una semplice dazione di denaro esente da imposta”.

E. Con la quinta doglianza l’Agenzia – esposto che “al fine di negare l’applicabilità dell’I.V.A. sui bonus, la C.T.R. ha ritenuto di affermare che essi non costituiscono lo specifico corrispettivo di obbligazione di fare assunte dalla concessionaria, altrimenti dovrebbero essere pagati a prescindere dal volume delle vendite” – denunzia (“in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”) “insufficiente ed illogica motivazione su fatti controversi e decisivi della causa” osservando che detta “affermazione”:

– “se riferita ai bonus quantitativi,… è contraria all’evidenza, e perciò contraddittoria ed illogica, essendo pacifico ed incontroverso che tali corrispettivi venivano concessi in cambio di uno specifico facere, qual’è la vendita di un predeterminato numero minimo di veicoli”: “non si vede perchè le parti, nella propria autonomia, non si possano accordare per disciplinare una prestazione di tal genere”).

– “appare ancor più illogica, se riferita ai bonus qualitativi, essendo ancor più evidente che nel caso di specie si configura un compenso specifico, disancorato dal volume di vendita, per aver fornito particolari prestazioni (pubblicità, marketing, etc…) o per avere svolto con particolari modalità l’attività prevista in via ordinaria”.

Per la ricorrente, quindi, “la gratuita affermazione sopra richiamata non può costituire elemento sufficiente per negare l’accoglimento del motivo di diritto enunciato al punto precedente”.

F. Con il sesto (ultimo) motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata “nella parte in cui conferma l’annullamento dei recuperi d’imposta determinati dalla riscontrata differenza tra i prezzi di vendita risultanti da alcuni contratti e l’importo delle relative fatture” – “differenza” giustificata dalla Commissione Tributaria Regionale con il “fatto che i veicoli venduti, risultavano talvolta privi di alcuni optionals” – e denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 1, e dell’art. 54, nonchè dell’art. 2697 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, esponendo che “tale statuizione appare contraria alle norme in tema di accertamento e di prova” perchè “in presenza di un rilievo fondato su prove documentali provenienti dallo stesso contribuente, quali indubbiamente sono i contratti di vendita stipulati in forma scritta, la C.T.R. non poteva dare prevalenza alle immotivate affermazioni del contribuente, secondo cui i prezzi convenuti sarebbero stati di fatto ridotti al momento della cessione del bene per l’asserita mancanza di alcune sue caratteristiche”.

La censura si conclude con il “quesito di diritto” “se incorra nel vizio di violazione delle norme in tema di accertamento e di prova il giudice tributario che, nel giudicare sulla legittimità di un provvedimento di recupero a tassazione di maggiori corrispettivi non fatturati risultanti da un contratto scritto di vendita, annulli l’atto impositivo sulla base di semplici affermazioni del contribuente, non suffragate da prova documentale, concernenti l’esistenza di asserite differenze tra i prezzi convenuti e quelli effettivamente praticati”.

4. Dal suo canto la contribuente oppone: – sul primo motivo, che:

l’Agenzia “espone considerazioni di natura politica circa la frode carosello”; “la Commissione Tributaria Regionale ha dato sicura risposta al quesito posto da controparte” (che interpreta “in modo originale e… non conforme agli orientamenti” la “giurisprudenza citata”); “il secondo giudice ha puntualmente vagliato i fatti da tutte le possibili angolazioni… giungendo alla conclusione che essa ditta era completamente estranea agli intenti fraudolenti perseguiti dalle cessionarie”, anche perchè “la parte che incassa i pagamenti… non ha interesse o ragione di indagare circa la loro provenienza, essendo normale che le operazioni commerciali determinino transazioni a catena”;

– circa il secondo, (a) che la tesi di un suo “interesse a partecipare all’attività delittuosa” (“riscossione di corrispettivi… in un ristretto arco di tempo, garanzia dei bonus, crediti di imposta”) è “smentita dalla circostanza che la moltiplicazione delle vendite e l’incremento dei profitti…

rappresentano l’obiettivo di ogni impresa” e b) che “l’accordo illecito tra autotrasportatori e cessionari per la consegna dei beni in luoghi diversi da quelli indicati nei documenti di trasporto viene addossato ad essa cedente attraverso affermazioni apodittiche”;

il terzo “rilievo” è “consequenziale a quello precedente” (“in qualche modo ripetitivo”) perchè “formulato sempre sulla presunta consapevolezza delle operazioni fraudolente” da parte sua;

– “i bonus” oggetto dei successivi due motivi di ricorso “non rappresentano… l’adempimento di obbligazioni… facenti capo al concessionario… e non incidono sulla continuità del rapporto contrattuale” atteso che “Autogerma spa ha un interesse… solo indiretto a che il concessionario migliori la propria posizione commerciale”;

– sull’ultima doglianza, che “l’aspetto” relativo alla “differenza tra i prezzi di vendita di alcune autovetture… e quelli esposti nelle fatture” costituisce “accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito”.

5. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso debbono essere respinti;

tutti gli altri vanno accolti perchè fondati, A. All’esame dei primi tre motivi – da compiersi congiuntamente per la connessione che li lega – va premesso che:

(1) per il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 1, “costituiscono cessioni all’esportazione”:

– lett. a) “le cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante trasporto o spedizione di beni fuori del territorio della Comunità economica Europea, a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi…”: in tal caso “la esportazione deve risultare da documento doganale, o da vidimazione apposta dati ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero…sul documento di cui all’art. 21, comma 4, secondo periodo..”;

– lett. b) “le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità economica Europea entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto, ad eccezione dei beni…”: in tal caso “l’esportazione deve risultare da vidimazione apposta dall’ufficio doganale o dall’ufficio postale su un esemplare della fattura”;

– lett. c) “le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari, o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta”;

(2) per il successivo secondo comma dello stesso articolo, “le cessioni e le prestazioni di cui alla lett. c) sono effettuate senza pagamento dell’imposta ai soggetti indicati nella lettera a), se residenti, ed ai soggetti che effettuano le cessioni di cui alla lettera b) del precedente comma su loro dichiarazione scritta e sotto la loro responsabilità, nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle cessioni di cui alle stesse lettere dai medesimi fatte nel corso dell’anno solare precedente….”.

In base al combinato disposto di tali norme questa sezione (sentenza 20 giugno 2008 n. 16819) ha già precisato che per avvalersi della speciale disposizione dettata dalla lett. c) per effettuare “cessioni all’esportazione… senza pagamento dell’imposta”.

(1) non è sufficiente l’assunzione (con la prestazione della prevista “dichiarazione scritta”) di “responsabilità” (c.d.

dichiarazione df intento) da parte di un qualsiasi soggetto, essendo necessario che il soggetto abbia effettivamente i requisiti previsti dalle precedenti lettere a) e b), e, di poi, (2) che l’operazione, oggettivamente destinata all’esportazione, si concluda con l’effettiva esportazione.

La prestazione, da parte del cessionario (soggetto obbligato), di una “dichiarazione di intenti” ideologicamente falsa – nel caso irreversibilmente accertata (siccome imprescindibile presupposto oggettivo del suo complessivo ragionamento) dal giudice del merito – pone il delicato problema della “suddivisione del rischio tra fornitore e amministrazione finanziaria” conseguente alla “frode” commessa dal terzo: la Corte di Giustizia CE, quanto alle operazioni di “cessione e… acquisto intracomunitari di beni”, ha di recente risolto tale problema applicando (sentenza del 27 settembre 2007 pronunciata nel procedimento C-409/04) il “principio di proporzionalità” sul rilievo che “invece di prevenire la frode fiscale, un regime che faccia ricadere l’intera responsabilità del pagamento dell’IVA sul fornitore, indipendentemente dal coinvolgimento o meno di quest’ultimo nella frode, non preserva necessariamente il sistema armonizzato dell’IVA dalla frode e dell’abuso dell’acquirente”: “quest’ ultimo, se fosse esentato da qualsiasi responsabilità, potrebbe infatti essere indotto a non spedire o a non trasportare ì beni fuori dallo Stato membro di cessione e a non dichiararli ai fini dell’IVA negli Stati membri di destinazione previsti”.

In particolare, per quanto qui rileva, nei punti “68” e “72” della sua decisione il giudice comunitario ha statuito:

– “l’art. 28 quater, parte A, lett. a), comma 1, della sesta direttiva va interpretato nel senso che osta a che le autorità competenti dello Stato membro di cessione obblighino un fornitore, che ha agito in buonafede e ha presentato prove giustificanti prima facie il suo diritto all’esenzione di una cessione intracomunitaria di beni, ad assolvere successivamente l’IVA su tali beni, quando tali prove essersi rivelano false senza che risulti tuttavia provata la partecipazione del fornitore medesimo alla frode fiscale, nella misura in cui ha adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere alfine di assicurarsi che la cessione intracomunitaria effettuata non lo conducesse a partecipare ad una frode siffatta”;

– “il fatto che l’acquirente abbia presentato alle autorità tributarie dello Stato membro di destinazione una dichiarazione relativa all’acquisto intracomunitario… può costituire una prova supplementare diretta a dimostrare che i beni hanno effettivamente lasciato il territorio dello Stato membro di cessione, ma non costituisce una prova determinante ai fini dell’esenzione dell’IVA di una cessione intracomunitaria”.

Il principio, pur relativo (si ripete) ad ipotesi di “cessione intracomunitaria”, per la sua valenza generale, attesa l’evidente identità (se non, addirittura, la maggior significazione) di ratio, deve essere applicato anche all’ipotesi (che connota la fattispecie concreta) di “cessioni” di beni asseritamente (giusta la “dichiarazione di intenti” del cessionario) destinati “all’esportazione” ma in effetti non esportati, per cui (mutatis mutandis) va affermato che l’obbligo del fornitore “che ha agito in buonafede e ha presentato prove” (la “dichiarazione” detta) “giustificanti prima facie il suo diritto all’esenzione” di “assolvere successivamente l’IVA su tali beni, quando tali prove essersi rivelano false senza che risulti tuttavia provata la partecipazione del fornitore medesimo alla frode fiscale” può essere escluso solo “nella misura in cui” risulti provato che lo stesso ” ha adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere alfine di assicurarsi che la cessione… effettuata non lo conducesse a partecipare ad una frode siffatta”.

Dal principio discende evidente l’erroneità della sentenza impugnata in quanto il giudice di appello – per il quale (come riportato innanzi) “il comportamento” delle “ditte acquirenti” era, nel caso, “sicuramente fraudolento” -, pur avendo affermato che “il diritto del soggetto passivo di dedurre l’IVA pagata a monte è condizionato, nel caso in cui il cessionario operi in frode alla legge, alla buona fede dello stesso e, comunque, ad un comportamento attento che non crei il ragionevole dubbio di una pur semplice connivenza con la situazione evasiva”, mostra di aver riguardato il complessivo materiale probatorio sottoposto al suo esame unicamente sotto l’aspetto (giuridicamente rilevante solo per escludere la mala fede della contribuente) dell’eventuale “interesse” economico della srl VITALE MOTOR e non pure per verificare se la stessa abbia “adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere” (come: richiedere al cessionario, tenuto conto della ripetizione delle operazioni, la prova della avvenuta effettiva esportazione delle cessioni precedenti; prestare la dovuta attenzione anche all’aspetto “formale” delle dichiarazioni di intento prodotte) ^alfine di assicurarsi che la cessione…

effettuata non lo conducesse a partecipare ad una frode”.

Sulla specifica pretesa fiscale, infine, va rilevata l’indubbia contraddittorietà della sentenza gravata in ordine alla dichiarata sussistenza di un “interesse economico” della contribuente in quanto lo stesso giudice afferma che “la VITALE MOTOR ha certamente tratto vantaggio dalle vendite”: è appena il caso di evidenziare l’ovvio, indiscutibile effetto incentivante delle vendite (quindi significativo dell’interesse economico perseguito dal commerciante) derivante dalla vendita del bene al netto dell’imposta, traducendosi tal fatto nella possibilità di praticare un prezzo corrispondentemente minore rispetto a quello della concorrenza (se non della stessa AUTOGERMA spa).

B. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso – scrutinabili anch’ essi congiuntamente perchè attinenti all’assoggettabilità ad IVA dei c.d. “bonus”, ovverosia (per dirla con la contribuente) degli “sconti condizionati riconosciuti da AUTOGERMA spa al concessionario sul prezzo di vendita delle autovettura e dei ricambi”, cioè (secondo il giudice di appello) degli “sconti trimestrali da calcolare a decurtazione del prezzo di acquisto dei beni risultanti dalle singole fatture di acquisto” -, corretta (ex art. 384 c.p.c.) la motivazione della sentenza impugnata (perchè sull’afferente punto il dispositivo si rileva comunque “conforme al diritto”), debbono essere disattesi.

B.1. La “decurtazione del prezzo di acquisto” riconosciuta ed operata dalla spa AUTOGERMA in favore della vitale MOTOR srl a fronte della complessiva attività fruente dei “bonus” convenuti svolta dalla seconda, invero, contrariamente a quanto (implicitamente) ritenuto dalla Commissione Tributaria Regionale e (espressamente) sostenuto dalla contribuente, non è affatto sussumibile nella previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a), – per il quale, ai fini dell’assoggettamento all’imposta sul valore aggiunto, “non sono considerate cessioni di beni…le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro” – atteso che nel caso, in base alla stessa prospettazione della VITALE MOTOR srl, il “denaro” costituente la quantificazione dei “bonus” non rappresenta (come la norma richiede) l'”oggetto” del contratto (ovverosia uno dei “requisiti” previsti dall’art. 1325 c.c.; exempli causa, cfr. l’art. 1815 c.c., comma 1, per il quale “una determinata quantità di danaro” può costituire, appunto, l'”oggetto” del contratto di “mutuo”) ma esprime (come in qualsiasi cessione di beni) solo la misura del “prezzo di acquisto” pattuito (anche se condizionatamente al raggiungimento degli obiettivi) con la AUTOGERMA spa (certamente interessata al conseguimento dei risultati considerati dai “bonus”, per gli intuibili riflessi favorevoli sulle vendite, anche future, derivante dall’immagine, lato sensu, favorevole del prodotto complessivo offerto).

B.2. Il rilievo dalla contribuente secondo cui i “bonus” in questione (a) “non rappresentano… l’adempimento di obbligazioni contrattualmente facenti capo al concessionario e da questi assunti nei confronti di AU-TOGERMA spa” e (b) “non incidono sulla continuità del rapporto contrattuale”, poi, non è giuridicamente idoneo a snaturare la individuata natura (“prezzo” delle cessioni dei beni) degli stessi atteso che per l’art. 1353 c.c., “le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione” non solo “del contratto” ma anche “di un singolo patto” ad un “avvenimento futuro e incerto”.

Per nozione istituzionale, l'”avvenimento” considerato dalla norma può anche essere determinato (come nell’esempio scolastico “mi impegno a regalarti un orologio se conseguirai la laurea”) in un fatto causalmente dipendente (in tutto o in parte) dalla (mera) volontà del “creditore” della prestazione promessa, essendo affette da “nullità” (art. 1355 c.c.) soltanto “l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà” intesa (Cass., 2^, 26 settembre 2008 n. 24235, che richiama “Cass. 9587/2000; Cass. 8390/2000; Cass. 10074/96; Cass. 4785/1989”) come “mero arbitrio del soggetto obbligato”, quindi con esclusione dell’eventuale o probabile “concorso di fattori estrinseci che possono influire sulla determinazione della volontà della parte, alla quale ne è rimessa la valutazione in vista del suo esclusivo interesse” “dell’alienante o, rispettivamente, da quella del debitore”, mai (come ovvio), pertanto, da quella dipendente dalla “volontà” (anche se “mera”, ovverosia insindacabile da chiunque) dell’acquirente o del creditore:

nel caso la contribuente assume appunto la qualità di “creditore” della prestazione (riduzione del prezzo di vendita) promessa dalla AUTOGERMA spa al verificarsi degli “avvenimenti” condizionanti il sorgere di quella prestazione, di tal che questa trova il suo vincolo sinallagmatico e la sua “corrispettività” (vanamente, perciò, contestata nel controricorso) sempre ed unicamente nell’operazione (economica e giuridica) oggetto del contratto (di concessione) concluso tra la contribuente e detta AUTOGERMA. B.3. La complessiva attività considerata dalle parti come produttiva di “bonus”, poi ed infine, diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia, non è ricondu-cibile alla nozione di “cessione di beni” e/o di “prestazione di servizi” costituenti (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 2 e 3) “operazioni imponibili” ai fini dell’IVA. La Corte di Giustizia CE, infatti, premesso che “29… dell’art. 2, n. 1, della sesta direttiva, discende che ciascuna prestazione di servizio dev’essere considerata di regola come autonoma e indipendente e che, dall’altro, la prestazione costituita da un unico servizio sotto il profilo economico non dev’essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’IVA” (per cui “occorre individuare gli elementi caratteristici dell’operazione di cui trattasi per stabilire se il soggetto passivo fornisca al consumatore, considerato come consumatore medio, più prestazioni principali distinte o un’unica prestazione”), ha reiteratamente precisato (decisioni: 11 giugno 2009 n. 572, in causa C-572/07; 21 febbraio 2008 n. 425, in causa C-425/06; 11 gennaio 2001 n. 76, in causa C-76/99; 25 febbraio 1999 n. 349, in causa C-349/96, da cui gli excerpta):

– “30… si configura una prestazione unica… nel caso in cui uno o più elementi devono essere considerati nel senso che costituiscono la prestazione principale, mentre uno o alcuni elementi devono essere considerati come una prestazione accessoria o alcune prestazioni accessorie cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale”;

– “una prestazione dev’essere considerata accessoria ad una prestazione principale quando essa non costituisce per la clientela un fine a sè stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (sentenza 22 ottobre 1998, cause riunite C-308/96 e C-94/97…)”.

Nel caso entrambe le specie di “.bonus” in contestazione, già in base alla prospettazione (questa volta) dell’Agenzia, costituiscono univocamente, non già il “corrispettivo” di “specifico servizio reso al distributore” (“raggiungimento di un particolare risultato contrattualmente convenuto”) o di “specifiche prestazioni di fare” (“prestazioni di pubblicità o di marketing, o le altre analoghe prestazioni a cui è connessa la loro erogazione”), ma “prestazioni accessorie” di quella principale, rilevanti soltanto ai fini di una differente quantificazione della stessa.

C. Fondatamente, infine, l’Agenzia si duole dell’affermazione del giudice di appello secondo cui la contribuente “ha dimostrato” che le “differenze tra i prezzi di vendita delle autovetture risultanti dai contratti e quelli risultanti dalle fatture di vendita…

scaturiscono dalle diversità tra auto ordinate e auto consegnate”:

la stessa contribuente, nell’assumere (a difesa del giudizio espresso dalla Commissione Tributaria Regionale) che “l’aspetto costituisce comunque accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito”, si è limitata ad esporre, senza alcuna specificazione, di aver “documentalmente dimostrato… che la differenza di prezzo di alcune autovetture indicati nei contratti e quelli esposti nelle fatture scaturiscono dalla diversità tra auto ordinate e auto consegnate”.

L’assoluta genericità delle richiamate affermazioni (sia della società che, comunque, del giudice del merito) mostra di per sè l’apoditticità del giudizio conclusivo espresso nonchè la sottostante “violazione delle norme in tema… di prova” lamentate dall’Agenzia, non essendo indicata nemmeno la fonte documentale (esistente agli atti del giudizio) dimostrativa dell’assunta conclusione: resta, pertanto, del tutto ignoto ed indeterminabile il possibile complessivo iter logico giuridico – ricognitivo (prima) e valutativo (poi) delle idoneità, sufficienza e convergenza delle prove offerte, anche quanto alla effettività e regolarità della asserita modifica contrattuale dell’oggetto della vendita (“diversità tra auto ordinate e auto consegnate”) – seguito all’uopo dalla Commissione Tributaria Regionale.

D. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata a causa degli evidenziati errori e la causa, siccome ancora bisognevole dei conferenti necessari accertamenti fattuali, deve essere rinviata a sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale diversa da quella che ha emesso la decisione annullata affinchè la stessa provveda (1) a riesaminare l’appello della contribuente facendo applicazione dei principi di diritto desumibili in equivocamente dalle considerazioni che precedono per i quali: (a) in ipotesi di accertata (come nel caso) falsità ideologia della “dichiarazione scritta… di responsabilità” del cessionario in ordine (a1) alla destinazione del bene “fuori del territorio della Comunità economica Europea” e (a 2) al possesso dei requisiti (soggettivi ed oggettivi) previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, il contribuente deve provare di avere ” adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione… effettuata” in regime di esenzione (“senza pagamento dell’imposta”) dall’IVA, “non lo conducesse a partecipare aduna frode”, e (b) la “diversità tra auto ordinate e auto consegnate” non va semplicemente affermata ma debitamente e convincentemente provata dalla contribuente che la ha allegata, nonchè (2) a regolare tra le parti anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre ed il sesto motivo di ricorso; rigetta il quarto ed il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Molise.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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