Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1275 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 20/01/2011), n.1275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 293/2010 proposto da:

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 12/D, presso lo studio dell’avvocato

CASTALDI Italo, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPDAP – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA DIPENDENTI AMMINISTRAZIONE

PUBBLICA in persona del Presidente/Commissario Straordinario e legale

rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. CROCE IN

GERUSALEMME 55, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSAFRA Paola, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7104/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

14.10.08, depositata il 24/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito per il controricorrente l’Avvocato Paola Massafra che si

riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. Umberto

APICE che ha concluso per la trattazione del ricorso in pubblica

udienza.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di consiglio del 21 dicembre 2010 ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base di una relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c., nei termini che vengono di seguito riferiti.

Con ricorso notificato in data 15/16 dicembre 2009, M.M. chiede, con un duplice motivo, la cassazione della sentenza depositata il 24 luglio 2009 e notificata il successivo 23 ottobre, con la quale la Corte d’appello di Roma aveva dichiarato l’inesistenza del suo appello avverso la sentenza n. 1122 del 2006 del Tribunale della medesima città (emessa nei confronti dell’INPDAP), in ragione del fatto che l’atto di appello notificato e depositato presso la cancelleria della Corte territoriale il 9 marzo 2006 a nome del sig. M.M. non recava in calce o in altra parte dello stesso la sottoscrizione di un difensore, all’uopo incaricato.

In proposito, il ricorrente deduce in primo luogo la violazione dell’art. 125 in relazione all’art. 156 c.p.c., comma 3, nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, la quale non avrebbe tenuto conto del fatto che l’art. 125 c.p.c., non prevede la nullità degli atti ivi indicati, tra i quali il ricorso in appello, nel caso di mancata sottoscrizione del difensore e che l’art. 156, comma 3, stabilisce che la nullità non può essere pronunciata se l’atto ha raggiunto il suo scopo, risultato che sarebbe stato sicuramente raggiunto nel caso in esame, in ragione del fatto che, in conseguenza del ricorso in appello, regolarmente ricevuto dal cancelliere, era stato pronunciato il decreto di fissazione dell’udienza di discussione, erano state rilasciate copie del ricorso e del decreto dalla cancelleria e l’appellata, nel costituirsi, non aveva formulato in proposito alcun rilievo, difendendosi nel merito.

Col secondo motivo, M.M. deduce la violazione dell’art. 163, in relazione agli artt. 125 e 156 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione.

Essendo la sottoscrizione dell’atto funzionale alla certa e inequivocabile individuazione del soggetto da cui l’atto proviene e delle finalità che l’atto persegue, nel caso in esame, secondo il ricorrente, che sostiene la tesi secondo cui la mancata sottoscrizione comporterebbe una nullità sanabile dell’atto, tale certezza deriverebbe comunque:

a) dal fatto che la procura in calce al ricorso è sottoscritta dalla parte, il che renderebbe certa sia la provenienza che la finalità dell’atto;

b) l’atto reca il timbro dello studio legale da cui proviene, che è quello cui era stato conferito il mandato;

c) la relazione di notifica del ricorso era stata formulata “su istanza dell’avv. Italo Castaldi per conto e nell’interesse di M.M.”.

Alla domanda di annullamento della sentenza impugnata resiste l’INPDAP con rituale controricorso, deducendo preliminarmente l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, in quanto il ricorrente avrebbe dichiarato di depositare copia autentica della sentenza impugnata e non copia autentica di tale decisione con la relazione di notifica, effettivamente avvenuta nel caso in esame il 23 ottobre 2009.

L’Ente, sempre in via preliminare, deduce inoltre l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360 bis, come introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. a).

In via subordinata e nel merito, il resistente sostiene l’infondatezza del ricorso.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69 è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg., con le modifiche e integrazioni apportate dalla predetta legge.

Nel decidere nel senso riferito, la Corte d’appello di Roma si è attenuta alla prevalente giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. 6 febbraio 2004 n. 2255, 20 marzo 2001 n. 4116, 18 giugno 1999 n. 6111, 10 gennaio 1998 n. 146, 6 febbraio 1994 n. 2691), secondo la quale la sottoscrizione dell’originale di uno degli atti di cui all’art. 125 c.p.c., ad opera del procuratore, anche se desumibile da altri elementi dell’atto stesso, quale la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (Cass. 6 aprile 2006 n. 8042, 22 novembre 2004 n. 22055), è elemento indispensabile per la formazione fenomenica dell’atto stesso, sicchè il suo difetto determina l’inesistenza di questo e non già la sua nullità (nel senso invece della possibilità di ricercare in altri atti del processo la certezza della provenienza dell’atto dal difensore, cfr. Cass. 20 aprile 2007 n. 9490, che peraltro non argomenta in diritto il proprio modus operandi, se non riaffermando contraddittoriamente il principio del necessario riferimento all’atto medesimo).

Ritenendo di confermare l’orientamento maggioritario, informato al necessario rispetto delle esigenze di certezza circa la provenienza degli atti indicati dall’art. 125 c.p.c., non rilevando nelle argomentazioni svolte al riguardo nel ricorso elementi sufficienti per sostenere un mutamento della giurisprudenza di questa Corte sul punto e rilevando l’insufficienza di significato, sul piano indicato, dell’unico elemento incorporato nell’atto, rappresentato dalla sottoscrizione del M. della procura al difensore dello studio legale indicato nel timbro apposto all’atto medesimo, si propone la trattazione del ricorso per cassazione in Camera di consiglio, per essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c..

Trattandosi di un problema di mera interpretazione di norme processuali, pertanto conosciute e interpretate direttamente da questa Corte, non hanno infine alcun rilievo le ulteriori censure di vizio di motivazione (arg. art. 384 c.p.c., comma 4).

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione unitamente all’avviso della data della presente udienza in Camera di consiglio.

Il ricorrente ha depositato una memoria, ribadendo le proprie tesi difensive.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, assicurando in tal modo continuità al rigoroso orientamento prevalente nella materia presso questa Corte, ricordato dal relatore, che comporta necessariamente la manifesta infondatezza del ricorso, che va pertanto respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio, operato in dispositivo.

Vanno viceversa respinte le deduzioni di inammissibilità dello stesso formulate dall’ente controricorrente, la prima, in quanto dagli atti risulta depositata la copia notificata della sentenza impugnata, la seconda in quanto l’art. 360 bis c.p.c., non si risolve in un requisito formale del ricorso per cassazione, come recentemente stabilito dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. S.U. 6 settembre 2010 n. 19051).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’INPDAP le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.000,00, oltre accessori di legge, per onorari.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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