Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1275 del 19/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 19/01/2017, (ud. 30/09/2016, dep.19/01/2017),  n. 1275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21123-2013 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente

legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

difesa per legge;

– ricorrente –

contro

A.S.H.M., + ALTRI OMESSI

– intimati –

Nonchè da:

B.G., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti incidentali –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, AL.GA.,

F.M., MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), MINISTERO

ECONOMIA FINANZE (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1673/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2016 dal Consigliere Dott. FRASCA RAFFAELE;

udito l’Avvocato ANGELO VITALE per l’Avvocatura dello Stato;

udito l’Avvocato MARCO TORTORELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’accoglimento parziale del 2

motivo, stralcio del 3 motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. La Presidenza del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso, contro i medici indicati in epigrafe con capofila A.S.H.M., avverso la sentenza del 25 marzo 2013, con cui la Corte di Appello di Roma, provvedendo su tre appelli separatamente proposti e quindi riuniti, proposti dai medesimi e da numerosi altri medici, ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma, che, nel 2004, aveva rigettato, per intervenuta prescrizione, la domanda dei medici, intesa ad ottenere il riconoscimento dell’adeguata remunerazione, in relazione alla frequenza di corsi di specializzazione medica nella situazione di inadempimento statuale dell’obbligo di recepimento della direttiva 82/76/CEE, adempiuta tardivamente dallo Stato Italiano con il D.Lgs. n. 257 del 1991 senza che fosse considerata la loro posizione.

p.2. La Corte d’Appello di Roma, registrando i principi di diritto di cui a numerose ed evocate decisioni di questa Corte, ha invece accolto la domanda dei medici e condannato la ricorrente appellata, riconoscendone l’esclusiva legittimazione passiva e così escludendo quella del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, al pagamento di somme commisurate a quella indicata dalla L. n. 370 del 1999, art. 11, in ragione di ciascun anno di durata del corso di specializzazione.

p.3. Al ricorso hanno resistito con controricorso i medici intimati ad eccezione di Al.Ga. e, nel controricorso, hanno svolto ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Il ricorso incidentale, essendo stato proposto in seno a quello principale, dev’essere esaminato unitamente ad esso.

p.2. Con il primo motivo di ricorso principale, che concerne la posizione di tutti gli intimati ad eccezione di F.M. e di Z.L., si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, adducendosi che i corsi di specializzazione frequentati dai medici, dei quali viene indicata per ciascuno la denominazione, non rientrerebbero “tra quelli individuati dalle Direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, nè tra quelli indicati nell’elenco allegato alla Direttiva 93/16/CEE, riconosciuti da due o più paesi dell’Unione Europea”, onde non si sarebbe potuta configurare la responsabilità dello Stato per mancato recepimento del diritto comunitario.

L’assunto è sostenuto con un generico rinvio ad una sentenza della Corte d’Appello di Palermo, ad una del Tribunale di Roma, ad una del Tribunale di Napoli, ed ai punti 26 e 27 della sentenza della Corte di Giustizia CEE del 25 febbraio 1999, resa nella causa Carbonari 97-131.

Si svolgono, quindi, alcune considerazioni sull’art. 81 c.p.c. e sul suo significato di esclusione della possibilità di far valere in nome proprio un diritto altrui, con possibilità di rilievo d’ufficio da parte del giudice della sua violazione, per poi sostenere che la pretesa fatta valere dai medici risulterebbe priva del requisito della legittimazione ad agire.

Si riportano, poi, i punti 27 e 28 della citata sentenza della Corte CEE e, adducendo che le denominazioni dei corsi di specializzazione sarebbero riportati dal prospetto figurante nel dispositivo della sentenza impugnata e, quindi, asserendo che essi non rientrerebbero “nell’ambito di applicazione delle direttive” o che”comunque non hanno dimostrato di rientrarvi”, essi risultavano privi di legittimazione ad agire.

p.2.1. Il motivo non merita accoglimento.

L’evocazione dell’art. 81 c.p.c., appare priva di fondamento, posto che, se pure i medici avessero agito, adducendo la frequenza di corsi di specializzazione non meritevoli della tutela risarcitoria per la mancata ricorrenza della equipollenza con quanto oggetto delle previsioni comunitarie, tanto integrerebbe difetto dell’allegazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere e, dunque, difetto di legittimazione sostanziale riguardo ad esso.

In disparte tale rilievo, si deve, inoltre, rilevare che – pur inteso come volto a contestare la legittimazione sostanziale dei medici – il motivo si fonda non già sulla prospettazione di una mera quaestio iuris (come sarebbe se bastasse la considerazione della denominazione del corso di specializzazione frequentato con le risultanze delle direttive in termini di equipollenze a far comprendere se l’equipollenza ricorreva oppure no), bensì sulla prospettazione di una quaestio iuris che è basata su circostanze di fatto: infatti, la valutazione di corrispondenza di un corso denominato in un certo modo nell’ordinamento interno con uno indicato negli elenchi della disciplina comunitaria o con uno comune a più stati membri, suppone non già una mera operazione di confronto fra denominazione, bensì l’effettiva considerazione di come la struttura organizzativa e funzionale del corso interno si presentasse, perchè solo all’esito di tale ricognizione la valutazione di corrispondenza ed equipollenza potava avere luogo.

L’illustrazione del motivo rifugge dall’individuare come gli elementi fattuali che dovevano sollecitare la valutazione e, dunque, come la questione posta con il ricorso, fosse stata introdotta e dove nel giudizio di merito.

Sicchè viene prospettata sostanzialmente una questione affetta da novità ed inammissibile in sede di legittimità perchè si risolve necessariamente nella introduzione di una nuova quaestio facti.

Ed anzi il motivo, poichè tace sulle circostanze fattuali che giustificherebbero la questione, appare a monte privo della stessa attività dimostrativa della censura, così non sfuggendo ad un rilievo di mancanza di specificità ed apparendo prospettato in modo del tutto assertivo: non svolgendosi alcuna attività argomentativa tendente a dimostrare perchè i corsi frequentati dai medici, con le loro denominazioni, non fossero corrispondenti ad alcuno di quelli indicati negli elenchi, si vorrebbe demandare a questa Corte di ricercare in che modo l’assunto del motivo potrebbe in ipotesi trovare giustificazione.

Il motivo è, pertanto, privo di fondamento.

p.3. Con il secondo motivo si prospetta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” e ci si duole che la Corte d’Appello, sempre per gli stessi ricorrenti indicati nel primo motivo, abbia ritenuto che l’Amministrazione non avesse contestato “nel corso del giudizio” il “presupposto di fatto legittimante la domanda”, cioè “il conseguimento del diploma di specializzazione nel periodo 1984/1994, posto a base della pretesa, tanto che la sentenza impugnata si è mossa su tale pacifica e riaffermata premessa, che l’amministrazione appellante non ha ex se censurato, fondando le sue doglianze su motivi tutt’affatto nuovi”.

La critica a tale motivazione viene svolta assumendo: a) che la difesa erariale avrebbe contestato “i presupposti di fatto legittimanti la domanda” “sin dall’atto di costituzione depositato nel primo grado di giudizio, in seno al quale stato richiesto, nelle conclusioni, il rigetto delle domande “perchè infondate in fatto e in diritto” (ultima pagina della comparsa)”; b) che “l’eccezione (rectius: la mera difesa) di infondatezza della domanda attrice non doveva necessariamente essere reiterata in secondo grado, visto che la sentenza del Tribunale era favorevole all’Amministrazione in virtù dell’accoglimento dell’eccezione preliminare di prescrizione, ed appellanti erano le controparti”; c) che, in ogni caso, la richiesta di rigetto della domanda perchè infondata in fatto ed in diritto era stata riproposta nella comparsa di appello.

p.3.1. Il motivo presenta gradati profili di inammissibilità.

La sua illustrazione infatti: aa) si fonda sulla comparsa di risposta di primo grado e di quella di appello, ma non ne fornisce l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.; bb) non si correla alla motivazione della sentenza impugnata che dice che la sentenza di primo grado si era mossa sulla premessa che i presupposti fattuali non fossero stati contestati e che l’Amministrazione non aveva svolto censura al riguardo: tanto rende inammissibile il motivo alla stregua del principio di diritto di cui a Cass. 359 del 2005, seguita da numerose conformi, non senza che debba osservarsi che quella che la Corte territoriale chiama “censura” era riconducibile all’art. 346 c.p.c.; cc) in ogni caso, se quanto affermato dalla Corte territoriale circa l’atteggiarsi delle difese della ricorrente fosse stato smentito dai fatti di causa, si sarebbe stati in presenza di un errore revocatorio.

p.4. Il terzo motivo concerne le posizioni di F.M. e Z.L. e vi si lamenta che il diritto risarcitorio si sarebbe dovuto negare perchè essi avevano iniziato il corso di specializzazione nell’anno accademico 1982 – 1983.

Riguardo alle posizioni di detti medici, il Collegio provvede come da separata ordinanza a rinviare a nuovo ruolo la trattazione in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla quaestio iuris oggetto del motivo (che risulta ad Esse rimesse con ordinanze interlocutorie n. 21654 del 2015 e n. 23652 del 2015), così disponendo la separazione per i detti due medici della trattazione quanto al motivo ed al relativo capo di domanda.

p.5. Conclusivamente, il ricorso principale è rigettato quanto al primo ed al secondo motivo.

p.6. Con l’unico motivo di ricorso incidentale che si esamina per tutti i ricorrenti incidentali, salvo che per Zo. e per gli eredi della F., riguardo ai quali ricorrenti si estende la separazione disposta con l’ordinanza coeva alla presente riguardo al terzo motivo del ricorso principale, si lamenta che non siano stati riconosciuti gli interessi compensativi.

Il motivo è privo di fondamento ed inammissibile ai sensi dell’art. 360 – bis c.p.c., n. 1 e, dunque, infondato alla stregua di Cass. sez. un. n. 19051 del 2010, perchè contrario alla consolidata giurisprudenza della Corte, di cui a Cass. n. 1917 del 2012, i cui argomenti nemmeno considera e si preoccupa di discutere.

p.7. Le spese del giudizio di cassazione, quanto ai rapporti processuali decisi, si compensano, stante l’esistenza di soccombenza reciproca.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 – quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali riguardo ai quali il ricorso è deciso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale a norma del citato art. 13, comma 1 – bis.

PQM

La Corte, dato atto della separazione dal ricorso principale delle posizioni dei resistenti e ricorrenti incidentali cui si riferisce il terzo motivo di ricorso principale e di quella da essi fatta valere con il ricorso incidentale, stante il disposto rinvio a nuovo ruolo quanto alla relativa trattazione, come da separata ordinanza, così provvede: a) rigetta il ricorso principale quanto ai primi due motivi; b) rigetta il ricorso incidentale; c) compensa le spese del giudizio di cassazione quanto ai rapporto processuali così decisi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali riguardo ai quali il ricorso incidentale è deciso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2017

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