Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12746 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. I, 10/06/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 10/06/2011), n.12746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – est. Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.U., elettivamente domiciliato in Bari, Via Giovanni

Pascoli, n. 39, presso l’avv. LOJODICE Oscar che lo rappresenta e

difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Lecce n. 209, pubblicato

il 4 dicembre 2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17

maggio 2011 dal Relatore Pres. Dott. Ugo VITRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 17 novembre – 4 dicembre 2008 la Corte d’Appello di Lecce rigettava la domanda di equa riparazione proposta da F. U. per la non ragionevole durata del processo da lui promosso dinanzi al Tribunale di Trani con ricorso del 6 maggio 2003 per ottenere la differenza dovutagli a titolo di indennità di disoccupazione agricole e quanto già corrispostogli e definito con sentenza del 20 febbraio 2008. Osservava la Corte che i rinvii richiesti dalle parti erano stati determinati dall’esigenza comune di attendere la decisione della Corte di Cassazione, intervenuta il 19 maggio 2007 in tema di ricalcolo della prestazione agricola che aveva risolto un contrasto la cui composizione condizionava necessariamente l’esito del giudizio che per tale motivo si prospettava complesso nonostante la irrilevante entità economica della pretesa azionata.

Contro il decreto ricorre per cassazione F.U. con due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, che si articola in una triplice censura, si afferma che il decreto impugnato sarebbe incorso nella violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. e art. 24 Cost., perchè avrebbe dichiarato al manifesta infondatezza della pretesa azionata in assenza di qualsiasi eccezione al riguardo da parte della convenuta Amministrazione che si sarebbe limitata a contestare l’importo richiesto dal ricorrente a titolo di equa riparazione.

La censura è destituita di fondamento sia in fatto che in diritto.

Va rilevato, innanzi tutto, che dal decreto impugnato risulta che il Ministero della Giustizia ha chiesto il rigetto della domanda che ha contestato nel merito deducendone l’infondatezza e non si è limitato – come sostiene il ricorrente – a contestare solo il quantum dell’equa riparazione richiesta in giudizio.

Nè vale al riguardo sostenere che il Ministero della Giustizia non avrebbe mai chiesto il rigetto del ricorso, ma avrebbe in realtà affermato “di non opporsi all’avversa pretesa” chiedendo inoltre l’integrale compensazione delle spese di lite, poichè la censura del ricorrente si risolve nella denuncia di un errore di fatto non ricorribile per cassazione e rimuovibile, sussistendone gli estremi, solo attraverso l’impugnazione per revocazione.

Inoltre, va considerato in diritto che l’accoglimento della domanda non è condizionata dalla portata delle difese e delle eccezioni sollevate dall’Amministrazione convenuta essendo compito del giudice accertare la fondatezza della pretesa azionata sulla base delle risultanze degli atti e delle prove ritualmente acquisite:

diversamente opinando, in fatti, si giungerebbe alla paradossale conclusione che la contumacia del convenuto comporterebbe necessariamente l’accoglimento della domanda.

Col secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione con riferimento ad una serie di affermazioni del giudice del merito.

La censura è inammissibile poichè il ricorrente è venuto meno al dettato dell’art. 366 bis cod. proc. civ., che impone, all’esito dello svolgimento della censura di vizio di motivazione, l’obbligo di indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro e sintetico, il fatto controverso rispetto al quale si lamenta l’insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato e le ragioni per le quali la motivazione non è idonea a sorreggere la decisione, indicando il percorso logico attraverso il quale si sarebbe dovuto pervenite ad un accertamento di fatto diverso da quello posto a fondamento della decisione.

In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere respinto.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che li quida nella somma complessiva di Euro 800,00 di cui Euro 700,00 per onorari oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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