Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12744 del 25/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 25/05/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 25/05/2010), n.12744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, DE ROSE EMANUELE, giusta mandato in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BALDO DEGLI

UBALDI 66, presso lo studio dell’avvocato RINALDI GALLICANI SIMONA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SILVANO NANNIPIERI, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 435/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/03/2006 r.g.n. 821/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2010 dal Consigliere Dott. ZAPPIA Pietro;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Pisa, regolarmente notificato, C.E., lavoratore agricolo a tempo determinato, chiedeva all’Inps la corresponsione dell’indennita’ di malattia dal 12.3.2000 al 15.9.2000.

Con sentenza in data 7.5.2003 il Tribunale adito accoglieva la domanda. In particolare il giudice di primo grado riteneva la sussistenza del requisito contributivo delle 51 giornate lavorative nell’anno precedente, rilevando che il ricorrente poteva far valere i versamenti nel settore industriale, come consentito dal D.L. 3 febbraio 1970, n. 7, art. 7, comma 5 convertito in L. 11 marzo 1970, n. 83.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Inps contestando la possibilita’ di utilizzare la contribuzione non afferente al settore agricolo ed essendo la normativa di riferimento solo quella prevista dal D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, comma 6 convertito in L. 11 novembre 1983, n. 638.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 24.3.2006, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione l’Inps con un motivo di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato.

Lo stesso ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col predetto motivo di gravame l’Inps lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, comma 5 (convertito con modificazioni nella L. 11 novembre 1983, n. 638) e del D.L. 3 febbraio 1970, n. 7, art. 7, comma 5 (convertito con modificazioni nella L. 11 marzo 1970, n. 83), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare l’Istituto ricorrente rileva che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6701 del 25.7.1996, al quale si erano rifatti i giudici di merito accogliendo la domanda avanzata dal lavoratore, suscitava diverse perplessita’.

In particolare osserva l’Istituto predetto che il D.L. n. 7 del 1970, art. 7, comma 2 demanda alla Commissione locale per la manodopera agricola anche l’accertamento delle giornate prestate dai lavoratori agricoli autonomi (compartecipanti familiari, piccoli coloni e coltivatori diretti) ai fini dell’iscrizione negli elenchi di cui al n. 5 del comma 1: il tutto secondo le modalita’ di cui ai successivi commi 3 e 4; e rileva altresi’ che il successivo comma 5 prevede la possibilita’ di cumulare le giornate prestate quali lavoratori subordinati da parte dei lavoratori “medesimi”, i quali non possono che essere individuati nelle categorie dei lavoratori autonomi descritte nel precedete comma 2, ossia i compartecipanti familiari, i piccoli coloni ed i coltivatori diretti.

Posto cio’, osserva il ricorrente che lo scopo della norma e’ quello di equiparare le giornate lavorative, risultanti dagli elenchi nominativi, prestate indifferentemente in regime di subordinazione o di autonomia, purche’ da lavoratori addetti allo svolgimento di attivita’ agricole; e pertanto resta fuori dalla portata precettiva del predetto comma 5 l’ipotesi di lavoro prestato in attivita’ extra agricole e della sua cumulabilita’ con le giornate di lavoro prestate in agricoltura e risultanti dagli elenchi di cui al precedente comma 1, n. 5.

Tanto premesso, rileva innanzi tutto il Collegio che l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per erronea formulazione del quesito di diritto, sollevata dal C. nella memoria ex art. 378 c.p.c., non puo’ trovare accoglimento ove si osservi che, se pur il detto quesito fa riferimento alla non cumulabilita’ alle giornate di lavoro prestate in agricoltura di quelle “prestate in regime di autonomia in attivita’ extra agricole”, dalla formulazione del motivo di gravame emerge chiaramente ed in maniera inequivoca il riferimento alla non cumulabilita’ delle giornate di lavoro comunque prestate in attivita’ extra agricole. E pertanto la questione risulta in ogni caso correttamente impostata atteso che il quesito suddetto individua compiutamente la problematica giuridica posta all’attenzione della Corte, consistente nella ritenuta non cumulabilita’ delle giornate di lavoro prestate in agricoltura con quelle prestate in settori extra agricoli.

Il ricorso e’ fondato.

Ed invero, per come noto, l’art. 12 disp. gen. stabilisce che “nell’applicare la legge non si puo’ ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 5128/01; 3495/01; 3359/75), nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca della mens legis; al contempo il criterio di interpretazione teleologia, previsto dall’art. 12 preleggi, puo’ assumere rilievo prevalente rispetto all’interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo, posto che non e’ consentito all’interprete correggere la norma, nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nell’ipotesi in cui ritenga che l’effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalita’ pratica cui la norma e’ intesa.

Orbene nel caso di specie il D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, comma 6 nel disciplinare l’erogazione dell’indennita’ economica di malattia in favore dei lavoratori agricoli, fa riferimento al D.L. 3 febbraio 1970, n. 7, art. 7, comma 1, n. 5 prevedendo l’iscrizione nei relativi elenchi nominativi per almeno 51 giornate nell’anno precedente.

Ed il predetto D.L. n. 7 del 1970, art. 7 dopo aver previsto al n. 5 del comma 1 che la commissione locale per la manodopera agricola ha il compito “di compilare, limitatamente ai lavoratori agricoli subordinati e in conformita’ ai dati forniti dalla sezione, gli elenchi nominativi, principali e suppletivi, dei lavoratori dell’agricoltura, di cui al R.D. 24 settembre 1940, n. 1949, art. 12 e successive modificazioni, dispone:

– al comma 2, che “ai fini della compilazione degli elenchi di cui al n. 5, la commissione locale per la manodopera agricola ha altresi’ il compito di accertare, su richiesta motivata degli interessati, le giornate prestate dai compartecipanti familiari, piccoli coloni e coltivatori diretti di cui alla L. 12 marzo 1968, n. 334, art. 8”;

– al comma 3 che “per l’accertamento, ai fini previdenziali e contributivi, delle giornate di lavoro di cui al comma precedente, si applicano i valori medi d’impiego di manodopera per singola coltura e per ciascun capo di bestiame, stabiliti con deliberazione delle commissioni provinciali di cui all’ai presente decreto, avuto riguardo ai modi correnti di coltivazione dei terreni e di allevamento e custodia del bestiame, nonche’ alle consuetudini locali;

– al comma 4 che “le deliberazioni di cui al comma precedente sono approvate, sentita la commissione centrale di cui al D.Lgs.lgt. 8 febbraio 1945, n. 75, art. 12 con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”;

– al comma 5 che “le giornate accertate sono cumulate a tutti gli effetti a quelle prestate dai medesimi soggetti in qualita’ di lavoratori subordinati”.

Emerge pertanto chiaramente, dalla lettura coordinata dei suddetti commi, che gli stessi si riferiscono tutti all’ipotesi prevista dal comma 2 concernente l’accertamento delle giornate prestate dai lavoratori agricoli autonomi (compartecipanti familiari, piccoli coloni e coltivatori diretti) ai fini dell’iscrizione negli elenchi di cui al n. 5 del comma 1, dettando le relative modalita’ di accertamento (commi 3 e 4), e prevedendo che le giornate cosi’ accertate sono cumulate a tutti gli effetti a quelle prestate dai “medesimi” soggetti (compartecipanti familiari, piccoli coloni e coltivatori diretti) in qualita’ di lavoratori subordinati (comma 5).

La lettura delle parole usate dal legislatore non consente alcuna altra interpretazione della disposizione in questione, essendo chiara la portata precettiva della stessa, finalizzata ad equiparare, nell’ambito del lavoro agricolo, le giornate di lavoro effettuate dai lavoratori agricoli autonomi (compartecipanti familiari, piccoli coloni e coltivatori diretti) a quelle prestate dai lavoratori agricoli subordinati. Per tali motivi non puo’ condividersi la lettura precedentemente data da questa Corte alla disposizione in parola con la sentenza n. 6701 del 25.7.1996.

Il proposto gravame si appalesa fondato e si impone di conseguenza, in accoglimento dello stesso, la cassazione dell’impugnata sentenza.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, con il rigetto della domanda proposta dal lavoratore con il ricorso introduttivo del giudizio.

Nessuna statuizione va adottata per quel che riguarda le spese relative all’intero giudizio, ricorrendo le condizioni previste per l’esonero del soccombente dal rimborso a norma dell’art. 152 disp. att., nel testo originario, quale risultante a seguito della sentenza costituzionale n. 134 del 1994, non essendo applicabile al presente giudizio la modificazione introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, u.c., convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, trattandosi di giudizio introdotto prima del 2 ottobre 2003 (data di entrata in vigore del decreto).

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da C.E. con il ricorso introduttivo del giudizio. Nulla per le spese per l’intero giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, il 29 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010

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