Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12744 del 05/06/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12744 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 1128-2013 proposto da:
NOCERA GIOVANNI NCRGNN5OLO4B756D, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato
ANTONIO ZUMBO, presso lo studio legale PESSI, rappresentato e
difeso dall’avvocato MEGALE FIORELLA giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Data pubblicazione: 05/06/2014

- resistente avverso il decreto n. 119/2012 della CORTE D’APPELLO di
CAMPOBASSO del 4.9.2012, depositato il 26/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 3 giugno 2011 presso la Corte di appello di
Campobasso Francesco DI EGIDIO proponeva, ai sensi della legge n. 89 del
2001, domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non sofferto a
causa della non ragionevole durata del processo introdotto dinnanzi al
Tribunale di Teramo, nei confronti di Marcello Danesi De Luca e Pietro
Paccanaro, nonché l’Associazione sportiva New Sky Club, avente ad oggetto il
risarcimento dei danni derivante da infortunio sul lavoro, con atto di citazione
notificato in data 15/18/29.11.1988, definito in primo grado con sentenza
pubblicata il 5 agosto 2004, poi avanti alla Corte di appello di L’Aquila (atto di
gravame notificato il 6.10.2005) con sentenza del 26 ottobre 2009.
La Corte di appello di Campobasso, con decreto in data 26 settembre 2012,
rigettava il ricorso per mancata allegazione del danno.
Avverso tale decisione il DI EGIDIO ha proposto ricorso per Cassazione,
affidato ad un unico motivo, costituito il Ministero della giustizia al solo fine
di prendere parte all’udienza di discussione.

Ric. 2013 n. 01378 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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udito per il ricorrente l’Avvocato Paolo Di Egidio che si riporta agli

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione
del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del
rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, c.p.c., quale risultante dalle modifiche

modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico
ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi
stabiliti dalla legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come
sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone
che «Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude:
a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite
civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di
cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui
all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile».
L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad
apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in
camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante
dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo
comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la
modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del
medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta
esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo
comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione
dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal
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introdotte dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con

giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art.
76, comma primo, lett. b), del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81
del decreto-legge n. 69 del 2013, sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze

comma, c.p.c.), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a
tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la
facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70,
terzo comma, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato
emesso in data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza
pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante
della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al
quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un
interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art.
70, terzo comma, c.p.c..
Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente
denuncia omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione per essersi
la corte di appello trincerata dietro il noto orientamento in forza del quale non
possa essere riconosciuto un risarcimento a colui che ha contribuito al
maturarsi dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, senza però
indicare quali sarebbero stati i comportamenti adottati dalla difesa per ottenere
tale risultato.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 2 della legge n. 89/2001 e dell’art. 111, comma 2, Cost., nonché degli
artt. 2056 e 1226 c.c.. Al fine di pervenire ad un giudizio sulla ragionevolezza
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che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo

della durata del processo, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare i ritardi
dell’oggettivo funzionamento della “macchina processuale” – nella quale sono
ricomprese tutte le cause oggettive di ritardo, quindi anche quelle esterne alla
specifica attività delle parti strettamente processuali, direttamente imputabili
allo Stato. Al contrario, tale valutazione era completamente mancata nella

I due motivi, che, avuto riguardo alla connessione logico- giuridica che li
collega, vanno esaminati congiuntamente, sono fondati nei limiti e nei termini
che verranno di seguito illustrati.
In tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del
processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, il percorso relativo all’accertamento
del mancato rispetto di tale termine è dalla stessa legge individuato nella
valutazione della complessità del caso ed, in relazione a questa, del
comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché di ogni
altra autorità chiamata a concorrervi o, comunque, a contribuire alla sua
definizione.
Questa Corte ha, inoltre, ripetutamente affermato il principio – dal quale il
Collegio non intende discostarsi – alla cui stregua, ai sensi della L. n. 89 del
2001, l’equa riparazione viene accordata senza alcun riguardo all’esito del
giudizio protrattosi oltre il termine ragionevole (v., tra le altre, sentt. n. 16039
e n. 11480 del 2003), traendone la conseguenza della spettanza dell’indennizzo
anche quando la durata eccessiva abbia determinato l’estinzione del reato per
prescrizione. Si è escluso, al riguardo, che quest’ultima valga di per sè ad
elidere gli effetti negativi del protrarsi eccessivo del processo, in via di
compensati° lucri cum damno, salvo che l’effetto estintivo del reato derivi
dall’utilizzo, da parte dell’imputato sottoposto a procedimento penale, di
tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa (v.
Cass. n. 12935 del 2003 e n. 17552 del 2006; di recente, Cass. n. 23339 del
2010, Cass. n. 24376 del 2011 e Cass. n. 14729 del 2013).
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specie.

Del resto – ha affermato la sentenza n. 17552 del 2006 – la definizione del
processo penale per estinzione del reato non necessariamente corrisponde
all’interesse dell’imputato, tenuto conto della esigenza morale del soggetto
sottoposto a procedimento penale di vedere affermata in modo pieno ed
inequivocabile la propria estraneità al reato contestatogli.

sentenza della 2″ Sezione 6 marzo 2012 resa nel caso Gagliano Giorgi c. Italia
(divenuta definitiva il 24 settembre 2012), ha escluso la configurabilità di
pregiudizi importanti derivanti dalla durata eccessiva del procedimento in
considerazione della significativa riduzione della pena ottenuta in appello
dall’imputato, in conseguenza, appunto, della maturazione dei termini di
prescrizione per il reato.
Dopo la pronuncia del 6 marzo 2012, nelle more della sua stabilizzazione con
l’acquisizione del carattere di definitività, la L. n. 89 del 2001, in particolare
l’art. 2, è stato novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett.
a), n. 2, convertito, con modif., nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha, tra
l’altro, aggiunto a detto art. 2, comma 2, il comma 2-quinquies, che, alla lett.
d), dispone l’esclusione del diritto all’indennizzo nel caso di estinzione del
reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte.
Nella specie, la Corte di merito, che ha depositato il decreto oggi impugnato il
26 aprile 2012, non ha affrontato nè la questione della condotta della parte in
occasione del processo presupposto, nè quella dell’eventuale scostamento tra
la data della maturazione della prescrizione del reato e quella della pronuncia
di estinzione del reato, nemmeno ai fini di una graduazione nella entità
dell’indennizzo, limitandosi ad utilizzare l’argomento della maturazione della
prescrizione già nel corso del giudizio di primo grado, ossia al 29.7.2006,
allorquando non era ancora scaduto il termine di durata ragionevole dello
stesso, per farne discendere la non sofferenza dell’imputato per la ulteriore
protrazione del processo.
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Successivamente a tali pronunce, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la

Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto nei termini e nei limiti sopra
indicati. Ti decreto impugnato deve essere cassato, e la causa va rinviata ad
altro giudice – che viene individuato nella Corte d’appello di Catanzaro in
diversa composizione – che la riesaminerà alla luce dei rilievi dianzi svolti.
Alla predetta Autorità è demandato anche il regolamento delle spese del

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso;
cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di
Cassazione, alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 9
gennaio 2014.

presente giudizio di legittimità.

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