Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12742 del 21/06/2016

Cassazione civile sez. III, 21/06/2016, (ud. 18/03/2016, dep. 21/06/2016), n.12742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FICARRA ANTONIO con studio in TERMINI IMERESE VIA FALCONE E

BORSELLINO 86 giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

DO.RO., C.G.;

– intimati –

nonchè da:

C.G., DO.RO., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato

MATTINA GIUSEPPE, rappresentati e difesi dall’avvocato CHIARELLI

FELICE giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1487/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 07/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/03/2016 dal Consigliere Dott. FRASCA RAFFAELE;

udito l’Avvocato FICARRA ANTONIO;

udito l’Avvocato MATTINA LAURA per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso, assorbito

l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. D.R. ha proposto ricorso per cassazione contro

Do.Ro. e C.G. avverso la sentenza del 7 ottobre 2013, con cui la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Palermo, Sezione Distaccata di Bagheria nell’aprile del 2008 su due giudizi riuniti trattati con il rito ordinario – il primo introdotto con ricorso dell’8 marzo 2004 con il rito locativo dagli intimati contro il ricorrente per ottenere il rilascio iure commodati di un immobile, il secondo introdotto in via ordinaria con citazione notificata il 2 marzo 2004 dal ricorrente contro la sorella Do.Ro. per ottenere l’accertamento dell’acquisto per intervenuta usucapione ventennale dello stesso immobile – ha accolto l’appello principale dei qui intimati ed ha ritenuto fondata la domanda di accertamento della cessazione del comodato, condannando il D. al rilascio del cespite, mentre ha rigettato la domanda dello stesso D. di accertamento dell’usucapione.

p. 2. Il tribunale, con la sentenza di primo grado, aveva invece accolto la domanda di usucapione del D. e dichiarato il medesimo esclusivo proprietario dell’immobile, mentre aveva rigettato la domanda di risoluzione del comodato.

p. 3. Al ricorso, che prospetta cinque motivi, hanno resistito gli intimati con congiunto controricorso, nel quale hanno svolto ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi.

p. 4. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Il ricorso incidentale va esaminato congiuntamente a quello principale, atteso che è stato proposto in seno ad esso.

p. 2. Con il primo motivo di ricorso principale si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea applicazione del c.d.

principio di no contestazione”.

La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere provato il contratto di comodato fatto valere dai resistenti, assumendo che il ricorrente non lo aveva contestato, avendo egli proposto come unica questione quella dell’usucapione dell’immobile di cui è processo.

Nell’illustrazione si riporta peraltro, omettendo una proposizione la motivazione con cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nell’applicazione del principio di non contestazione e, quindi, si assume che essa avrebbe applicato il principio di cui all’art. 115 c.p.c., introdotto dalla L. n. 69 del 2009, senza considerare che esso era inapplicabile al giudizio, in quanto esso era iniziato prima dell’entrata in vigore della legge e la nuova norma, ai sensi dell’art. 58, comma 1 della cit. legge, operava solo per i giudizi introdotti dopo.

p. 2.1. Riguardo a tale motivo è esatta la deduzione di resistenti che esso ha evocato erroneamente il paradigma del n. 3 anzichè quello dell’art. 360 c.p.c., n. 4, che è quello che concerne la violazione delle norme dl procedimento, qual è l’art. 115 c.p.c..

Non è esatta la conseguenza che ne inferiscono i resistenti nel senso della inammissibilità del motivo, atteso che l’erronea indicazione del paradigma non è causa automatica di inammissibilità ove sia chiaro a quale numero dell’art. 360 c.p.c. il motivo sia riconducibile (si veda Cass. sez. un. n. 17931 del 2013).

p. 2.2. Il motivo è tuttavia inammissibile e gradatamente infondato.

In primo luogo è inammissibile, in quanto si parametra ad una motivazione che riferisce in modo incompleto, omettendo di riportare la proposizione intermedia a quanto riprodotto, in cui la Corte territoriale ha espressamente enunciato che “come rilevato dagli appellati (cfr. pag. 15), l’appellato non ha contestato la necessità manifestatasi di riottenere indietro l’immobile nel termine di trenta giorni dalla raccomandata inviata, essendosi limitato ad assumere di avere usucapito la proprietà”.

E’ palese che si sarebbe dovuto fare riferimento anche a tale proposizione e farsi carico di prendere posizione sul rinvio a quanto rilevato a pagina 15 dagli appellati.

p. 2.3. In secondo luogo il motivo è inammissibile in quanto pone una questione, quella del’avere la Corte territoriale ritenuto non contestata l’esistenza dl comodato, che non ha assunto rilievo decisivo, giacchè in realtà la Corte territoriale (come emerge da quanto argomentato successivamente a partire dalla seconda metà della pagina 7) ha, poi, ampiamente argomentato che la prova del comodato esisteva comunque in atti al lume delle risultanza istruttorie che ha proceduto a rassegnare.

p. 2.4. In ogni caso il motivo è privo di pregio, perchè – in disparte che la Corte palermitana non ha in alcun modo fatto riferimento al paradigma dell’art. 115 c.p.c. introdotto dalla L. n. 69 del 2009 – il principio di non contestazione dei fatti esisteva già prima della novella dell’art. 115 c.p.c., atteso che dottrina e giurisprudenza, di fronte alla mancata contestazione dell’esistenza del fatto dedotto dalla controparte, hanno sempre ritenuto che il fatto stesso, in quanto rilevante ai fini del decidere, non dovesse essere provato.

E’ sufficiente rinviare alla remota Cass. sez. un. n. 1174 del 1971, secondo cui: “L’onere della prova presuppone la contestazione esplicita o, quanto meno, implicita dei fatti allegati, sicchè quelli non controversi, a meno che non sia richiesto l’atto scritto, non hanno bisogno di formare oggetto di alcun mezzo probatorio.”.

Peraltro, la stessa evocazione che il ricorrente fa del principio di non contestazione si dovrebbe reputare priva di fondamento, atteso che la Corte insulare ha fatto riferimento alla mancata contestazione del contratto di comodato gratuito e, dunque, non già ad un “fatto” storico, bensì all’esistenza di un rapporto contrattuale e, dunque, giuridico. La mancata contestazione di un rapporto giuridico non solo sfugge al nuovo art. 115 c.p.c., ma anche prima di esso sfuggiva al principio di non contestazione riferito ai fatti storici, risolvendosi piuttosto in un comportamento di non contestazione di una deduzione in iure.

p. 3. Con il secondo motivo si prospetta “violazione o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5 (nel testo ante riforma 2005, entrata in vigore dal 1 marzo 2006) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Vi si critica la proposizione della motivazione della sentenza impugnata immediatamente successiva a quella criticata con il primo motivo, che è stata del seguente tenore: “solo con la memoria a art. 183 c.p.c., comma 5 nel testo ante riforma del 2006, l’appellato assai genericamente ha negato l’esistenza di un contratto di comodato per la mancanza del documento che lo consacra. Ma la contestazione oltre che tardiva, in quanto non proposta con la comparsa di risposta, è anche infondata nel merito”.

La critica viene svolta assumendosi che la contestazione non sarebbe stata tardiva e non avrebbe realizzato alcuna violazione del principio del contraddittorio.

p. 3.1. Senonchè, la Corte territoriale non ha affermato che l’essere avvenuta la contestazione tardivamente la rendeva inammissibile. Il suo riferimento alla tardività si presta ad essere inteso solo come mera registrazione di un dato temporale, come fa manifesto il riferimento come termine di paragone della tardività alla comparsa di risposta. Di modo che parrebbe essersi solo voluto rimarcare il dato temporale come elemento di possibile valutazione della contestazione. Lo dimostra la successiva affermazione che la contestazione sarebbe stata comunque infondate e la successiva rassegna delle risultanze probatorie che, ad avviso della Corte territoriale, dimostravano l’esistenza del comodato.

p. 3.2. In ogni caso anche tale motivo difetta di decisività e ciò proprio perchè la sentenza impugnata ha poi motivato quella esistenza siccome desumibile dalle risultanze probatorie e, dunque, anche se l’affermazione di tardività della contestazione fosse da intendere come vorrebbe il ricorrente (cioè nel senso di determinarne l’inammissibilità), si tratterebbe di un’affermazione che non ha sorretto in modo decisivo la decisione impugnata.

p. 4. Con il terzo motivo si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Omesso esame della domanda di usucapione”.

Vi si sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto “che la verifica dell’esistenza del contratto di comodato fosse preliminare rispetto alla domanda di usucapione, che, conseguentemente, non è stata esaminata”.

p. 4.1. Il motivo, non solo pone una questione che è del tutto irriducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, concernendo –

come rivela anche nella sua breve illustrazione l’espresso riferimento all’art. 112 c.p.c. – un’omissione di pronuncia su domanda, ma, inoltre, pur ricondotta (alla stregua del già ricordato principio di diritto di cui a Cass. sez. un. n. 17931 del 2013) all’art. 360 c.p.c., n. 4, in cui si incasella la violazione dell’art. 112 c.p.c., appare del tutto privo di corrispondenza con la motivazione della sentenza impugnata, la quale – nell’affermare che “una cosa è esercitare sull’immobile le prerogative che competono al proprietario, altro è l’accertamento del titolo che giustifica la detenzione, verifica che si poneva come preliminare rispetto alla domanda di usucapione di D.R., per la quale rileva il requisito imprescindibile del possesso ininterrotto, pubblico e pacifico per il tempo previsto dalla legge”, affermazione che, secondo il ricorrente, evidenzierebbe che si sarebbe esaminata solo l’esistenza del comodato – lo ha fatto proprio in funzione di accertare il rilievo della detenzione del qui ricorrente ai fini dell’accertamento della fondatezza della sua domanda di usucapione.

Accertamento ed esame cui ha proceduto con le ampie considerazioni sviluppate subito dopo, cioè a partire dal nono rigo della pagina 8 e sino alla pagina sino al tredicesimo rigo della pagina 10. Tali considerazioni hanno portato la Corte insulare ad affermare che “la domanda di usucapione andava pertanto respinta”.

Il motivo appare pertanto del tutto privo di fondamento e svolto con inammissibile ed inspiegabile pretermissione della motivazione della sentenza.

p. 5. Con il quarto motivo si denuncia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Omesso esame dell’ispezione giudiziale dei luoghi e della testimonianza di D. C.”.

Il motivo, nella sua prima parte critica la valutazione delle prove testimoniali sicula enunciata dalla Corte territoriale ai fini della prova dell’esistenza del comodato, cui quella Corte, dopo avere detto che era rimasta incontestato e, gradatamente, che era stata contestata tardivamente, l’esistenza del comodato (affermazioni cui si riferiscono i primi due motivi di ricorso), ha inteso pervenire all’accertamento dell’esistenza del comodato come titolo di detenzione del qui ricorrente.

Il motivo lamenta che il contratto di comodato sia stato ritenuto provato sulla scorta delle sole dichiarazioni dei testi D. F. e C.M.G. e che si sia omesso di valutare la testimonianza del teste D.C. e le risultanza dell’ispezione giudiziale dei luoghi.

Tali risultanze erano state invece ritenute decisive dal primo giudice per risolvere quella che egli, come emerge da un passo della sua motivazione, aveva ritenuto essere una situazione di contrasto fra le testimonianze rispettivamente indotte dalle parti.

p. 5.1. Il motivo, in disparte che la Corte territoriale ha considerato anche altra testimonianza, quella T., è inammissibile perchè dedotto al di fuori di quanto, secondo le Sezioni Unite (Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del 2014).

Hanno statuito le Sezioni Unite che: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”. Ed hanno soggiunto che: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Il motivo è, dunque, inammissibile, atteso che non rispetta i canoni indicati dalle Sezioni Unite.

5.2. Peraltro, l’illustrazione del motivo non rispetta nemmeno l’art. 366 c.p.c., n. 6, giacchè riguardo alle testimonianze di cui si pretende il riesame non si indica il quando della loro assunzione e se e dove i relativi verbali sarebbero esaminabili in questo giudizio di legittimità. La stessa cosa dicasi della sentenza di primo grado e del verbale di ispezione giudiziale.

p. 6. Con un quinto motivo si fa valere ancora ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Omesso esame della domanda di sanatoria presentata per l’immobile de quo da D.C. e D.V.”.

Anche questo motivo è inammissibile perchè non rispetta i principi di cui alle citate Sezioni Unite, posto che imputa alla Corte territoriale di non aver esaminato una risultanza probatoria.

Non solo: nessuna indicazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 si fornisce della domanda di sanatoria.

p. 7. Il ricorso principale è, conclusivamente, rigettato.

p. 8. Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito.

p. 9. Le spese seguono la soccombenza, che è riferibile al ricorrente. Esse si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

p. 10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale. Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna il ricorrente alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro settemiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 18 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016

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