Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12739 del 25/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 25/05/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 25/05/2010), n.12739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1202/2007 proposto da:

DATA ENTRY S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1,

presso lo studio dell’avvocato SPINOSO Antonio, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati PRENCIPE GIUSEPPE, GRATTAROLA

MASSIMO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

Antonietta, MARITATO ELIO, CORRERA’ FABRIZIO, giusta mandato in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

e contro

S.C.C.I. S.P.A. – SOCIETA’ DI CARTOLATRIZZAZIONE DEI CREDITI

I.N.P.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1375/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/09/2006 r.g.n. 1667/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/03/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato avanti il Tribunale di Alessandria la società Data Entry s.c.r.l. proponeva opposizione alla cartella esattoriale notificata il 5.5.2004 recante la richiesta di pagamento della somma di Euro 564.748,92 per contributi rivendicati dall’INPS, somme aggiuntive e sanzioni una tantum chiedendo previa sospensione, la revoca dell’opposta cartella e la non debenza delle somme ivi portate.

Assumeva a tal fine che la cartella oggetto di impugnazione era stata emessa a seguito di un processo verbale di accertamento, ove, a motivazione del recupero, si leggeva che la Data Entry s.c.r.l., cooperativa artigiana, aveva versato i contributi relativi al periodo dicembre 1996/aprile 2001 alla gestione separata artigiani dell’INPS, mediante versamenti effettuati dai soci artigiani direttamente, anzichè, come asseritamente dovuto, all’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ai sensi del R.D. n. 1422 e 2270 del 1924, che dispongono che le cooperative, ai fini previdenziali, sono datori di lavoro nei confronti dei loro soci, qualunque sia la configurazione del rapporto sociale.

Considerava poi che a mente della giurisprudenza di legittimità in merito all’attribuibilità della qualifica artigiana anche alle cooperative a responsabilità limitata e all’applicabilità o meno del R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3, alle società cooperative artigiane, la pretesa creditoria dell’INPS si rivelava infondata, posto che, da un lato, la giurisprudenza di legittimità dava per pacifica la possibilità di costituzione di società cooperative artigiane a responsabilità limitata e, dall’altro, considerava, nei confronti delle cooperative artigiane, parzialmente derogato dalle norme successive il R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3.

Si costituivano in giudizio l’Istituto impositore e la SCCI spa, società di cartolarizzazione dei crediti INPS, chiedendo il rigetto del ricorso. Sostenevano essere la società ricorrente tenuta al pagamento degli oneri contributivi previdenziali in favore di soci lavoratori nella misura determinata dall’opposta cartella, previa disapplicazione dell’atto di iscrizione nell’Albo delle Imprese artigiane della Provincia di Alessandria dei soci lavoratori della cooperativa stessa. L’INPS in particolare, a supporto delle proprie pretese, discostandosi dal contenuto del verbale di accertamento, sosteneva che la ricorrente si sarebbe atteggiata a ordinaria cooperativa di produzione e lavoro in quanto tutti i soci si sarebbero iscritti per la prima volta all’albo artigiani all’atto della ammissione in cooperativa e in quanto gli stessi avrebbero svolto le loro mansioni alla stregua dei soci lavoratori.

Il Tribunale di Alessandria, in funzione di Giudice del lavoro, con sentenza 28-30 giugno 2005 respingeva il ricorso e confermava l’impugnata cartella di pagamento dichiarando compensate le spese processuali.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello la Data Entry s.c.r.l., richiamando le precedenti osservazioni e rilevando come la giurisprudenza di legittimità avesse ripetuto più volte che il regime contributivo applicabile antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 142 del 2001, era quello tipico del tipo di rapporto instauratosi fra socio e società. Eccepiva altresì la violazione del principio del contraddittorio in quanto le motivazioni addotte a sostegno della verifica ispettiva erano profondamente diverse, e antitetiche, rispetto a quelle addotte in giudizio dall’INPS. Rilevava la violazione della L. 8 agosto 1995, n. 443, art. 5 per avere la iscrizione all’albo artigiani natura costitutiva, e la violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2348, art. 5, allegato E poichè il Giudice aveva disapplicato il provvedimento amministrativo di iscrizione della società e dei soci all’albo artigiani senza averne il potere e disattendendo la procedura ad hoc prevista dalla L. n. 443 del 1985, art. 7.

Nel corso della discussione rilevava l’appellante come la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, avesse nel frattempo composto il contrasto giurisprudenziale affermando il principio per cui anche anteriormente alla entrata in vigore della L. n. 142 del 2001, il regime contributivo cui dovevano essere assoggettati i soci di cooperative di produzione e lavoro doveva essere ragguagliato al tipo di rapporto instauratori fra il socio stesso e la cooperativa.

Si costituiva l’INPS contestando ogni motivo di appello e chiedendone il rigetto.

3. La Corte d’appello di Torino, con la sentenza 14-27 settembre 2006, consapevolmente in contrasto con l’avviso delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, respingeva l’appello.

La Corte territoriale – premesso essere pacifica la natura artigiana della Cooperativa e che i soci erano iscritti all’albo delle imprese artigiane, nonchè alla gestione speciale artigiani presso l’Inps, cui avevano versato i contributi – affermava che la questione da decidere era se i contributi sugli emolumenti percepiti dalla Cooperativa dovessero essere versati dai singoli soci nella gestione artigiani nella misura da questa prevista, oppure dovessero essere versati dalla Cooperativa nella gestione dell’assicurazione generale obbligatoria e nella misura prevista per i lavoratori dipendenti da imprese artigiane. Affermavano i Giudici di merito che il rapporto tra soci e cooperativa era, in relazione ai compensi percepiti, del tutto analogo a quello esistente in qualsiasi cooperativa di produzione e lavoro, dovendosi applicare il principio desunto dal R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3, per cui, ai fini assicurativi, le società cooperative sono datori di lavoro nei riguardi dei soci impiegati in lavori da esso assunti; era quindi irrilevante il fatto che i soci fossero iscritti all’albo delle imprese artigiane; iscrizione che sarebbe stata peraltro illegittima se effettuata esclusivamente in funzione dell’attività esercitata presso la Cooperativa. Ed infatti, associandosi nella cooperativa, il socio non esercita personalmente l’impresa e non si assume gli oneri e i rischi derivanti dalla sua gestione, mentre l’attività di impresa è svolta dalla cooperativa, la quale ha personalità giuridica distinta da quella dei soci.

Esclusa quindi la possibilità di considerare i soci lavoratori come artigiani, in relazione al regime contributivo, non poteva che essere applicato, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, il R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3, e quindi la normativa sui lavoratori dipendenti, sulla cui portata e vigenza non avevano influito le disposizioni che avevano costituito la gestione pensionistica autonoma per gli artigiani, di cui alla L. n. 463 del 1969.

4. Avvero questa pronuncia propone ricorso per cassazione la società Data Entry.

L’INPS ha depositato procura partecipando alla udienza di discussione.

La società SCCI non ha svolto difesa alcuna.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso, articolato in due motivi, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. 1422 del 1924, art. 2, dovendo ritenersi che, anche con riferimento al regime anteriore all’entrata in vigore della L. n. 142 del 2001, le società cooperative devono ritenersi assoggettate all’obbligo contributivo nei confronti dei soci lavoratori, con la contribuzione propria del tipo di lavoro (subordinato o autonomo) effettivamente prestato, senza possibilità di distinguere tra lavori assunti dalla società per conto terzi e lavori rientranti nello scopo mutualistico.

Sostiene poi che il giudice di merito ha illegittimamente disapplicato il provvedimento di iscrizione dei soci nell’albo artigiani.

2. Il ricorso è infondato.

3. La questione che pone il ricorso consiste nel valutare da chi debba essere corrisposta la contribuzione previdenziale sulle somme erogate dalla cooperativa artigiana ai singoli soci e da questi percepite a titolo di compenso per il lavoro svolto a favore della cooperativa medesima, ossia se l’obbligo faccia capo alla cooperativa, come sostiene l’Istituto, oppure se faccia capo ai singoli soci, in quanto a loro volta iscritti nell’albo delle imprese artigiane, stante la efficacia costitutiva della iscrizione nel relativo albo.

In proposito in giurisprudenza si erano espressi due diversi orientamenti: con il primo si affermava che la misura ed il regime giuridico di detti contributi dovessero conformarsi a quelli previsti dalla normativa sulla gestione Inps per i lavoratori autonomi artigiani (Cass. n. 7380 del 30 maggio 2001, n. 9600 del 14 luglio 2001); per il secondo, diventato poi maggioritario (Cass. n. 238 del 10 gennaio 2003, n. 66 dell’8 gennaio 2007), valgono, invece, anche per i soci di cooperativa, in quanto assimilati ai lavoratori dipendenti, le regole che presiedono all’AGO (assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti). Entrambi gli orientamenti sono però concordi nell’affermare che l’obbligo contributivo, sia pure diversamente modulato (gestione artigiani ovvero gestione lavoratori dipendenti), faccia capo alla cooperativa e non già ai singoli soci, di talchè la posizione della Cooperativa, attuale ricorrente, che sostiene l’insussistenza di ogni obbligo a suo carico, per avere i singoli soci già pagato la contribuzione alla gestione lavoratori autonomi artigiani sulle somme percepite dalla Cooperativa, non trova in realtà sostegno in nessuna delle due tesi indicate.

4. Per risolvere la questione, appare imprescindibile chiarire quale sia il tipo di cooperativa e quale sia la natura delle somme su cui vengono chiesti i contributi.

Va infatti sottolineato che gli artigiani possono riunirsi in cooperativa sia mantenendo la propria individualità imprenditoriale, sia perdendola (cfr. al riguardo Cass. n. 13269 del 07/06/2006).

Nella prima ipotesi, si avranno cooperative di servizio che, analogamente a quanto avviene nei consorzi di imprese, si uniscono per procurarsi commesse di lavoro e per distribuirne l’esecuzione tra gli associati, che conservano, ognuno, la gestione del proprio laboratorio e l’uso delle proprie attrezzature, ritraendo il reddito dalla attività imprenditoriale così svolta ed accettandone i rischi.

Nel secondo caso si avranno invece le cooperative di lavoro, in cui i singoli artigiani non fanno confluire nella cooperativa le loro imprese, le quali restano pertanto estranee al rapporto con la cooperativa, ma apportano a quest’ultima il proprio lavoro, usando non già i mezzi e gli strumenti di loro proprietà, ma quelli messi a disposizione dalla cooperativa.

5. Nel primo caso, ossia quando gli artigiani, che pur essendo soci di cooperativa, svolgono in proprio, ossia nella propria azienda e con le proprie attrezzature, nonchè a proprio rischio, le lavorazioni di pertinenza, i ricavi percepiti dai committenti vanno sottoposti a contribuzione nella gestione autonoma degli artigiani, che è a carico esclusivo dei singoli titolari di impresa.

Invero l’assicurazione IVS artigiani introdotta per la prima volta dalla L. 4 luglio 1959, n. 463, prevede, (L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 1, Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi) un contributo a carico dell’artigiano nella misura “del 12% del reddito annuo derivante dall’attività di impresa che da titolo all’iscrizione alle gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente”. L’assicurazione IVS artigiani determina quindi la misura del contributo sulla base del reddito di impresa, e cioè della impresa artigiana individuale, e, di converso, determina su questo medesimo elemento la misura della pensione.

L’esistenza di un reddito dell’impresa individuale è quindi il presupposto imprescindibile affinchè sorga l’obbligo contributivo da parte del singolo artigiano alla gestione dei lavoratori autonomi (di talchè colui che nessun reddito ricavi dalla sua impresa, non sarà soggetto a contributi di sorta).

Ne consegue altresì che, i redditi, percepiti dall’artigiano, diversi da quelli ricavati dall’impresa individuale, non possono essere sottoposti a contribuzione presso la gestione Inps per gli artigiani, ma dovranno essere soggetti al regime contributivo di pertinenza: ad es. se accanto, ed oltre all’attività di impresa, l’artigiano svolge anche attività di lavoro dipendente, le relative retribuzioni non possono essere “convogliate” nei redditi di impresa, ma saranno sottoposte alla contribuzione AGO. 6. Nel secondo caso, cooperativa di lavoro, si tratta di stabilire il regime contributivo di un reddito che non è stato ricavato dalle imprese individuali, ma dalla Cooperativa, che poi provvede alla sua distribuzione tra i soci, ed è su dette somme distribuite, come compenso per l’opera prestata a favore della Cooperativa medesima, che l’Inps richiede la contribuzione.

La Cooperativa ricorrente infatti non ha censurato la parte della sentenza impugnata che ne ha affermato l’inquadramento come cooperativa di lavoro, nè ha mai sostenuto che i singoli soci abbiano lavorato nelle proprie aziende, conferendo alla cooperativa il risultato del proprio lavoro individuale, e quindi usando mezzi e strutture delle rispettive imprese artigiane singole.

La ricorrente, per sottrarsi all’obbligo di pagamento dei contributi pretesi dall’Inps, ha invece sempre allegato, esclusivamente, che i suoi soci sono a loro volta artigiani, in quanto iscritti al relativo albo. Ma la mera iscrizione dei soci all’albo, non vale ad attrarre tutti i redditi percepiti dall’artigiano nel “reddito di impresa” di cui alla cit. L. n. 233 del 1990. Pertanto risulta irrilevante, ai fini che interessano, il fatto che i soci della Cooperativa siano iscritti all’albo delle imprese artigiane, perchè presso la corrispondente gestione assicurativa mai potrebbero essere versati i contributi sui compensi erogati dalla Cooperativa ricorrente. Il valore “costitutivo” della iscrizione all’albo, che il ricorrente sottolinea, vale quindi per la determinazione dei contributi da versare sui redditi dell’impresa artigiana, ma è irrilevante rispetto ai contributi da versare su redditi diversi.

Il secondo motivo va quindi rigettato, con enunciazione del seguente principio di diritto: “L’obbligo contributivo sui compensi erogati ai soci delle cooperative di lavoro, per l’attività prestata a favore della cooperativa, è a carico della cooperativa medesima, anche se detti soci sono iscritti all’albo delle imprese artigiane, fermo restando che se costoro svolgano in proprio, anche ed in aggiunta, prestazioni di lavoro autonomo come imprenditori artigiani, ricavando un reddito di impresa, questo va sottoposto a contribuzione presso la gestione dei lavoratori autonomi, ai sensi della L. n. 233 del 1990” (cfr. nello stesso senso Cass. n. 13818/2008).

7. Il ravvisato obbligo di pagare la contribuzione sui compensi erogati ai soci lavoratori grava sulla cooperativa, in forza, come più volte si è affermato, di una disposizione remota nel tempo ma ancora vigente (per il periodo anteriore all’entrata in vigore della L. n. 142 del 2001) costituita dal R.D.L. 28 agosto 1924, n. 1422, art. 2, il quale prevede che “Le società cooperative sono datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da essa assunti”. (Analogo è il tenore del R.D. 7 dicembre 1924, n. 2270, art. 2, comma 2, regolamento per l’esecuzione del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3158 concernente provvedimenti per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria; il D.P.R. n. 797 del 1955, attribuisce ai medesimi soci gli assegni familiari, il R.D. n. 1343 del 1928, assicura i soci contro il rischio della tubercolosi, e il D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1224, art. 4, n. 7 e 9 garantisce ai soci la tutela antinfortunistica).

8. Una volta confermato che l’obbligo contributivo grava sulla cooperativa, si pone l’ulteriore problema di decidere quale ne sia la disciplina e cioè se, anche per i soci lavoratori, debba essere applicato il regime previsto per i lavoratori dipendenti.

Invero, prima dell’intervento della sentenza delle Sezioni unite n. 13967/2004 invocata dalla Cooperativa, la tesi largamente maggioritaria era quella secondo cui il R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, regolamento attuativo della legge delegata R.D. 30 dicembre 1923, n. 3184, equipara con una finzione, e per i fini assicurativi, la posizione dei soci lavoratori di società cooperative a quella dei lavoratori subordinati, con conseguente sussistenza dell’obbligazione contributiva a carico di tali società, a prescindere dalla sussistenza degli estremi della subordinazione e dal fatto che la cooperativa svolga attività per conto proprio o per conto terzi.

In questo stesso senso si sono pronunciate, tra le tante, Cass. 25 maggio 2002 n. 7668, 14 dicembre 2002 n. 17915, 1 agosto 2003 n. 3053, 7 marzo 2003 n. 3491, 28 marzo 2003 n. 4767.

9. Le Sezioni unite, con la citata sentenza 13967/2004, hanno invece affermato che, considerata la varietà degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali, il significato del R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3, non possa essere definito senza tener conto della successiva evoluzione legislativa, a partire dall’art. 45 Cost., e fino alle leggi successive ai fatti di causa e cioè alla L. n. 142 del 2001, così praticamente applicando quest’ultima anche ai periodi anteriori alla sua entrata in vigore. Poichè la nuova legge (come più oltre si vedrà) prevede che, oltre al rapporto associativo, deve intercorrere, tra socio e cooperativa, anche un altro e diverso tipo di rapporto di lavoro, che può essere autonomo o subordinato, i soci, anche per il passato, dovrebbero essere assicurati come lavoratori dipendenti solo in presenza di un rapporto di lavoro subordinato con la cooperativa, che affianchi quello associativo, mentre, se così non era, e cioè se al rapporto associativo si affiancava un rapporto di lavoro autonomo, il regime assicurativo da instaurare era quello proprio del lavoro autonomo.

10. La tesi non può essere condivisa, come hanno affermato molteplici sentenze successive della sezione lavoro, per la considerazione che la nuova legge ha un impianto del tutto diverso rispetto alla previgente regolamentazione ed è quindi con essa inconciliabile. (Cass. n. 14073/2007, n. 222/2008, n. 10543/2008, n. 11371/2008, n. 164 del l’8 gennaio 2009).

E’ indubbio che, con la disposizione sopra riportata del 1924 si intesero attrarre nell’orbita della tutela previdenziale, che all’epoca era ai primordi, anche i soci di cooperativa, sia pure ricorrendo ad una formula peculiare, che non estendeva direttamente la protezione, ma faceva riferimento alla cooperativa come datore di lavoro.

Ebbene, nessuna delle disposizioni citate condizionava l’assicurazione del socio lavoratore alla contemporanea sussistenza di un rapporto di altro genere con la cooperativa, al contrario, come è stato osservato, la norma in esame sarebbe stata del tutto pleonastica se presupposto della sua applicazione fosse stata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto, in quest’ultimo caso, l’obbligazione contributiva sarebbe sorta ex se, a prescindere dal fatto che il datore di lavoro assumesse la veste di cooperativa. La normativa ricollegava quindi la tutela previdenziale per il lavoro subordinato a due soli elementi: al fatto di essere socio ed al fatto di prestare attività lavorativa per conto della società, traendone un compenso.

11. A queste disposizioni si sono aggiunte successivamente, in ordine sparso, norme che hanno progressivamente esteso ai soci di cooperative di lavoro, regole previdenziali tipiche del rapporto di lavoro subordinato, estensione che ne presuppone necessariamente la iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti (AGO). La tendenziale equiparazione tra le due figure si giustifica per il fatto di condividere due elementi fondamentali: la “alienità” (nel senso di destinazione ad altri) del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata (il bene prodotto appartiene alla cooperativa, avente personalità distinta da quella dei soci, ancorchè costoro partecipino poi alla divisione degli utili), l’alienità dell’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce, giacchè i criteri di gestione fanno capo agli organi della cooperativa.

Tra queste nuove norma si annovera il D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 6, comma 7, il quale – ridisegnando la struttura della retribuzione imponibile e innovando la previgente regolamentazione di cui alla L. n. 153 del 1969, art. 12 – prevede che la base imponibile per le contribuzione dei soci di cooperative di lavoro è uguale a quella dei lavoratori dipendenti. Inoltre (L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 24 commi 1, 2, e 4) sono state estese ai soci delle cooperative di lavoro sia le disposizioni sul Fondo di garanzia Inps sul trattamento di fine rapporto (L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2) e sulle ultime tre mensilità di retribuzione in caso di insolvenza del datore di lavoro di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80), sia l’assicurazione per la disoccupazione. Le suddette prestazioni e garanzie presuppongono ovviamente una provvista contributiva. Ebbene, la gestione dei lavoratori autonomi artigiani di cui alla citata L. n. 233 del 1990, non contempla alcun obbligo al riguardo: sarebbe incongruo ipotizzare l’obbligo contributivo a carico dell’artigiano, che gestisce autonomamente la sua impresa, per garantirsi dalla disoccupazione, ovvero dall’insolvenza di se stesso. Si tratta invece di disposizioni che presuppongono la diversità tra soggetto obbligato al pagamento dei contributi e soggetto beneficiario (il soggetto obbligato è la cooperativa di lavoro ed i beneficiari sono i suoi soci) così riconfermando che la gestione di appartenenza è quella generale dei lavoratori dipendenti.

Nessuna di queste disposizioni, sicuramente prive di sistematicità, ma fortemente sintomatiche della volontà di estendere, anche ai soci lavoratori, le garanzie assicurative progressivamente introdotte nell’ordinamento a favore dei subordinati, condiziona in alcun modo questa più ampia tutela del socio alla sussistenza di un ulteriore rapporto con la cooperativa, ovvero alla circostanza che il lavoro venga reso in regime di subordinazione. Eppure in quella fase, a differenza di quanto accadeva nel 1924, stava diventando ben nota e praticata la distinzione tra lavoro subordinato, lavoro autonomo, lavoro subordinato coordinato e continuativo ecc..

La peculiarità è che, attraverso questa molteplicità di disposizioni, la tutela del socio lavoratore si è progressivamente implementata nel corso del tempo in stretta connessione con quella del lavoratore subordinato, ma il fondamento normativo è pur sempre rimasto quello delle remote e non appaganti disposizioni del 1924 per cui “Le società cooperative sono datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da esse assunti”.

12. La ragione di questa discrasia tra complessità di tutela, da una parte, e vaghezza del dato normativo dall’altra, verosimilmente si spiega considerando la difficoltà di distinguere, tra i soci – tutti impiegati, su incarico della cooperativa, in attività di lavoro – quelli operanti in regime di subordinazione e quelli operanti in autonomia; sarebbe stato, cioè, oltremodo difficoltoso, se non a prezzo di analisi complicate, non esigibili da soggetti come le cooperative, e ardue anche per l’ente previdenziale, sceverare, all’interno della cooperativa, tra chi lavorava in regime di subordinazione giuridica e chi, invece, lavorava in regime di subordinazione meramente tecnico funzionale, per assicurare solo ai primi la tutela previdenziale del lavoro dipendente.

Peraltro, alla difficoltà di cogliere il dato oggettivo di cui sopra, faceva riscontro anche la mancanza, in capo alla cooperativa, dell’obbligo di approntare idonea documentazione attestante i diversi tipi di lavoro svolti dai soci e poter distinguere tra essi. E questa mancanza di prescrizioni sul piano amministrativo – nonostante fin da tempi remoti fossero previsti numerosi controlli sulle cooperative – appare significativa del disinteresse del legislatore in ordine alle caratteristiche con cui il socio prestava l’attività lavorativa su incarico della cooperativa, evidentemente perchè la tutela previdenziale non veniva condizionata ad esse.

13. Il quadro così delineato per quanto riguarda il passato non si presta ad essere reinterpretato, sul piano previdenziale, alla luce dei nuovi criteri di cui alla L. n. 142 del 2001, per una molteplicità di motivi, che vertono sia sulla assoluta novità che la nuova legge apporta alla struttura organizzativa della cooperativa, la quale incide anche sulla tutela assicurativa, sia sul fatto che essa, necessariamente, tiene conto dell’assetto previdenziale complessivo vigente nel 2001, che non è comparabile con quello esistente negli anni venti, quando fu introdotta la tutela per i soci di cooperativa, per cui ciò che è stato dettato alla luce della nuova legge non appare applicabile per il passato.

In primo luogo questa fornisce opportunamente gli strumenti per distinguere, tra i soci, coloro che lavorano in regime di subordinazione e quelli che lavorano in regime di autonomia, dal momento che il suo cardine, sconosciuto nell’assetto precedente, è che il socio, all’atto dell’adesione alla cooperativa, o successivamente, instauri un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, finalizzato al raggiungimento degli scopi sociali, in forma subordinata o autonoma, a cui è applicabile la tutela previdenziale prevista per l’una o per l’altra forma. Dispone infatti l’art. 4 della legge 142/2001 che “Ai fini della contribuzione previdenziale ad assicurativa, si fa riferimento alle normative vigenti previste per le diverse tipologie di rapporto di lavoro adottabili dal regolamento delle società cooperative nei limiti di quanto previsto dall’art. 6”.

Inoltre, principio altrettanto rilevante è che la tipologia dei rapporti di lavoro, autonomo o subordinato, che si intendono attuare con i soci, devono essere indicati nel regolamento interno, che diventa così la fonte normativa fondamentale.

La nuova legge fa quindi indubbia chiarezza: la tutela previdenziale non viene ancorata al rapporto associativo, ma al rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, chiaramente indicato nel regolamento, che si affianca a quello associativo.

Ma così non era nell’assetto precedente, in cui, come già rilevato, l’unico rapporto del socio con la cooperativa era quello associativo, che era sufficiente per l’insorgenza della tutela assicurativa, e non erano previste distinzioni di sorta sulle modalità di svolgimento del lavoro per l’inclusione nell’una o nell’altra categoria.

14. Vi è anche da considerare che – per moltissimi anni – la attività lavorativa svolta in autonomia, ed al di fuori della titolarità di un’impresa, non veniva in alcun modo tutelata dal punto di vista assicurativo. Invero nel 1924, epoca a cui risale la citata disposizione sui soci di cooperativa, l’unica tutela assicurativa era quella del lavoro subordinato, mentre non esisteva alcuna tutela per il lavoro autonomo di qualunque specie (dovendosi attendere gli anni cinquanta per le prime assicurazioni di lavoratori autonomi come coltivatori diretti, artigiani e commercianti).

Applicando la nuova legge anche per il passato, i soci di cooperativa svolgenti per essa attività lavorativa, non in regime di subordinazione, ma in regime di autonomia, non riceverebbero tutela previdenziale di sorta.

Nè, in prosieguo, costoro avrebbero potuto essere iscritti presso le gestioni Inps per i lavoratori autonomi, ossia artigiani, commercianti e coltivatori diretti, non avendo la titolarità dell’impresa, o comunque gli altri requisiti imprescindibili previsti dalla legge per l’accesso a questo tipo di tutela (cfr. per gli artigiani L. 29 dicembre 1956, n. 1533, art. 1, e L. 4 luglio 1959, n. 463; per i commercianti L. 27 novembre 1960, n. 1397, art. 1 e L. 22 luglio 1966, n. 613; per i coltivatori diretti L. 22 novembre 1954, n. 1136, art. 1 e L. 26 ottobre 1957, n. 1047).

2.10. Invero la L. n. 142 del 2001 – la quale, come rilevato, ricollega la tutela previdenziale a quella propria del rapporto di lavoro, che può essere subordinato o autonomo, che si affianca a quello associativo – interviene in epoca in cui a “tutte” le attività lavorative viene garantita la tutela previdenziale, nel quadro della c.d. “universalizzazione” delle tutele, che prima non esisteva.

La tutela previdenziale del lavoro autonomo, inteso come lavoro parasubordinato, al di fuori della titolarità dell’impresa, di prestazione coordinata e continuativa ex art. 409 cod. proc. civ., sorse solo con la L. 8 agosto 1995, n. 335.

15. La disposizione fondativa si trova alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, il quale prevede la costituzione presso l’Inps di una c.d. gestione separata (ovvero quarta gestione) in cui devono essere iscritti quei lavoratori autonomi che svolgono attività professionale per la quale non è prevista l’iscrizione in albi o in elenchi.

Il medesimo comma 26, ai fini della individuazione dei soggetti tenuti all’iscrizione a detta gestione separata, traccia poi una fondamentale bipartizione: a) i “lavoratori parasubordinati” in senso proprio, e cioè coloro che percepiscono redditi da collaborazione continuativa e coordinata (ultima parte del citato comma 26); b) i “lavoratori autonomi” in senso stretto e cioè coloro che, ai sensi dell’art. 49 del cit. T.U.I.R. n. 917 del 1986, ivi richiamato attività di lavoro autonomo, svolta come professione abituale, ancorchè non esclusiva, si tratta cioè di quelli che la vulgata definisce come il popolo delle partite Iva.

16. Seguendo l’indirizzo delle Sezioni unite conseguirebbe che i soci di cooperativa lavoratori autonomi dovrebbero essere assicurati nelle forme previste per la gestione separata presso l’Inps (la citata L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26), ma ciò è possibile solo a partire dalla data di entrata in vigore di quella disposizione, e quindi dal gennaio 1996, mentre per tutto il lungo periodo precedente, costoro, pur lavorando per la cooperativa e quindi, essendo astretti ad una subordinazione tecnico funzionale, sarebbero stati privi di ogni tutela, a causa della mancanza di subordinazione in termini giuridici.

In definitiva, le precedenti argomentazioni dimostrano che il sistema previgente, che ancora non conosceva la articolazione e la complessità delle tutele introdotte nel corso di quasi sessant’anni di storia, non si presta in alcun modo alla sussunzione nel sistema introdotto dalla nuova L. n. 142 del 2001.

17. Conclusivamente, si deve confermare l’indirizzo giurisprudenziale precedente enunciando il seguente principio” In riferimento al regime anteriore all’entrata in vigore della L. n. 142 del 2001, le società cooperative, in virtù del R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3 – il quale dispone che dette società “sono datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da esse assunti” – sono da considerare ai fini previdenziali come datrici di lavoro rispetto ai soci assegnati a lavori dalle stesse assunti, con la conseguenza dell’assoggettamento a contribuzione previdenziale presso la gestione lavoratori dipendenti dei compensi corrisposti ai propri soci che abbiano svolto attività lavorativa, indipendentemente dalla sussistenza degli estremi della subordinazione”.

18. Si aggiunga a chiarimento del principio di diritto enunciato sub parag. 6 e a conferma della possibilità – regata dalla ricorrente – per il giudice di valutare la natura artigianale dell’impresa che questa Corte (Cass., sez. lav., 22 maggio 2008, n. 13216 citata) ha già affermato – e qui ribadisce – che l’iscrizione di un’impresa nell’albo delle imprese artigiane è il risultato di un complesso procedimento amministrativo, diretto all’accertamento dei soggetti aventi diritto alla qualifica di imprenditori o imprese artigiane, accertamento che, fin dall’entrata in vigore della L. n. 443, del 1985, ha efficacia costitutiva per la concessione delle agevolazioni a favore delle imprese artigiane (art. 5, comma 4), mentre dall’entrata in vigore della L. n. 63 del 1993 (di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 6 del 1993) ha efficacia vincolante anche ai fini previdenziali ed assistenziali ed è impugnabile attraverso le procedure previste dalla L. n. 443 del 1985, art. 7 (ricorso alla Commissione Regionale; impugnazione del relativo provvedimento davanti al Tribunale competente per territorio, che decide in Camera di Consiglio, sentito il Pubblico Ministero), senza che ciò impedisca al giudice del merito, a fronte della contestazione formulata in giudizio dal convenuto e della prova offerta dal medesimo, di verificare se sussistono tutti i requisiti di legge per la qualifica artigiana e di disapplicare, in caso di insussistenza dei requisiti medesimi, l’atto di iscrizione, ancorchè non impugnato in sede amministrativa e poi giudiziaria con la procedura di cui alla citata L. n. 443 del 1985, art. 7.

Rispetto a questi citati precedenti la ricorrente non ha addotto argomentazioni nuove e diverse per indurre il Collegio ad un diverso convincimento.

19. Il ricorso va quindi interamente rigettato.

Consegue la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dell’INPS, liquidate in Euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010

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