Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12737 del 19/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/05/2017, (ud. 20/12/2016, dep.19/05/2017),  n. 12737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14733/2015 proposto da:

D.C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA

251, presso lo studio dell’avvocato MARIA SARACINO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE MASTRANGELO giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SAS, in persona del Curatore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso

lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALESSANDRO RICCIUTI giusta procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 436/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del

15/04/2014, depositata il 29/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/12/2016 non partecipata dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Come risulta dalla sentenza impugnata in questa sede, nel 2007 il Fallimento (OMISSIS) s.a.s. chiese ed ottenne dal Tribunale di Lanciano decreto ingiuntivo nei confronti di D.C.A. per il pagamento della somma di Euro 235.419,41, oltre interessi.

Il predetto fallimento, a fondamento dell’istanza monitoria, espose che: la (OMISSIS) s.a.s. era proprietaria di un immobile adibito ad attività commerciale; in data 5 febbraio 1991 la Banca di Roma aveva erogato in favore della D.C., figlia di D.C.A., la somma di Lire 300.000.000; a garanzia della restituzione del mutuo la società (OMISSIS) aveva concesso ipoteca sull’immobile di sua proprietà; a seguito della morosità della debitrice, il predetto istituto di credito aveva pignorato l’immobile della (OMISSIS), terza datrice di ipoteca; tale bene era stato venduto il 17 giugno 2003 in sede di esecuzione individuale, con incasso della somma di Euro 235.419,41; la banca, per soddisfare integralmente il suo credito, aveva intrapreso altra procedura esecutiva immobiliare nei confronti di alcuni immobili di proprietà della D.C.; la (OMISSIS) era intervenuta nell’esecuzione quale terza datrice di ipoteca, in via di surrogazione in data 10 dicembre 2003; in data 11 marzo 2005 era stato dichiarato il fallimento della (OMISSIS) s.a.s.; la procedura fallimentare era intervenuta nell’esecuzione da ultimo richiamata; la D.C. aveva proposto opposizione all’esecuzione immobiliare sia nei confronti della banca che del fallimento; con sentenza del 16 gennaio 2007 il Tribunale di Lanciano aveva rigettato l’opposizione all’esecuzione proposta nei confronti del fallimento e nel frattempo la banca aveva rinunciato all’esecuzione; il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato l’estinzione della procedura in quanto il credito del fallimento intervenuto sussisteva ma il fallimento non aveva un titolo esecutivo che comportasse la possibilità di compiere atti nella procedura espropriativa; il fallimento era creditore della somma di Euro 235.419,41, oltre interessi, per un credito pari al valore del bene venduto nell’espropriazione immobiliare.

La D.C. propose opposizione al d.i., sostenendo di aver provveduto al pagamento integrale del credito vantato dal fallimento prima della dichiarazione di insolvenza, avendo stipulato la scrittura privata del (OMISSIS), con successiva scrittura transattiva del 29 dicembre 2003 e relativa quietanza liberatoria rimessa con nota del 10 marzo 2004 a mezzo del servizio postale, con timbro attestante data certa opponibile al fallimento.

Il Tribunale di Lanciano, con sentenza deposita il 10 febbraio 2011 dichiarò improcedibile l’opposizione, ritenendo che l’opponente si fosse costituita in ritardo, e compensò per intero tra le parti le spese di lite.

Avverso tale sentenza la D.C. propose gravame, al quale resistette il fallimento.

La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza depositata il 29 aprile 2014, in accoglimento del gravame e in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò ammissibile l’opposizione proposta dalla D.C., rigettò l’opposizione a decreto ingiuntivo e condannò l’appellante alle spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso la sentenza della Corte territoriale D.C.A. ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico articolato motivo, cui ha resistito il fallimento (OMISSIS) s.a.s. con controricorso.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., del relatore, il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte con decreto comunicato alle parti.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. L’unico complesso motivo è così rubricato: “A) – Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e B) Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Con detto mezzo la ricorrente censura la sentenza impugnata perchè “del tutto ingiusta e contraria al diritto”, specificando di fare piena acquiescenza alla stessa nella parte in cui ha dichiarato ammissibile l’opposizione a d.i. proposta.

Nel resto il motivo risulta articolato in modo del tutto generico, evidenziandosi che non risultano indicate specificamente, nemmeno nella rubrica dello stesso, nè le norme che si assumono violate dalla Corte di merito nè il fatto decisivo di cui si lamenta l’omesso esame, evidenziandosi che deve trattarsi di fatto (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053) e non di argomento (cui la ricorrente fa invece riferimento a p. 6 del ricorso).

Va infatti in particolare rilevato, con riferimento al primo dei due rilevi appena formulati, che, quando nel ricorso per cassazione come pure nel caso all’esame – è denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina. Diversamente – come in parte avvenuto nella specie – il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione (Cass., ord., 15/01/2015, n. 635, Cass., 16 gennaio 2007, n. 828; Cass., 18 aprile 2006, n. 8932).

Inoltre, nel mezzo all’esame si fa inammissibilmente riferimento ad atti (quietanza del saldo del 10 marzo 2004, sentenza del Tribunale di Lanciano n. 19/07) senza precisare se e quando tali atti siano stati prodotti nel giudizio di merito e dove siano essi ora reperibili nè risulta precisato specificamente quando, nel corso del primo grado, sia stata prodotta la sentenza penale del 26 settembre 2009 che la Corte territoriale ha ritenuto tardivamente prodotta solo in appello.

Va poi osservato che le censure proposte, oltre a presentare i già sopra evidenziati profili di inammissibilità, sono svolte in modo confuso ed indistinto e ripropongono pure questioni di fatto già esaminate dalla Corte di merito. Neppure risulta censurata, con il motivo così come articolato in ricorso, l’affermazione della Corte di merito secondo cui “il timbro postale apposto sulla quietanza liberatoria, per la scarsa chiarezza della fotocopia, non consente di leggere la data impressa sul foglio” e ha conseguentemente in sostanza escluso che la quietanza in parola avesse data certa, sicchè tale autonoma ratio decidendi non viene in alcun modo scalfita dal ricorso.

La stessa ricorrente sembra essere consapevole dell’evidenziato difetto di specificità delle censure proposte tanto che nelle memorie ha affermato che “la sola riproposizione della sentenza di appello, alla luce della documentazione prodotta agli atti, rende da sola evidenti le incongruenze motivazionali del presente ricorso”; ha poi dedotto di aver proposto “più punti di doglianza connessi, sebbene non specificamente e/o ripetutamente rapportati” e ha sostanzialmente riformulato le censure e peraltro, al punto 2.C. ha per la prima volta in questa sede espressamente lamentato che la Corte di merito non ha ritenuto di aderire ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di scrittura privata incorporata nel foglio recante timbro postale perchè non leggibile la data impressa sul foglio per la scarsa chiarezza della fotocopia.

Va tuttavia evidenziato che i vizi di genericità o indeterminatezza dei motivi del ricorso per cassazione non possono essere sanati da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., la cui funzione è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli originariamente inammissibili (Cass. 25/02/2015, n. 3780; Cass., ord., 18/12/2014, n. 26670).

In relazione, infine, alla doglianza relativa alla condanna alle spese, pur a voler considerare la stessa non del tutto generica, si osserva che comunque essa non può essere accolta, atteso che la Corte di merito ha ritenuto evidentemente prevalente la soccombenza della D.C., in quanto ha dichiarato ammissibile l’opposizione dalla stessa proposta ma ha rigettato nel merito la stessa.

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

4. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2017

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