Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12737 del 05/06/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 12737 Anno 2014
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 3575-2012 proposto da:
MARTON GIUSEPPE MRTGPP46E04B879Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio
dell’avvocato DI ME0 STEFANO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GALLO AMERIGO giusta procura a margine
del ricorso;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 0636691001, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 05/06/2014

avverso la sentenza n. 159/02/2010 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO del 9/06/2012, depositata
il 16/12/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

udito l’Avvocato Stefano Di Meo difensore del ricorrente che si riporta
agli scritti.

Ric. 2012 n. 03575 sez. MT – ud. 17-04-2014
-2-

CARACCIOLO;

La Corte, ritenuto
che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la
seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Milano ha respinto l’appello di Marton Giuseppe -appello proposto contro
la sentenza n.232/05/2008 della CTP di Milano che aveva già respinto il ricorso del
predetto contribuente- ed ha perciò confermato l’avviso di accertamento per il
periodo di imposta 2002 relativo ad IRPEF-IVA-IRAP, con il quale il quale erano
stati rettificati i ricavi del periodo sulla scorta dell’applicazione degli studi di settore
con riferimento ad attività del settore dell’autotrasporto.
La predetta CTR —dato atto che il contribuente lamentava la mancata considerazione
di due specifici argomenti utili a disattendere l’asserita “non congruenza” con le
medie di settore, e cioè problematiche di salute che generavano ridotta capacità
lavorativa ed il fatto di avere un unico committente che imponeva le sue tariffe- ha
motivato la decisione evidenziando che il contribuente non aveva fornito le prove
utili a giustificare le condizioni di esclusione dall’area di soggetti a cui possono
essere applicati gli “standards”, anche alla luce del fatto il documento INPS datato
1999 (che avrebbe dovuto attestare la riduzione a meno di un terzo della capacità
lavorativa) non poteva considerarsi significativo
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia si è costituita con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art.3 e
21 della legge n.241/1990 e dell’art.7 della legge n.212/2000) la parte ricorrente torna

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letti gli atti depositati

a lamentare la carenza di motivazione dell’atto di accertamento (perché fondato sul
solo dato dello scostamento matematico), mentre la motivazione dell’atto
amministrativo dovrebbe essere “la rappresentazione concreta dell’iter logico,
giuridico e procedurale che ha portato alla definizione di quel provvedimento”.
Il motivo appare inammissibilmente formulato —non contendendo alcuna censura che

delle doglianze già proposte avanti al giudice del merito- alla stregua della
consolidata giurisprudenza di codesta Corte secondo la quale: Il ricorso per
cassazione deve, a pena di inammissibilità, essere articolato su motivi dotati dei
caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione
impugnata; in particolare, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, numero 3),
cod. proc. civ. deve essere dedotto mediante la specifica indicazione delle
affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si
assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione
delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina, diversamente non ponendosi
la Corte regolatrice in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di
verificare il fondamento della lamentata violazione. (Enunciando tale principio, la
Corte ha dichiarato l’inammissibilità del motivo in un caso in cui il ricorrente non
aveva indicato le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata e non
aveva formulato censure specifiche contro di esse, essendosi limitato a richiamare la
motivazione della sentenza di primo grado, alla quale aveva manifestato adesione,
nonché l’atto di appello del P.M., dal quale aveva dissentito; ed atteso che lo stesso
quesito di diritto formulato a conclusione del motivo era sfornito di qualsiasi
collegamento tale da consentire di individuare la soluzione adottata dalla sentenza
impugnata e di precisare i termini della contestazione)” (Cass. Sez. 1, Sentenza n.
22499 del 19/10/2006).
Quanto ai due residui motivi (il primo informato alla violazione dell’art.32 comma 2
del DPR n.600/1973, dell’art.58 del D.Lgs. 546/1992 e dell’art.39 comma 1 lett. d del
DPR n.600/1973; il secondo improntato alla violazione dell’art.39 comma 1 lett. d del

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sia rivolta nei confronti della decisione qui impugnata, ma consistendo nel rinnovo

DPR n.600/1973 anche in relazione all’art.53 Cost.), con essi la parte ricorrente si
duole che la CTR abbia ritenuto che esso contribuente non abbia assolto all’onere di
prova che gli incombe, pur essendo invece adeguate e conferenti le prove addotte in
giudizio ed inoltre si duole del fatto che il giudice del merito non abbia tenuto in
alcun conto il caso concreto e quindi la vera capacità contributiva del soggetto ed

indizi esterni.
Anche detti motivi di impugnazione appaiono inammissibili e se ne propone il
rigetto, per erronea identificazione dell’archetipo del vizio valorizzato.
Ne è sintomo la circostanza che la parte ricorrente —dopo avere genericamente
identificato la disposizione di legge che il giudicante avrebbe violato- si limita poi,
sostanzialmente, a dolersi del fatto che il giudicante —avvalendosi della sue
prerogative di apprezzamento decisorio- abbia sottovalutato o pretermesso
circostanze di fatto rilevanti ai fini di ritenere violata la disposizione di legge
medesima ovvero abbia dato rilievo a circostanze inidonee al fine di giudicare.
Si tratta —per evidenza- di circostanze di fatto e di valutazioni di puro merito che
concernono il potere di ricostruzione della fattispecie concreta —dalla legge di rito
assegnato in via esclusiva al giudice del merito- il cui apprezzamento non può
costituire oggetto di erronea interpretazione o applicazione della norma, almeno non
nell’ottica prospettata dalla parte ricorrente.
Ed invero è principio tante volte enunciato da questa Corte che:” In tema di ricorso
per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata
da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo
della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della
norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è
possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine
tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea

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abbia giudicato sulla scorta di quelle che sono mere presunzioni non corredate da

ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della
legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta
– è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata
dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. Sez. L, Sentenza n.
16698 del 16/07/2010).

inammissibilità.
Roma, 20 ottobre 2013

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che nessuna delle parti ha depositato memoria illustrativa;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in E 2.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2014

I l President

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per

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