Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12736 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. I, 10/06/2011, (ud. 28/03/2011, dep. 10/06/2011), n.12736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28008/2005 proposto da:

S.E., non in proprio ma nella qualità di Curatore del

FALLIMENTO DELLA CERAMICA DI PISA S.R.L., elettivamente domiciliato

in ROMA, FORO TRAIANO 1-A, presso l’avvocato COSMELLI Giorgio, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BORSACCHI STEFANO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA AGRICOLA MANTOVANA S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 435/2006 proposto da:

BANCA AGRICOLA MANTOVANA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO

VITTORIO EMANUELE 326, presso l’avvocato SCOGNAMIGLIO RENATO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO,

giusta procura speciale per Notaio Dott. DANIELE MOLINARI di MANTOVA

– Rep. n. 65.961 del 9.12.05;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

S.E., non in proprio ma nella qualità di Curatore del

FALLIMENTO DELLA CERAMICA DI PISA S.R.L., elettivamente domiciliato

in ROMA, FORO TRAIANO 1-A, presso l’avvocato COSMELLI GIORGIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BORSACCHI STEFANO,

giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 800/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/03/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato COSMELLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale e rigetto dell’incidentale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

VINCENZO PORCELLI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale e accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per previa unione dei

ricorsi, accoglimento del ricorso principale e il secondo motivo del

ricorso incidentale, rigettato il primo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13.5.03 il Tribunale di Pisa, pronunciando nelle cause riunite promosse dal Fallimento della Ceramica di Pisa s.r.l., dichiarato il (OMISSIS), nei confronti della Banca Agricola Mantovana s.p.a.(in seguito, per brevità, BAM), in parziale accoglimento delle domande revocatorie avanzate dall’attore: 1) dichiarò l’inefficacia L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, dell’operazione (Delib. 21 febbraio 1994 e formalizzata il 4.3.94) attuata attraverso la concessione, da parte della banca alla società poi fallita, di un’apertura di credito di 500 milioni delle vecchie Lire, accordata sul conto corrente ordinario n. (OMISSIS) acceso alcuni giorni prima, e garantita dalla cessione di un credito IVA, a seguito della quale la somma di 500 milioni, accreditata sul conto anticipi (anch’esso coevo) n. (OMISSIS), era poi affluita il 24.3.94, tramite giroconto, su quello ordinario, ad estinzione dell’esposizione debitoria della Ceramica di Pisa, che, fra il 18 ed il 23.2.94, vi aveva tratto assegni per complessivi L. 497.466.482;

2) dichiarò l’inefficacia L. Fall., ex art. 67, comma 2, di ulteriori operazioni di accredito, contabilizzate a vario titolo sul conto ordinario e di un bonifico contabilizzato sul conto anticipi;

3) condannò la BAM a restituire alla curatela complessivi Euro 265.312 (di cui Euro 258.228, pari a 500 milioni delle vecchie Lire, per effetto dell’accoglimento della prima domanda), maggiorati degli interessi legali sulle somme annualmente rivalutate dalla data delle domande al saldo, nonchè i due terzi delle spese dei giudizi riuniti, che compensò per l’altro terzo.

La decisione fu impugnata in via principale dalla BAM ed in via incidentale condizionata dal Fallimento, che, per il caso di ritenuta fondatezza del gravame, chiese l’accoglimento della domanda (formulata in primo grado in via subordinata ed assorbita dall’accoglimento di quella svolta L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2) di revoca L. Fall., ex art. 67, comma 2, del pagamento ottenuto dalla banca attraverso la riscossione, nel giugno del 95, del credito IVA oggetto di cessione.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 23.5.05, accolse il secondo e respinse gli altri motivi dell’appello principale, respinse l’appello incidentale, ed, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigettò la domanda di revoca dell’operazione bancaria di anticipazione garantita dalla cessione.

A sostegno della decisione, la Corte territoriale rilevò: che il carattere anormale di un mezzo di pagamento è dato dall’estinzione di una precedente passività, come scopo ulteriore rispetto alla causa tipica dei singoli negozi; che nella specie, invece, come era stato accertato dal ctu, le passività esistenti sul c/c ordinario alla data in cui era stato perfezionato il negozio di cessione non erano “consolidate”, ma costituivano effetto prodromico dell’intera operazione; che pertanto i prelievi effettuati dalla Ceramica di Pisa sul conto, a seguito dei quali la società era divenuta debitrice della banca, ben potevano dirsi contestuali alla cessione, prevista come mezzo di estinzione del debito stesso; che il disallineamento temporale fra la data dei prelievi e quella di cessione non poteva, di per sè, costituire indizio dell’anormalità del pagamento rinveniente dall’anticipazione; che anche il ctu aveva riferito che l’operazione posta in essere corrispondeva ad una prassi bancaria ormai consolidata e pressochè uniforme; che, quanto all’appello incidentale, l’accertata contestualità della cessione e dell’esposizione debitoria del cedente non consentivano di revocare, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, il pagamento ottenuto dalla BAM attraverso l’incasso del credito IVA, non potendo tale pronuncia intervenire senza la preventiva revoca del negozio di cessione; che la sentenza andava, per il resto, confermata, in quanto la maggior parte delle ulteriori rimesse revocate, intervenute nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, erano affluite sui conti dopo che la BAM, con lettera 27.12.94, aveva comunicato alla Ceramica di Pisa che intendeva recedere con effetto immediato dagli affidamenti concessi e che non avrebbe più eseguito gli ordini di pagamento che le erano stati a suo tempo impartiti, con ciò dimostrando di essere pienamente a conoscenza dello stato di insolvenza della correntista, mentre altre due rimesse, comunque di pochi giorni anteriori al 27.12.94, erano state accreditate dopo la pubblicazione del bilancio dell’esercizio 93 della Ceramica di Pisa, dal quale già emergeva con chiarezza il dissesto della società;

che, del pari, andava confermata la condanna della banca al pagamento della rivalutazione monetaria sulle somme revocate, attesa la natura di debito di valore dell’obbligazione restitutoria.

Il Fallimento della Ceramica di Pisa s.r.l. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato ad un unico motivo ed illustrato da memoria.

La Banca Agricola Mantovana s.p.a. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, cui il Fallimento ha a sua volta resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1) Con l’unico motivo di ricorso il Fallimento, denunciando violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., svolge due distinte censure. 1.1) Lamenta, in primo luogo, il rigetto della domanda avanzata ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, e deduce, a tale proposito, richiamando copiosa giurisprudenza di questa Corte: che non è corretto affermare che la non contestualità tra apertura di credito e cessione è l’unico presupposto necessario per qualificare il negozio come anormale, dovendosi, in contrario, accertare quale sia stata l’effettiva volontà delle parti;

che,comunque, nel caso di specie andava esclusa la contestualità fra la concessione della linea di credito ed il suo utilizzo, in quanto l’apertura era stata deliberata il 21.2.94 e formalizzata il 4.3.94, ma, di fatto, utilizzata dalla Ceramica di Pisa dal 18.2.94 al 24.2.94, per un importo di L. 497.466.482; che tale discrasia temporale era chiaro indice dell’intento della BAM di consentire l’estinzione, attraverso il finanziamento garantito dalla cessione, della pregressa passività maturata dalla società poi fallita sul conto corrente non affidato; che, infine, a fronte di una situazione di insolvenza conosciuta dalla banca, la natura solutoria della cessione di credito non cambia, sia che la stessa consenta di ripianare un’esposizione debitoria già consolidata, sia che venga prevista per finanziare l’imprenditore e, al contempo, per garantirsi la liquidità necessaria a rientrare dal finanziamento.

1.2) Assume, inoltre, che la Corte territoriale ha omesso di pronunciare sulla domanda riproposta con l’appello incidentale condizionato. In subordine sostiene che, qualora dovesse ritenersi che la domanda sia stata respinta sulla scorta delle considerazioni contenute alla pag. 8 della sentenza, la motivazione di rigetto risulterebbe illogica ed insufficiente, siccome fondata su norme e principi estranei a quelli applicabili in tema di revocatoria di rimesse bancarie.

Entrambe le censure devono essere respinte.

1.3) Quanto alla prima, va rilevato che, secondo la giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte, la cessione di credito,, che è negozio a causa variabile, si caratterizza come anomala, rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti, e, come tale; è assoggettabile a revocatoria fallimentare a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, se compiuta in funzione solutoria, cioè per estinguere un debito pecuniario scaduto ed esigibile, mentre si sottrae all’azione fallimentare qualora sia stata stipulata in funzione di garanzia di un debito contestualmente sorto (da ultimo, fra molte, Cass. nn. 17683/09, 1617/09, 22014/07).

Poichè la causa del negozio deve essere accertata in concreto, attraverso l’individuazione della reale finalità perseguita dalle parti, non derogano al principio enunciato (contrariamente a quanto sembra ritenere il ricorrente) le sentenze nelle quali si è precisato che la funzione solutoria della cessione non è esclusa dalla mera, contemporanea concessione di un credito, allorchè questo venga in realtà utilizzato per estinguere una precedente passività (Cass. nn. 1187/06, 12556/04): in tal caso, infatti, l’operazione non vale a porre a disposizione del soggetto finanziato nuova liquidità, ma unicamente ad assicurare al finanziatore il pagamento del credito (anteriormente) sorto e non garantito, attraverso la sua sostituzione con un credito di pari importo ma garantito dalla cessione. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte di merito ha accertato che la passività esistente sul conto corrente della società poi fallita, alla data in cui fu perfezionata la cessione, non era “consolidata” (non integrava, cioè, un debito preesistente, scaduto ed esigibile), ma costituiva effetto prodromico dell’intera operazione di finanziamento garantita dall’anticipazione; ha poi precisato che tale conclusione non risultava smentita dal disallineamento temporale fra la data del prelievo e quella della cessione, che non poteva di per sè indurre a ritenere anormale la rimessa (rinveniente dall’apertura di credito), avendo il ctu riferito che l’operazione corrispondeva ad una prassi bancaria ormai consolidata e pressochè uniforme.

Dall’accertamento in fatto dell’inesistenza di una pregressa posizione debitoria della Ceramica di Pisa estinta attraverso l’accredito in conto delle somme oggetto di finanziamento, e, in conseguenza, dell’ effettiva contestualità fra il sorgere del debito della società verso la banca (derivante dall’utilizzo dell’apertura di credito) e la cessione che tale debito garantiva, la Corte ha quindi correttamente tratto, in diritto, la conclusione della non assoggettabilità dell’intera operazione, priva del carattere della “anormalità”, all’azione revocatoria di cui al della L. Fall., art. 67, comma 1.

Le critiche che il Fallimento muove alla sentenza, sostenendo che la motivazione assunta dalla Corte territoriale sarebbe palesemente illogica e contraddittoria, scaturiscono da un’errata interpretazione della decisione.

Il giudice d’appello, infatti, ha affermato che la cessione va considerata “anormale” o “normale” non già a seconda che il contratto di finanziamento sia ad essa anteriore o coevo, ma a seconda che la concessione della linea di credito in vista della quale è pattuita abbia o meno funzione solutoria di un preesistente debito, scaduto ed esigibile, del soggetto finanziato.

Nè il denunciato vizio di motivazione ricorre per il solo fatto che la Corte territoriale ha escluso la funzione solutoria dell’operazione nonostante la somma oggetto del finanziamento fosse stata accreditata sul conto corrente ordinario in data successiva (di circa un mese) a quella in cui la Ceramica di Pisa vi aveva tratto assegni per un importo pressochè corrispondente. Costituisce infatti principio ripetutamente affermato da questa Corte, al quale il collegio intende dare continuità, che la contestualità va intesa in senso eminentemente sostanziale e causale, e non strettamente cronologico, sicchè l’eventuale riferibilità della garanzia a un credito preesistente va accertata in concreto, avuto riguardo alla specifica genesi del contratto (Cass. nn. 1617/09, 26054/06, 17590/05, 3615/04).

Il Fallimento non ha mai dedotto che la Ceramica di Pisa fosse da tempo correntista della BAM e fosse esposta nei suoi confronti per uno scoperto maturato prima del febbraio 94, ma ha anzi dato atto che il conto corrente ordinario fu acceso proprio in quel mese e che fu immediatamente consentito alla correntista, che non vi aveva versato alcuna somma, di effettuarvi i prelevamenti: la conclusione del giudice del merito, che ha escluso la rilevanza della discrasia temporale di cui si è appena detto, ritenendo che l’emissione degli assegni costituisse utilizzo in via anticipata del credito derivante dal finanziamento, trova dunque pieno conforto non solo nell’accertata inesistenza di posizioni debitorie della società poi fallita scaturenti da rapporti contrattuali intercorsi con la banca anteriormente al perfezionarsi dell’operazione dedotta in giudizio, ma anche nella palese illogicità della diversa prospettazione del ricorrente, in base alla quale dovrebbe supporsi che la banca, contrariamente ad ogni prassi e ad ogni principio di corretta gestione del merito creditizio, avesse da subito autorizzato la società, “a corto di liquidità e priva di affidamento” (pag. 18, righi 10 ed 11 del ricorso), ad operare allo scoperto, per poi “pentirsi” di tale (in effetti sconsiderata) decisione dopo pochi giorni e trovarvi immediato riparo attraverso la ridetta operazione.

Non può, d’altro canto, farsi a meno di rilevare come il Fallimento (alla pag. 12, righi 4 e segg. del ricorso) abbia espressamente riconosciuto la circostanza ritenuta provata dalla Corte di merito, ovvero che l’apertura di credito fu formalizzata con atto notarile del 4.3.94…, ma di fatto utilizzata “senza affidamento” dal 18.2.94 al 24.3.94.

E’ dunque lo stesso ricorrente ad ammettere, in evidente contraddizione con la tesi, subito dopo sostenuta, della non contestualità della cessione, che, ancorchè alle date di emissione degli assegni il conto corrente non risultasse ancora “formalmente affidato”, il debito della Ceramica di Pisa verso la BAM sorse in conseguenza dell’utilizzazione da parte della società proprio di quella provvista che la banca si era obbligata a porre a sua disposizione con il contratto di apertura di credito garantito dalla cessione e che, di fatto, affluì sul conto dopo circa un mese dai prelevamenti.

1.4) Il rigetto della seconda censura consegue, invece, al semplice rilievo che la Corte di merito, “così rispondendo al motivo d’appello incidentale, ha affermato – con statuizione che costituisce autonoma ratio decidendi e che risulta contrastata in via del tutto generica dal ricorrente – che la revoca delle rimesse eseguite dal debitore ceduto sul conto esistente presso la banca cessionaria non può essere pronunciata senza la preventiva revoca del negozio di cessione (nella specie non dichiarabile, per le ragioni appena enunciate, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, e neppure dichiarabile ai sensi del comma 2 della medesima disposizione per difetto del presupposto temporale).

Va, per completezza, aggiunto che la statuizione, pur nella sua imprecisione (non potendo l’incasso del credito ceduto, annotato dalla banca cessionaria – ai soli fini contabili – sul c.d. conto anticipi e non accreditato sul conto corrente, essere propriamente definito una rimessa), trova fondamento nell’ovvia constatazione che, per effetto della cessione, il credito fuoriesce dal patrimonio del fallito, sicchè il successivo pagamento eseguito dal debitore ceduto non costituisce atto solutorio del debito del cedente verso la banca cessionaria (derivante dallo scoperto di conto corrente), ma adempimento di un’obbligazione assunta nei diretti confronti di quest’ultima (Cass. nn. 12558/04, 2936/97, 4253/78, 3519/75).

2) Con il primo motivo di ricorso incidentale, la BAM, denunciando violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, e vizio di motivazione, lamenta che la Corte di merito abbia ritenuta provata la sua scientia decotionis senza tener conto di una circostanza decisiva al fine di escludere la sussistenza del presupposto soggettivo dell’azione che, a suo dire, emergeva dalla ctu, laddove il consulente riferiva che “dalla documentazione acquisita non è stato possibile accertare se vi siano stati inadempimenti e cioè la manifestazione esteriore di tale stato”.

Il motivo è palesemente infondato.

E’ appena il caso di rilevare che con motivazione congrua, non contraddetta in alcun modo dalla ricorrente incidentale e, in ogni caso, non sindacabile nelle presente sede di legittimità, la Corte di merito ha tratto la prova della ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione non già dall’esistenza di sintomi esteriori dell’insolvenza, ma dallo stesso comportamento tenuto della banca, che nel dicembre del 94 aveva revocato gli affidamenti in precedenza concessi alla correntista, e dall’avvenuta pubblicazione del bilancio dell’ esercizio 1993 della Ceramica di Pisa, dal quale, secondo quanto accertato dallo stesso ctu, emergeva chiaramente un profondo squilibrio strutturale della società poi fallita, che aveva estrema difficoltà a far fronte con mezzi normali alle necessità finanziarie a breve termine.

3) E’ invece fondato il secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale la BAM deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1282 c.c., in relazione alla L. Fall., art. 67, e rileva l’erroneità della pronuncia della Corte territoriale concernente la natura di debito di valore dell’obbligazione restitutoria derivante dall’accoglimento della domanda di revoca. Costituisce infatti principio ormai consolidato che l’obbligazione restitutoria dell’accipiens soccombente in revocatoria ha natura di debito di valuta e non di valore, atteso che l’atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della revocatoria, che ha natura costitutiva; ne consegue che gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla data della domanda giudiziale e che il risarcimento del maggior danno conseguente al ritardo con cui sia stata restituita la somma di denaro oggetto della revocatoria spetta solo nel caso (nella specie non ricorrente) in cui l’attore alleghi specificamente tale danno e dimostri di averlo subito (per tutte, Cass. S.U. n. 437/2000).

L’accoglimento del motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito e dichiarare che la BAM non è tenuta al pagamento della rivalutazione monetaria sulle somme dovute al Fallimento.

Attesa la parziale, reciproca soccombenza delle parti, appare giustificato compensare le spese del giudizio d’appello nella misura di un terzo, ponendo i rimanenti due terzi – che si liquidano come da dispositivo – a carico del Fallimento, e compensare integralmente le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte: riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo dello stesso ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara che la Banca Agricola Mantovana s.p.a. non è tenuta al pagamento della rivalutazione monetaria sulle somme dovute al Fallimento della Ceramica di Pisa s.r.l.;

dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio d’appello nella misura di un terzo e condanna il Fallimento a pagare alla Banca i rimanenti due terzi, liquidati in Euro 4.000 per onorari ed Euro 589 per diritti, oltre spese generali ed accessori di legge; dichiara interamente compensate le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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