Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12735 del 21/06/2016

Cassazione civile sez. III, 21/06/2016, (ud. 09/03/2016, dep. 21/06/2016), n.12735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.G., (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA LUCCHINA 23/25, presso lo studio

dell’avvocato BELLUCCI MILENA, rappresentato e difeso dall’avvocato

BUONAVENTURA FRANCESCO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GORI GESTIONE OTTIMALE RISORSE IDRICHE S.P.A., in persona

dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore,

ing. M.G.P., considerata domiciliata ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato CASTALDI FILIPPO giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

e contro

AREA RISCOSSIONI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 42/2012 del TRIBUNALE di NOCERA INFERIORE,

depositata il 18/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2016 dal Consigliere Dott. SCRIMA ANTONIETTA;

udito l’Avvocato BUONAVENTURA FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per l’accoglimento p.q.r..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel 2009 D.G. – come dallo stesso rappresentato in ricorso – conveniva in giudizio, innanzi al Giudice di pace di Nocera Inferiore, l’Areariscossioni S.p.A. e la G.O.R.I. S.p.A., per sentir dichiarare non dovuta la somma pari ad curo 215,00, richiesta dalla società per prima indicata, quale mandataria della seconda, con atto di messa in mora e diffida con cui gli era stato sollecitato il pagamento di due fatture emesse dalla G.O.R.I. S.p.A. e scadute il 31 dicembre 2005 e il 31 dicembre 2008 per il servizio di acquedotto, e per sentir condannare le convenute al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa del loro illegittimo comportamento.

Assumeva l’attore che l’Areariscossioni S.p.A., nella predetta qualità, non fosse legittimata a richiedere la somma contestata sia per il mancato invio delle dette fatture, sia per la mancanza di un qualsiasi contratto, mai intervenuto tra il gestore G.O.R.I. S.p.A. e il D., e sia per la mancata fruizione del servizio, stante l’assenza di contatore e di titolarità di utenza.

Si costituiva la G.O.R.I. S.p.A., contestando la domanda.

Si costituiva anche Areariscossioni S.p.A. che si dichiarava carente di legittimazione passiva e chiedeva il rigetto della domanda e, in subordine, di porre ogni statuizione a carico dell’altra convenuta.

Il Giudice adito, con sentenza n. 6073 del 2009, dichiarava non dovuta la somma richiesta e condannava le convenute alle spese di lite. Avverso tale decisione la G.O.R.I. S.p.A. proponeva appello.

Si costituiva l’Areariscossioni S.p.A. contestando la sua legittimazione passiva e chiedendo, in ordine a tale profilo, la riforma della decisione impugnata.

Il D. si costituiva eccependo l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 113 c.p.c., avendo il Giudice di pace deciso la causa secondo equità, la carenza di legittimazione della G.O.R.I. S.p.A., non avendo mai il Comune di Angri formalmente aderito all’Ente d’ambito e la nullità del rapporto di fornitura invocato a fondamento della pretesa azionata da detta società per mancanza di accordo scritto, richiesto ad substantiam, e concludeva per l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del gravame.

Il Tribunale di Nocera Inferiore, con sentenza del 18 gennaio 2012, accoglieva l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava ogni domanda proposta dal D., dichiarava il difetto di legittimazione passiva dell’Areariscossioni S.p.A. e compensava interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.

Avverso tale sentenza D.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e illustrato da memoria nella quale si fa riferimento anche alla causa NRG 17535/13.

Ha resistito con controricorso la G.O.R.I. – Gestione Ottimale Risorse Idriche – S.p.A..

L’intimata Areariscossioni S.p.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, lamentando “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c. e del combinato disposto dell’art. 113 c.p.c., comma 2, e dell’art. 339 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, si denuncia il mancato accoglimento, da parte del Tribunale, della eccezione di inammissibilità dell’appello, per avere il Giudice di pace deciso secondo equità una causa di valore non eccedente la somma di 1.100,00 Euro.

Il ricorrente, in sintesi, dato atto del combinato disposto dell’art. 113 c.p.c., comma 2, e art. 339 c.p.c., comma 3, in ordine all’appellabilità delle sentenze pronunciate secondo equità in cause il cui valore non eccede 1.100,00 Euro, sostiene che, nel caso in esame, non si discuterebbe di un c.d. contratto di massa, evidenziando che lo stesso Tribunale ha “delineato” “”un rapporto di fatto” tra l’ente privato concessionario del servizio e l’utente”, ha “di fatto implicitamente negato od escluso la tesi del contratto di massa così come prospettata” dalla G.O.R.I. S.p.A., ritenendo ammissibile l’appello avverso la decisione del Giudice di Pace, “stante la sostenuta e pretesa violazione dei principi informatori”, senza alcuna motivazione al riguardo. Assume il ricorrente che, dall’esame dell’atto di appello proposto dalla predetta società, sarebbe agevole rilevare che non solo lo stesso sarebbe privo di ogni specifica indicazione di tali violazioni ma non conterrebbe neppure la “benchè minima contestazione, censura o rilievo in ordine al limite violato dal GDP nella decisione di equità ovvero in ordine alla violazione sia dei principi informatori della materia sia delle norme sul procedimento e sia di norme costituzionali o comunitarie”.

1.2. La censura è fondata per le ragioni appresso indicate.

1.3. Si osserva che l’art. 113 c.p.c., comma 2, stabilisce che il giudice di pace deve decidere secondo equità le cause di valore non eccedente Euro 1.100,00 “salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c.”. Le sentenze pronunciate secondo equità ex art. 113 c.p.c. sono appellabili ma, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 3, “esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia” (sulla consolidata interpretazione di questo combinato disposto nel senso che le sentenze del giudice di pace in cause di valore non eccedente Euro 1.100,00 devono considerarsi tutte pronunciate secondo equità, tranne quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari ex art. 1342 c.c., si vedano, sulla scorta di S.U. 16 giugno 2006 n. 13917, tra i più recenti arresti Cass., ord. 24 febbraio 2015 n. 3715, che evidenzia pure l’indiscusso obbligo del giudice di verificare tale profilo di ammissibilità anche d’ufficio; Cass., 4 ottobre 2013 n. 22759; Cass. 7 febbraio 2013 n. 2966; Cass. 11 giugno 2012 n. 9432 e Cass., ord., 3 aprile 2012 n. 5287; sulla individuazione dei contratti cui è applicabile l’art. 1342 c.c. ai fini della determinazione del contenuto dell’appello v. Cass. 15 gennaio 2013 n. 793; Cass. 25 gennaio 2012 n. 1024; Cass., ord., 24 novembre 2011 n. 24836; Cass. 11 maggio 2010 n. 11361; Cass., ord., 21 ottobre 2009 n. 22382; Cass. 7 maggio 2009 n. 10559; Cass. 8 maggio 2007 n. 10394).

1.4. Nella specie, nell’atto di appello – al cui esame può procedere direttamente la Corte, essendo stato sostanzialmente denunciato un error in procedendo – manca ogni specifica doglianza relativa alle violazioni indicate nell’art. 339 c.p.c., comma 3 e segnatamente alla violazione di principi regolatori della materia, pur avendo il Tribunale, come già evidenziato, ritenuto ammissibile l’appello per essere stata “dedotta a motivo di impugnazione” “la violazione” dei “principi informatori della materia”. Nel predetto atto, invece, a p. 6, si evidenzia, proprio “ai fini dell’ammissibilità dei… motivi di gravame”, che, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, come modificato dal D.L. 8 febbraio 2003, n. 18, art. 1, convertito, con modificazioni, nella L. 7 aprile 2003, n. 63″, sono sottratte alla valutazione secondo equità tutti i giudizi pendenti innanzi agli uffici del giudice di pace e relativi ai contratti c.d. di massa di cui all’art. 1342 c.c., con effetto per i giudizi instaurati con citazione notificata dal 10 febbraio 2003 e che al riguardo non rileva la mancata produzione in giudizio di copia del contratto di somministrazione in quanto l’esigenza della decisione secondo diritto richiesto dal novellato art. 113 c.p.c. “obbedisce nelle intenzioni del legislatore, alla necessità che le controversie siano decise in modo uniforme, in ragione della uniformità di disciplina dei rapporti che ne sono oggetto, sicchè, ciò che si richiede non è la forma scritta del negozio, quando semmai il fatto che si versi nell’ambito dei cc.dd. contratti di massa”.

La stessa controricorrente, nel controricorso, contesta la fondatezza del primo e del secondo motivo di ricorso limitandosi a sostenere che il rapporto inter partes sarebbe sicuramente riconducibile ai contratti conclusi con le modalità di cui all’art. 1342 c.c., richiamati nell’art. 113 c.p.c., comma 2.

Al riguardo si rileva, comunque, che questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., ord., 11 febbraio 2014, n. 3005) che, in tema di impugnazione delle sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità, l’appello per violazione dei principi regolatori della materia è inammissibile, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., qualora non indichi il principio violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga con esso in contrasto e si sottolinea che, nella specie, non risulta che tali indicazioni siano contenute nell’atto di appello.

1.5. Nè la statuizione del Tribunale sul punto, sopra richiamata, risulta essere congruamente motivata, essendosi tale Giudice limitato – come pure evidenziato dal ricorrente – ad indicare il numero di una sentenza di questa Corte (la n. 382 del 2005) senza neppure specificare a quale dei vari principi dalla stessa sentenza affermati intendesse riferirsi.

2. L’accoglimento del primo motivo, assorbe l’esame degli ulteriori motivi di ricorso proposti.

3. La sentenza impugnata va pertanto cassata.

La causa si presta ad essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto.

4. Tenuto conto della particolarità della vicenda all’esame, vanno compensate per intero le spese del secondo grado di giudizio e del presente giudizio di legittimità.

5. Va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello proposto; compensa per intero tra le parti le spese del secondo grado di giudizio e del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016

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