Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12734 del 19/06/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12734 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: D’ASCOLA PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso 21356-2009 proposto da:
PIUMA FABIO PMIFBA62B06I138X, IN QUALITA’ DI EREDE DI
PIUMA GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’Avv. ENRICO SPITALI;
– ricorrente contro

2015
973

PIUMA

CARLA

PMICRL34S50L741M,

elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA BENEDETTO CAIROLI 6,
presso lo studio dell’avvocato PIERO GUIDO ALPA, che
la rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 19/06/2015

controricorrente

avverso la sentenza n. 735/2008 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 20/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/03/2015 dal Consigliere Dott. PASQUALE

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

P

D’ASCOLA;

Svolgimento del processo
1)La controversia è sorta nel 1989 con azione di riduzione e
richiesta di divisione e di rendimento del conto, proposta da
Giuseppe Piuma, genitore dante causa dell’odierno ricorrente

Costei non ha contestato la domanda, cosicchè il giudizio è
proseguito con una prima sentenza non definitiva del tribunale di
Sanremo (n.754/2000), che ha effettuato la divisione e assegnato a
Giuseppe Piuma un negozio in Ventimiglia e un conguaglio in
danaro, sentenza confermata quasi integralmente in appello. Detta
pronuncia è stata cassata da Cass. 7189/07 e ancora pende in sede
di rinvio, a quanto riferito in controricorso.
Il giudizio è proseguito per il rendimento del conto.
La sentenza definitiva del tribunale di Sanremo, resa il 16 giugno
2004, ha stabilito in 46.000 euro circa il credito di Giuseppe
Piuma per la gestione di un negozio sito in Ventimiglia.
La Corte di appello di Genova, con la sentenza 20 giugno 2008 qui
impugnata, ha respinto l’appello principale di Giuseppe Piuma.
Ha accolto quello incidentale, riducendo a 27.672 euro il credito
dell’attore, con conseguente obbligo di costui di restituire
quanto percepito in eccedenza in esecuzione della sentenza di
primo grado.
Fabio Piuma ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 18
settembre 2009, articolato in 5 motivi.
Carla Piuma ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
n. 21356-09 D’Ascola rei

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Fabio, avverso la sorella Carla Piuma.

2) La Corte di appello ha negato all’attore i frutti tratti dalla
gestione del negozio nel periodo tra dicembre 1997 e ottobre 1999,
periodo durante il quale “il negozio era rimasto sfitto finchè si
era installata la gioielleria della figlia di Piuma Carla.”
La Corte ha ritenuto che la domanda di rendiconto implicava solo

valutazione della loro congruità; ha aggiunto

che

la richiesta

relativa ai redditi presumibili era stata svolta tardivamente e
che la domanda di riduzione, pur accolta, non comporta
l’automatica distribuzione dei frutti, occorrendo “un’espressa e
rituale damanda.”
Per le stesse ragioni, esplicitamente richiamate, i giudici di
appello hanno negato che potesse essere conteggiato a favore di
Giuseppe alcun importo per il periodo successivo, durante il quale
l’immobile era stato concesso in comodato da Carla Piuma alla
propria figlia.
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa
applicazione artt. 535, 561, 723 e 1148 c. .c. e 99 cpc.
Parte ricorrente chiede, con idoneo quesito, che sia accordata la
restituzione dei frutti che il coerede possessore avrebbe potuto
percepire, con l’ordinaria diligenza, dai beni poi assegnati al
coerede leso, quanto meno per il periodo successivo alla domanda
giudiziale.
Il motivo si riferisce con un primo profilo al reddito per il
periodo che va dal rilascio da parte di precedenti inquilini
all’ottobre 1999, durante il quale il negozio era rimasto “senza
n. 21356-09 D’Ascola rei

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la condanna al pagamento delle mere poste attive, senza

ragione sfitto e improduttivo”, fino a che vi si è insediata la
figlia della Carla con una gioielleria.
Con un secondo profilo è censurato l’accoglimento dell’appello
incidentale di Carla Piuma relativo al conto per il periodo in cui
l’immobile era stato dato in comodato alla figlia di Carla, senza

Il motivo è meritevole di accoglimento.
2.1) La censura cade opportunamente sugli obblighi di rendiconto
che gravano sul coerede che si trovi in possesso di beni
ereditari, e che li amministri, trattenendone per sé il frutto
fino alla divisione e alla resa del conto.
Parte ricorrente critica la nozione restrittiva che ne ha dato la
Corte di appello, che ha limitato l’ambito all’accertamento di
attività e passività nella gestione del bene e alla condanna al
pagamento delle mere poste attive.
Questa critica è fondata.
Il coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari e’
obbligato, agli effetti dell’art. 723 cod. civ., per il fatto
oggettivo della gestione, sia al rendiconto che a corrispondere i
frutti agli altri eredi a decorrere dalla data di apertura della
successione (o dalla data posteriore in cui abbia acquisito il
possesso dei beni stessi) (Cass. 2148/14).
La resa dei conti di cui all’art. 723 cod. civ., richiesta nella
specie, puoT costituire un obbligo a se’ stante, fondato – cosi ,
come avviene in qualsiasi situazione di comunione sul
presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei
5

n. 21,356-09 D’Ascola rei

i() 72″-ì

percepire canoni.

partecipanti, e può essere legata alla divisione che è stata pure
domandata. Il computo dei conti che i condividenti si devono
rendere tra loro concerne i relativi conguagli e rimborsi, ivi
compresa la restituzione dei frutti; ne consegue che la domanda di
restituzione dei frutti e’ da ritenere ricampresa in quella di

L’obbligo si estende a tutti i frutti (e agli altri incrementi dei
beni ereditari) maturati prima della divisione (Cass. 21013/2011).
I frutti civili, quale ristoro della privazione della
utilizzazione “pro quota” del bene comune e dei relativi profitti,
possono essere identificati, qualora il condividente durante il
periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo, con il
corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto
concedere ad altri; pertanto possono – in mancanza di altri più
idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di
locazione percepibili per l’Immobile con riferimento ai prezzi di
mercato correnti al tempo della divisione a quello della pronuncia
(v. Cass. 5504/12; 7716/90).
Inoltre il legittimario ehe in seguito ad azione di riduzione,
nella specie pure esercitata con successo, ha diritto all’esatto
equivalente della quota, ditalchè, ove si tratti di beni
fruttiferi, gli spetta la corresponsione dei “frutti” non
percepiti.
2.2) In definitiva va riaffermato: a) che in tema di divisione
giudiziale, qualora un condividente sia stato nel possesso del
bene diviso, avendone percepito i frutti, oltre al diritto al
n.21356-09 D’Ascolarel

V) (Ai

6

resa dei conti(Cass. 30552/11; cfr anche utilmente Case. 4364/02).

conguaglio eventualmente dovuto agli altri condividenti (regolato
nell’ambito del giudizio di divisione), sorge un ‘complesso
rapporto di debito e credito relativo ai frutti e, in particolare,
sorge a favore dei condividenti creditori il diritto alla
corresponsione dei frutti prodotti dai beni costituenti la

b) che tali frutti, qualora vi sia stata utilizzazione diretta di
un bene immobile da parte del condividente (così è da intendere
l’attribuzione del godimento del bene immobile, in comodato, alla
propria figlia), possono essere liquidati con riferimento al
valore figurativo del canone locativo di mercato.
2.3) Invano parte resistente ha obiettato che la censura avrebbe
dovuto denunciare, ex 360 n. 5, l’errore nella interpretazione
della domanda ovvero un errore processuale e non la violazione
degli artt. 535 e segg.. c.c. Ed invano rileva che l’originaria
domanda faceva riferimento solo ai frutti percepiti e non ai
frutti percipiendi.
Il contemporaneo esercizio dell’azione di rendiconto, quale
momento consequenziale all’esperimento dell’azione di riduzione e
della successiva divisione, valeva infatti a introdurre
idoneamente la pretesa di percepire anche i frutti dei beni
eventualmente riconosciuti all’erede istante e goduti
direttamente, nelle more dei giudizi, dalla coerede.
Non vi era quindi necessità di ulteriori istanze, né la
specificazione rispetto alle variazioni delle circostanze
intervenute nelle more (uso diretto del bene, etc.) esigevaler
n. 21356-09 D’Ascola rei

I/

‘ Ak.

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comunione ereditaria.

tempestiva introduzione, rientrando nell’obbligo di rendiconto,
che era stato richiesto, ogni pretesa fatta valere con il motivo
di appello erroneamente rigettato.
3) Le osservazioni testè svolte reggono anche raccoglimento del
quarto motivo di ricorso, relativo alla voce interessi sulla somma

rendiconto”.
Il tribunale aveva accordato a Giuseppe Piuma gli interessi dalla
domanda, avendo ritenuto che trattavasi di “credito di valuta”.
In accoglimento di appello incidentale di Carla Piuma, la Corte di
appello ha riconosciuto all’attore soltanto gli interessi maturati
successivamente alla sentenza impugnata. Ha rilevato che la
corresponsione di interessi era stata chiesta solo in sede di
precisazione delle conclusioni .
Il ricorso insiste per la corresponsione di interessi dalla data
di decorrenza, progressiva, del credito per i frutti civili
relativi al canoni e all’uso del negozio di Ventimiglia assegnato
al fratello Giuseppe. Evidenzia che frutti e interessi sono
maturati dopo il 1989, data della domanda di rendiconto.
La censura è fondata, ancorchè parte resistente abbia rilevato che
al momento della domanda di rendiconto fosse già iniziata da dieci
mesi la percezione dei canoni dell’immobile e che quindi l’attore
avrebbe potuto domandare esplicitamene gli interessi sui frutti
percepiti e percipiendi.
Come si è osservato a proposito dei frutti, .1.2 diritto
corresponsione degli interessi
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Pt*

alla

da determinarsi nel più complesso
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capitale riconosciuta in forza “dell’obbligo restitutorio di

rapporto di debito e credito relativo ai frutti – eventualmente
maturati e non percepiti – prodotti dai beni costituenti la
comunione ereditaria

si esercita con l’azione

di rendiconto,

in

considerazione della situazione esclusiva di godimento dei beni in
comunione per il periodo precedente di indivisione (v. Cass.

ricorrente perché la loro corresponsione è giustificata dal
mancato godimento dei frutti della cosa propria (Cass. 2483/04),
acquisito solo con l’azione di riduzione (v. Cass. 6709/10;
10564/05).

4) Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia vizi di
motivazione, sempre con riguardo alla domanda di rendimento del
conto relativo ai frutti del negozio. La censura si riferisce
all’ammontare del canone percepito per il periodo ante 1997.
Secondo il ricorso, in sede di interrogatorio formale la convenuta
avrebbe ammesso di aver percepito un canone mensile di un milione
e mezzo di lire e i giudici di merito di primo e secondo grado
avrebbero con “assoluta sorpresa” liquidato un importo diverso.
La doglianza è manifestamente infondata.
Essa si sforza di rinvenire contraddittorietà della motivazione
che risalgono soltanto, con ogni probabilità, a una non felice
verbalizzazione dell’interrogatorio formale.
Con esso il ricorrente mirava a far confessare che il canone
mensile riscosso era stato di 1.500.000 lire mensili. Il testo
verbalizzato della risposta riporta quindi questo riferimento,

n. 21356-09 D’Ascola rei

9

11519/11). Il diritto agli interessi sul capitale spetta al

che il ricorrente vuole intendere come confessione della somma
percepita.
I giudici di merito hanno però letto integralmente la risultanza
istruttoria e hanno desunto – lo si legge più chiaramente nella
sentenza di primo grado, integralmente confermata sul punto – che

affermato di aver riscosso i canoni mediante versamento sul conto
corrente paterno, ditalchè la sua ammissione era limitata agli
importi accreditati e non alla somma che veniva indicata nella
domanda riprodotta. Questa interpretazione della risposta,
riportata anche in sentenza di appello, è senz’altro congrua e
logica, perché riscontrata da oggettive risultanze bancarie.
5) Il terzo motivo di ricorso, che attiene alla liquidazione delle
spese di lite, resta assorbito, giacchè a seguito della cassazione
con rinvio che è determinata già solo per effetto della decisione
sul primo motivo, la materia dovrà essere nuovamente esaminata
alla luce del complessivo esito della lite.
6)

Da rigettare è il quinto motivo, che è relativo alla

declaratoria
condizionato,

di

inammissibilità

relativo

al

dell’appello

mancato

incidentale

riconoscimento

della

rivalutazione del credito.
Parte ricorrente sostiene che il proprio appello incidentale fosse
sufficientemente specifico e lamenta quindi la violazione
dell’art. 342 c.p.c.
La censura è infondata, perché lo stesso tenore del motivo di
appello, riprodotto nel ricorso, ne evidenzia l’apoditticità. Il
n. 21356-09 D’Ascola rei

lì n

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la convenuta ha negato di aver percepito direttamente denaro e ha

ricorrente si limitava colà (pag. 8 dell’atto di appello, §3) a
esporre che il tribunale avesse qualificato il credito come di
valuta. Dichiarava poi .di proporré appeho (incidentale) sul
e
diniego di rivalutazione.
La vistosa mancanza di ogni indicazione specificatrice delle

essa, con la sua afasia, in sostanza delegava al giudicante la
scelta delle argomentazioni, non sempre univoche, spendibili a
sostegno della pretesa e soprattutto della sua configurazione
(entità e tipologia della “rivalutazione”).
7) La sentenza impugnata va cassata in accoglimento di primo e
quarto motivo di ricorso e la cognizione rimessa ad altra sezione
della Corte di appello di Genova, che si atterrà quanto al
riconoscimento al ricorrente di frutti e interessi ai principi
esposti al paragrafo 2.2 e completati sub 3.
Liquiderà le spese di lite comprese quelle di questo grado.
PQM
La Corte accoglie primo e quarto motivo di ricorso. Rigetta
secondo e quinto. Assorbito il terzo motivo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della
Corte di appello di Genova, che provvederà anche sulla
liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della
civile tenuta il 17 marzo 2015

2^ sezione

ragioni della censura valeva a renderla inammissibile, poiché

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