Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12733 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 13/05/2021), n.12733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13834-2019 proposto da:

FIMBANK PLC, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN GODENZIO 15, presso lo

studio dell’avvocato ENRICO IANNOTTA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.P., Z.M., quali Curatori del FALLIMENTO

(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA SERAGLIO FORTI;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. R.G. 2775/2018 del TRIBUNALE di TRENTO,

depositato il 05/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Fimbank, pubblic limited company di diritto maltese, ha chiesto di essere ammessa in rango privilegiato al passivo fallimentare della s.p.a. (OMISSIS). Tra i più titoli di credito fatti valere ha richiamato, in particolare, la voce derivante da una linea di credito, “finalizzata all’acquisto di acciaio grezzo ai fini della relativa lavorazione/conversione in prodotti finiti e/o semi-finiti e relativa vendita”, come assistita da garanzia pignoratizia sui “prodotti finiti e/o semilavorati”, con annesso patto di “sostituibilità ex ante dell’oggetto senza effetti novativi (c.d. patto di rotatività)”.

Il giudice delegato ha ammesso tale voce “con collocazione chirografaria ed esclusione della prelazione pignoratizia”.

2.- Fimbank ha proposto allora opposizione ex artt. 98 s. L. Fall. avanti al Tribunale di Trento.

Con decreto depositato in data 5 aprile 2019 il Tribunale ha respinto l’opposizione.

3.- In proposito, il Tribunale ha richiamato l’orientamento di questa Corte, per cui il patto di rotatività del pegno può essere stimato “idoneo a salvaguardare la continuità del rapporto” solo a condizione che, nella scrittura costitutiva (come munita di data certa utile), la possibilità di sostituzione venga prevista in maniera espressa e sia strutturata in modo tale che il bene sostitutivo possegga un valore non superiore a quello sostituito. Per rilevare che, nella specie, il contratto di pegno non era stato conformato in termini tali da rispettare i requisiti così individuati. “Non può dirsi” – si è su questa linea affermato – “che il contratto di pegno oggetto di causa sia stato strutturato in modo tale da assicurare ab initio modifiche dei beni nell’ambito del valore di quelli originariamente sottoposti a garanzia”.

“Il contratto di pegno” – si è precisato – “non contiene nè la previsione che i mutamenti dell’oggetto del pegno fossero effettuati entro il limite di valore dei beni vincolati all’atto di stipulazione della garanzia, nè l’espressa indicazione dell’effettivo valore di tali beni”. Nei fatti, il regolamento indica solo il valore minimo dei beni che saranno via via vincolati a garanzia (come individuato in almeno il 140% dell’esposizione in essere), non già quello massimo.

Tali carenze – ha proseguito la decisione -, “non consentendo di escludere quegli effetti estintivi e novativi connaturali alla sostituzione dei beni gravati dal pegno, inficiano nella sua interezza la validità e comunque l’opponibilità del contratto originario, rendendolo inidoneo a mantenere la continuità del pegno e quindi a conservare i vantaggi della rotatività della garanzia”. Del resto – si è anche aggiunto -, la “clausola di rotatività può essere ritenuta diretta a conseguire l’equivalenza di valore tra i beni sostituiti e beni sostitutivi se e in quanto indichi espressamente il valore dei primi, quale necessario termine di confronto cui commisurare quello del bene sostitutivo”.

4.- Avverso questa decisione presenta ricorso Fimbank, sviluppando due motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, il Fallimento.

5.- Il ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.- I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini qui di seguito trascritti.

7.- Primo motivo: “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dei principi e norme che disciplinano la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: art. 360 c.p.c., n. 3”.

Secondo motivo: “violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c. e dei principi e norma che disciplinano la nullità parziale del contratto, nonchè la disciplina del pegno rotativo: art. 360 c.p.c., n. 3”.

8.- Considerati nel loro insieme, i contenuti dei motivi formulati nel ricorso vengono a svolgere tre censure alla pronuncia del decreto trentino.

La prima censura (che dà corpo alla parte iniziale del primo motivo) si sostanzia nel rimproverare al Tribunale di avere “omesso di considerare che, nella specie, risulta ampiamente garantita la tutela della par condicio creditorum e del principio dell’equivalenza tra il valore del bene sostituito e il valore del bene sostitutivo”. “Al momento della stipula del contratto di pegno” – si rileva in particolare – “i beni assoggettati al pegno non potevano avere valore inferiore a Euro 7.376.352, 56”, posto che il contratto stabiliva che la misura della garanzia dovesse essere non inferiore al 140% dell’indebitamento volta a volta in essere; “nell’ambito della procedura competitiva” di liquidazione del bene, il bene sostitutivo ha per contro realizzato il minor “prezzo di Euro 3.400.000,00”.

La seconda censura (che ha sede nella parte terminale del primo motivo) contesta al Tribunale di non avere pronunciato sull’eccezione di nullità parziale della clausola di rotatività, che nel giudizio del merito era stata sollevata dall’attuale ricorrente.

La terza censura – che è svolta in via subordinata rispetto alla seconda e che forma il contenuto del secondo motivo – assume che la clausola di sostituibilità “sarebbe in ogni caso dovuta rimanere valida nella parte in cui prevedeva che il valore del bene sostitutivo doveva essere contenuto nei limiti del valore del bene sostituito”: il contratto di pegno, “a tutto concedere, sarebbe affetto da nullità parziale ex art. 1419 c.c. nella sola parte in cui prevede la possibilità che il valore del bene sostitutivo sia maggiore al valore del bene sostituito e non certo nella parte in cui prevede che l’equivalenza del valore tra il bene sostituito e il bene sostitutivo”.

8.- Il ricorso non merita di essere accolto.

9.- Con peculiare riferimento alla censura per prima svolta, si deve osservare che la tesi del ricorrente non risponde alle scelte adottate dal sistema normativamente vigente.

In tema di prelazione pignoratizia, la tutela della regola della par condicio non si limita, nè incentra su una verifica ex post, intesa a controllare che il valore di realizzo del bene nel concreto gravato dal vincolo non superi, in sede di liquidazione, quello relativo al bene originariamente sottoposto a garanzia (e questo a prescindere – va pure sottolineato – da ogni rilievo su termini e modalità di accertamento del valore del bene originario, che il ricorrente pretende di potere desumere in via del tutto obliqua, a seguire dalle pattuizioni volte a fissare il minimo di garanzia occorrente per la normale prosecuzione del rapporto di credito).

Secondo quanto riscontrato in più occasioni dalla giurisprudenza di questa Corte, al riguardo la normativa vigente delinea un sistema ex ante di protezione e svolgimento della regola della par condicio creditorum: la necessaria presenza di una scrittura (di data certa anteriore all’esecuzione), che contenga una “sufficiente indicazione” della cosa gravata dal pegno, essendo appunto diretta, secondo quanto tradizionalmente si predica, a evitare ab initio il rischio che – lungo il corso di esecuzione del rapporto garantito – la stessa possa essere surrettiziamente sostituita con altra di diverso e maggiore valore (cfr., per tutte, la pronuncia di Cass., 28 ottobre 2005, n. 21084).

10.- L’accoglienza, che dal finire del secolo scorso la giurisprudenza di questa Corte ha accordato alla figura del pegno rotativo, come gemmata dalla prassi, non ha nè smentito, nè alterato nella sostanza, il principio che appena sopra si è ricordato. Preso atto che il meccanismo interno di questa figura consiste proprio nel sostituire, via via con procedere del rapporto, la cosa gravata dalla garanzia, questa Corte si è fatta carico, anzi, di “ritagliare” alla stessa una conformazione strutturale tale dal consentirle di rispettare – secondo una non diversa misura – la cennata tutela ex ante della regola della par condicio.

Il che si è tradotto, in buona sostanza, nel far transitare la normativa di tutela della par condicio dall’avere essa ad oggetto la res gravata da pegno nella sua propria consistenza fisica, secondo lo schema storicamente sotteso alla norma dell’art. 2787 c.c., al diverso profilo invece rappresentato dal valore economico della cosa originariamente posta in garanzia (cfr., in particolare, le due pronunce che hanno dato l’avvio all’orientamento poi consolidatosi in questa Corte: Cass., 28 maggio 1998, n. 5264; Cass., 27 settembre 1999, n. 10685; nonchè quella di Cass., 11 novembre 2003, n. 16194, consecutiva delle prime due e pure portatrice di precisazioni importanti; nei fatti, il valore originario della cosa presa in pegno funge da parametro di riferimento sostitutivo di quello che la consistenza fisica della cosa rappresenta rispetto alle fluttuazioni del suo valore di mercato).

Alla riconosciuta utilizzabilità del patto destinato a consentire una fisiologica sostituzione della res gravata da garanzia ha, di conseguenza, fatto riscontro l’indicazione che il valore economico della cosa inizialmente presa in garanzia funga da limite invalicabile per le future sostituzioni della stessa (in coerenza, del resto, con la funzione tipica del patto di rotatività, correntemente individuata nella positiva esigenza di conservare integro il valore economico del bene inizialmente dato in garanzia).

In via correlata, la previsione della “sufficiente indicazione della cosa”, di cui all’art. 2787 c.c., comma 3 (che deve risultare rappresentata nella scrittura costituiva del pegno o in altra scrittura riproduttiva: sul punto cfr. Cass., 4 febbraio 2019, n. 3199), è venuta a dirigersi, in relazione alla fattispecie in questione, verso una connotazione non chiusa sulla mera descrizione delle caratteristiche fisiche della cosa (inizialmente) ricevuta in garanzia, ma interessata specialmente al profilo rappresentato dal valore economico che questo bene risulta possedere: a muovere dal porsi di questo valore, nel contesto fissato dall’accordo intercorso tra creditore e debitore (quale datore del pegno), come parametro e limite non superabile dalle successive sostituzioni del bene medesimo (tant’è che, in letteratura, non si è mancato di richiamare l’idea della “sufficiente indicazione del valore economico della cosa”).

Anche nel contesto del pegno rotativo, dunque, il sistema tutela la regola della par condicio dal rischio che – lungo il corso di svolgimento del rapporto garantito – la garanzia venga fatta gravare su cose di valore maggiore di quello che è proprio del bene inizialmente gravato.

11.- Con riferimento specifico alla seconda censura promossa dal ricorrente, per cui il Tribunale trentino non avrebbe esaminato l’eccezione di invalidità solo parziale del patto di rotatività, va in via preliminare osservato che la stessa seppur inserita nell’ambito di un motivo rubricato nel vizio di violazione di legge (cfr. sopra, nel n. 6) – nella realtà viene a muovere il vizio di omessa pronuncia.

Ciò, peraltro, non comporta l’inammissibilità della censura, come pure richiede il controricorrente: secondo i principi elaborati da questa Corte, infatti, “l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1”, posto che dalla articolazione dei contenuti del motivo risulta, nella specie, “chiaramente individuabile il tipo di vizio dedotto” (Cass., 7 novembre 2017, n. 26310).

12.- Fissata la corretta prospettiva d’indagine, può essere adesso opportuno riscontrare che, per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice. E’ necessario, per contro, che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile per l’effettiva soluzione della fattispecie concreta.

Non v’è vizio di omessa pronuncia, in particolare, laddove, pur in assenza una apposita e specifica argomentazione, la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti oggettivamente incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. In tale caso deve piuttosto ravvisarsi l’evenienza di una statuizione implicita di rigetto (cfr. al riguardo, tra le altre, Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., 13 agosto 2018, n. 20718).

13.- Nella specie concreta, in ogni caso, il rigetto da parte del Tribunale dell’eccezione di invalidità solo parziale della clausola di rotatività, si manifesta del tutto univoco e netto: sì che il vizio di omessa pronuncia non risulta, nella realtà delle cose, neppure prospettabile.

Stabilito che le riscontrate deficienze strutturali della clausola inficiano “nella sua interezza” l’efficienza del patto medesimo, il Tribunale ha precisato che resta comunque precluso l’accoglimento della “domanda di parte opponente anche limitatamente all’importo di Euro 3.400.000,00”: le “evidenziate carenze” non consentono “di escludere quegli effetti estintivi e novativi connaturali alla sostituzione dei beni gravati da pegno”, che risultano seguire alla corretta predisposizione di un patto di pegno rotativo e in cui si sostanziano i “vantaggi della rotatività della garanzia”.

14.- Nemmeno la terza censura formulata dal ricorso, secondo cui il Tribunale ha errato – una volta ravvisata la invalidità della clausola di rotatività – a non contenerla comunque nei termini della nullità parziale (e relativa, così, al solo “esubero” di valore del bene sostitutivo rispetto al bene sostituito), appare per qualche verso condivisibile.

In via preliminare si deve osservare, a questo proposito, che il decreto impugnato non si è limitato ad affermare la non “validità” del patto di rotatività, che ha in concreto esaminato. A questa enunciazione – peraltro formulata in termini del tutto generici – ha fatto poi seguito una articolata disamina relativa alla sorte del patto in questione.

15.- Il Tribunale ha precisato, in particolare, che le riscontrate deficienze strutturali della clausola – in modo particolare, la mancata previsione del limite di valore per la sostituzione del bene gravato dalla garanzia – sono comunque tali da escludere l'”opponibilità del contratto originario” alla massa dei creditori fallimentari: e, quindi, il diritto di prelazione per contro preteso dalla opposizione formulata dall’attuale ricorrente.

Postosi in tale prospettiva – va in consecuzione osservato – il Tribunale ha anche rilevato che dette deficienze strutturali investono il patto “nella sua interezza”: dunque, lo stesso meccanismo di rotatività, che le parti hanno ritenuto di predisporre.

In assenza della previsione del limite di valore per la sostituzione del bene gravato dalla garanzia – si è aggiunto ancora – si verificano gli “effettivi estintivi e novativi” che sono connaturati “alla sostituzione dei beni gravati dal pegno”, che non sia concretamente assistito da un efficiente patto di rotatività: senza quella previsione, non può proprio parlarsi di continuità e unitarietà del pegno, laddove avvengano delle sostituzioni della cosa nel concreto posta in garanzia.

16.- La censura svolta dal ricorrente trascura in toto di prendere in considerazione il corpo motivazionale appena riportato. Nei fatti, essa si limita ad asserire che nel caso si tratta di nullità parziale, “in quanto risulta che i contraenti lo avrebbero concluso comunque, anche senza quella del suo contenuto che è colpita da nullità.

Peraltro, una simile affermazione – oltre a non essere sorretta dall’indicazione dei luoghi e dei modi, in cui nell’ambito del giudizio di merito, sarebbe stata manifestata e supportata da prove opportune – si manifesta oggettivamente inconferente nei confronti delle argomentazioni sopra riferite.

17.- Ciò posto, resta ancora da aggiungere, per completezza di esposizione, che il ragionamento sviluppato dal decreto trentino in punto di “opponibilità” del pegno rotativo (cfr. n. 15) viene sostanzialmente a rispondere alla linea costruttiva che questa Corte è venuta nel tempo a sviluppare in punto di pegno rotativo.

La mancata previsione del limite di valore per la sostituzione del bene gravato dalla garanzia non importa, in sè e per sè, la nullità del patto. Implica, piuttosto, l’inidoneità di questo a produrre gli effetti della continuità e unitarietà del rapporto di pegno: le sostituzioni della cosa, che vengano ad accadere, portano dunque, nella sostanza, alla formazione di pegni distinti, per così dire “nuovi” (cfr., in particolare, le pronunce di Cass., 26 gennaio 2010, n. 1526 e di Cass., 22 dicembre 2015, n. 25796, che sono entrambe inerenti a problematiche circoscritte al rapporto diretto tra creditore e debitore, datore del pegno; molto più di frequente peraltro – è anche da segnalare – a questa Corte si è presentato il caso in cui il pegno rotativo viene a rilevare in sede di fallimento del debitore/datore, per i temi della revocatoria e/o della prelazione: nel concreto contesto di questo genere di situazioni, naturalmente, la rilevanza operativa di una valutazione della fattispecie in termini di nullità o, invece, di semplice “inidoneità” a raggiungere il risultato della continuità, come perseguito dalla volontà delle parti, viene decisamente a sfumare, se non a divenire evanescente, sotto il profilo della sostanza effettuale).

18.- Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 7.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre a spese forfetarie e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parti a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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