Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12728 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 13/05/2021), n.12728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18397-2018 proposto da:

I.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA,

142, presso lo studio dell’avvocato NATALE CARBONE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARMELA INFORTUNA;

– ricorrente –

contro

BANCO DI NAPOLI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 2,

presso lo studio dell’avvocato GIROLAMO CARLO GRILLO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 740/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 14/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Nel settembre 1997, I.L. ha convenuto avanti al Tribunale di Reggio Calabria la s.p.a. Banco di Napoli (come allora diversamente denominata), chiedendo l’accertamento di una serie di “irregolarità” inerenti a un rapporto di conto corrente, svoltosi tra le parti, e la condanna alle conseguenti restituzioni e al risarcimento dei subiti danni.

Il Tribunale ha parzialmente accolto la domanda dell’attrice.

La Banca ha impugnato la pronuncia avanti alla Corte di Appello di Reggio Calabria. Che ha parzialmente accolto l’impugnazione.

2.- Per quanto qui ancora in interesse, la Corte reggina ha in particolare rilevato quanto segue.

“E’ palese che, là dove il primo giudice affermava che, avendo la banca ritenuto che l’accredito sul c/c della I. della rimessa regionale, una volta avvenuto, equivalesse versamento ripristinatorio di provvista e avendo per l’effetto disposto il suo accredito a sè in guisa di compensazione (a ripiano delle sofferenze a suo avviso esistenti a carico della nominata), ciò fosse avvenuto del tutto sine causa (e non invece solo oltre il consentitile, essendosi effettivamente prima di far luogo a tanto un saldo debitorio legittimamente a carico della cliente), abbia certamente errato; e infatti, dopo avere ritenuto l’illegittimità della calcolazione degli interessi passivi come avvenuta da parte della banca (per la nullità della clausola interessi uso piazza) e dell’anatocismo con loro capitalizzazione trimestrale (in luogo di quella, dal giudicante condivisa, annuale), nel richiamo delle superiori conclusioni della CTU espletata, verosimilmente a ciò indotto dall’equivocità delle locuzioni al riguardo adottate, trascurava di rilevare come l’esistenza di un saldo positivo a prò della I. fosse derivata non solo dal ricalcolo delle sue debenze in ossequio ai principio di diritto da esso ritenuti, ma anche e soprattutto della compensazione avvenuta, in quanto effettuata con date di valuta retroagenti rispetto al tempo in cui la compensazione stessa era stata decisa, con il credito a questa rimesso dall’ente regione”.

“Di guisa che, diversamente da quanto sostenuto da parte appellata e conformemente a quanto opinato da parte appellante, la liquidazione dell’importo di cui la banca risultava debitrice aveva luogo inesattamente (e cioè anzichè detrarre dalla somma accredita dalla regione, ossia lire 332.785.512, l’importo entro specificato sub III, e così statuire una debenza finale pari a lire 104.131.197, addirittura sommava al primo importo quello che arguiva essere il preteso saldo attivo del c/c, in realtà insussistente prima dell’esecuzione della compensazione e determinandosi solo dopo e in virtù di essa)”.

3.- Avverso questa pronuncia I.L. ha presentato ricorso, affidandosi a un motivo di cassazione.

Ha resistito, con controricorso, il Banco di Napoli.

Successivamente, la s.p.a. Banca Intesa, dichiarandosi società incorporante la controricorrente, ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il ricorso denunzia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostiene in particolare il ricorrente che la Corte reggina ha trascurato di prendere in considerazione la circostanza che “l’accredito, sul conto corrente della sig.ra I., della rimessa della Regione Calabria, veniva effettuato in data 27.02.1997”. Trattasi – si prosegue – di omissione senz’altro decisiva: “ove i giudici a quibus avessero opportunamente valutato la data del versamento operato dalla Regione Calabria (27.02.1997), avrebbero dovuto inevitabilmente concludere che il saldo del conto corrente in argomento già nel 1996 e dunque prima delle rimesse operate dalla Regione Calabria per come rideterminato in applicazione dei parametri di legge si presentava di segno positivo”.

5.- Il ricorso è inammissibile.

Nei fatti, la pronuncia della Corte territoriale considera il tempo degli accreditamenti posti in essere dalla Regione Calabria, per collocarli, con enunciazione esplicita, alle date del 7.8.1996 e del 31.12.1996: quindi, in momenti temporali diversi – e anteriori – da quelli divisati dal ricorrente.

Sì che, in definitiva, il ricorrente viene a contestare non già l’omesso esame di un fatto storico, quanto piuttosto che la sentenza impugnata non aobia fatto propria la valutazione del tempo di realizzazione degli accreditamenti, che egli aveva proposto.

La censura, detto in altri termini, si risolve in buona sostanza nella richiesta di una rivisitazione del merito, riproponendo questioni contabili già affrontate e risolte nei gradi di merito (cfr. Cass. S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476: “è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione… di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, a una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito”).

6.- Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 4.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre a spese forfetarie e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parti a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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