Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12726 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. I, 10/06/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 10/06/2011), n.12726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 13481 dell’anno 2008 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via Chiana, n.

87, nello studio dell’avv. MONELLO Nunziata, che lo rappresenta e

difende, unitamente all’avv. Francesco Magro, giusta procura speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12,

è per legge domiciliato;

avverso il decreto della Corte di Appello di Messina n. 277,

depositato in data 7 febbraio 2008;

sentita la relazione all’udienza del 2 febbraio 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Federico Sorrentino, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto depositato in data 7 febbraio 2008 la Corte d’appello di Messina condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di C.C. della somma complessiva di Euro 12.000,00, a titolo di indennizzo del pregiudizio di natura non patrimoniale, sofferto in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di una procedura concorsuale (iniziata con sentenza dichiarativa del fallimento del ricorrente in data 16 marzo 1992 e ancora pendente alla data di presentazione del ricorso).

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito rilevava che il periodo di ragionevole durata del procedimento dovesse determinarsi tendendo conto della natura del procedimento e, in particolare, di varie istanze tardive di insunuazione al passivo.

Determinato, sulla base di tali circostanze, il periodo di durata non ragionevole in anni due e mesi quattro, il danno non patrimoniale veniva quindi liquidato mediante attribuzione della somma di Euro 1.500,00 per ciascun anno di ritardo.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorre il C. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.1 – Con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1 Cedu e della L. n. 89 del 2001, art. 2. Viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dal principio di sussidiarietà di cui all’art. 35 CEDU discende o meno che le giurisdizioni nazionali debbano interpretare ed applicare il diritto interno in modo conforme alla Convenzione, e l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, è segnato o meno dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea, valutando ed accertando preliminarmente se la vittima della violazione dell’art. 6 abbia ottenuto nell’ordinamento interno, a titolo di indennizzo del danno, una riparazione equiparabile all’equa soddisfazione di cui all’art. 41 della Convenzione, da ritenersi appropriata e sufficiente e rapportata, appunto, a quella concessa dalla C.E.D.U. in casi simili, di tal fatta che la parte interessata non possa più considerarsi vittima nei termini di cui all’art. 34 della Convenzione”.

2.2 Con il secondo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte territoriale erroneamente escluso che la procedura presupposta non presentava difficoltà.

2.3 – Con il terzo motivo, formulandosi idoneo quesito di diritto, si denuncia violazione degli art. 1223, 1226 e 2056 c.c., con riferimento all’omessa considerazione, nell’ambito della valutazione equitativa del danno, dell’intero periodo di durata del processo, sulla base dei criteri adottati dalla Corte di Strasburgo.

2.4 – Il primo motivo è infondato.

Il parametro utilizzato dalla Corte territoriale, pari ad Euro 1.500,00 per ciascun anno eccedente il periodo di ragionevole durata, risulta di gran lunga superiore rispetto a quello ordinariamente adottato da questa Corte (Euro 750,00) in riferimento ai primi tre anni di durata eccessiva, ed Euro 1.000,00 a quelli successivi (cfr., 4 dicembre 2009, n. 25537; Cass., 8 luglio 2009, n. 16086, alla cui ampia e condivisibile motivazione si rimanda).

E state, in particolare, ribadito che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, secondo la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e n. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45% del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito. Pertanto, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 Cedu (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata (cfr. Cass., 8 luglio 2009, n. 16086).

2.5 – Il secondo motivo, con il quale si deduce, come evidenziato omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile per violazione della disposizione contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., applicabile, ratione temporis, nel caso scrutinato. Detta censura, per come formulata, difetta totalmente di quel momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti in maniera da non generare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

2.6 – Il terzo motivo è infondato.

Va richiamato il costante orientamento di questa Corte, secondo cui “In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata ordinario e ragionevole, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo” (Sez. 1^, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008; 13 gennaio 2011, n. 727).

2.5 – Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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