Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1272 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 18/02/2020, dep. 22/01/2021), n.1272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11731-2016

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERELE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SICILIA 66,

presso lo studio LUDOVICI, rappresentato e difeso dagli avvocati

PIETRO PICCONE FERRAROTTI, VITTORIO GIORDANO, ROBERTO CUSIMANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10021/2015 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 10/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. MARGHERITA TADDEI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 10021/33/2015, della CTR Campania, che, confermando la sentenza n. 4224/15/14 della CTP di Caserta, ha annullato l’avviso di liquidazione dell’imposta di Registro 2010, notificato ad Unicredit SpA, in relazione al decreto ingiuntivo, emesso dal Tribunale di Santa Maria C.V. con cui si intimava al consorzio Poseidon, correntista della banca ed al garante di quest’ultimo, B.F., il pagamento di uno scoperto di conto corrente; la restituzione di un finanziamento chirografario; il pagamento degli interessi sulle predette somme, al tasso del 3%, per la somma complessiva di Euro 2.241.978,64, estendendo tali debenze al fidejussore, nei limiti dell’importo della garanzia enunciata in atto.

La CTR, in particolare, ravvisava l’illegittimità dell’avviso in ragione del criterio di liquidazione, configuratosi nell’imposta di registro proporzionale nella misura del 3%, non essendo stato applicato, all’atto in questione, quanto disposto con il T.U. imposta di registro, parte prima, art. 8 tariffa, nota II, in relazione al citato decreto art. 40. La Commissione censura che non sia stato considerato il carattere unitario della prestazione dell’Istituto di credito, soggetta all’imposizione IVA, non solo per l’importo delle operazioni di finanziamento (scoperto di conto e residuo-finanziamento chirografario) ma anche per quanto attiene agli interessi convenzionali, alla rivalutazione ed all’obbligazione di garanzia enunciate, quest’ultima non suscettibile di “distinta tassazione”.

Contro deduce l’Istituto con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unica articolata censura, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in conseguenza della falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte I, art. 8, comma 1, lett B, e del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 21,37 e 40, in combinato disposto con il D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 10. In particolare lamenta che la CTR ha errato nel non aver distinto, al fine dell’individuazione della misura dell’imposta di registro da applicare, nel rispetto del principio dell’alternatività IVA/REGISTRO, i finanziamenti, che sono operazioni soggette ad IVA, da quelle operazioni che non hanno natura di prestiti, tra le quali dovendosi annoverare l’operazione di scoperto in deposito di conto corrente, operazione esclusa dal campo di applicazione IVA, al pari degli interessi di mora e della garanzia fidejussoria, enunciata per la prima volta nel decreto ingiuntivo. Tali ultime operazioni sono fuori dall’ambito del principio dell’alternatività IVA-Registro, proprio perchè, non essendo soggette ad IVA, sono inadeguate a realizzare la doppia imposizione, che si intende scongiurare con l’osservanza del predetto principio.

Che il ricorso è solo in parte fondato e deve essere accolto nei limiti di quanto di seguito esposto.

Che la valutazione delle censure procede dal controverso riconoscimento nel caso in esame, della operatività del principio dell’alternatività IVA/REGISTRO, di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40 e Tariffa allegata, parte prima, art. 8, comma 1, lett. b).

Che detto principio, per quanto qui d’interesse, opera anche con riguardo ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria, per effetto della disposizione contenuta nel D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, parte prima, art. 8, nota II. Detta nota stabilisce infatti che gli atti di cui all’art. 8, comma 1, lett. b), e cioè quelli “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”, nonchè quelli di cui al comma 1 bis (cioè gli atti del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi: regionali che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi, che recano condanna al pagamento di somme di danaro diverse dalle spese processuali) “non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del T.U.”.

Che, tuttavia, il principio dell’alternatività delle predette imposte indirette dispone che per gli atti aventi ad oggetto cessioni di beni e prestazioni di servizi rientranti nel campo di applicazione dell’IVA, l’imposta di registro si applica in misura fissa. Detto principio, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, riguarda tutte le operazioni che rientrano nel campo di applicazione dell’Iva a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, pertanto, non solo le operazioni imponibili, ma anche quelle esenti e non imponibili.

L’atto qui impugnato riguarda un complesso di operazioni bancarie, aventi natura e regime fiscale diversi, sicchè le doglianze vanno partitamente esaminate al fine di chiarire la natura delle diverse operazioni ed il regolamento impositivo che le riguarda.

In ordine allo scoperto di conto corrente il motivo di ricorso, che rivendica la tassazione in misura proporzionale, è tanto generico, quanto infondato, basandosi su un assertivo – e non altrimenti spiegato – riferimento al “deposito”, per cui, sotto tale profilo, la doglianza va disattesa, trattandosi di argomento che non supera affatto l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui tutte le operazioni di credito che trovano la propria base nel rapporto di conto corrente, sono soggette “ad IVA, ancorchè in esenzione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 1”.

Anche in ordine all’operazione di finanziamento la doglianza dell’Agenzia delle entrate non coglie nel segno in quanto è sufficiente richiamare l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, ormai consolidato, secondo cui il decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca (avente come tale la qualità di “soggetto IVA”), in ragione di un concesso finanziamento (operazione soggetta ad IVA, con rivalsa nei confronti del solves, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 6, si configura come condanna ad un pagamento sottoposto al regime dell’IVA. Da ciò consegue (in virtù del principio di prevalenza dell’IVA sull’imposta di registro) che l’atto va registrato a tassa fissa (e non con aliquota proporzionale), in base al disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, e relativa tariffa, parte prima, art. 8, nota 2^, senza che in contrario rilevi che l’operazione goda dell’esenzione dall’IVA di cui al D.P.R. n. 633, art. 10, n. 1 (ipotesi non ricompresa tra i casi tassativi di deroga al principio di prevalenza, previsti dal D.P.R. n. 131 del 1986, citato art. 40) (Cass. n. 3316/2004).

Per quanto attiene agli interessi, vero è che occorre stabilire, con apposito accertamento di merito, quale natura essi abbiano, se convenzionale o moratoria, perchè ne discende una diversa intensità di tassazione.

Tuttavia, nel caso di specie, non si pone alcun problema di distinzione tra quota capitale e quota interessi, in quanto il decreto ingiuntivo, secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, ha ad oggetto una condanna al pagamento di una somma, quale recupero di uno scoperto di conto corrente e di un finanziamento, “oltre interessi contrattuali maturati e maturandi ai tassi convenzionalmente pattuiti, aventi questi ultimi funzione di corrispettivo di operazioni di finanziamento (scoperto di conto corrente e residuo finanziamento chirografario)”, per cui, considerati i limiti della censura proposta dalla ricorrente, resta ferma la natura di interessi convenzionali, frutto di un accertamento, da parte del giudice di appello, non più rivisitabile in sede di legittimità.

Come questa Corte ha da tempo chiarito, “In tema di imposta di registro, la sentenza di condanna che un istituto di credito ottenga per il recupero delle somme dovutegli per un finanziamento, alla luce del principio di alternatività con IVA consacrato nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, va sottoposta a tassazione fissa, in base alla previsione del detto decreto, allegata tariffa, parte I, art. 8, nota II, senza distinzione tra, quota capitale e quota interessi, quando questi ultimi non abbiano natura moratoria come tali esentati, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 15, dalla base imponibile IVA, con conseguente applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale ai sensi della detta tariffa, art. 8 4 -, ma siano gli interessi convenzionali, e quindi (con la commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale) il corrispettivo prodotto dall’operazione di finanziamento, trattandosi di prestazioni, ancorchè esenti, attratte pur sempre all’orbita dell’IVA.” (Vedi Cass. n. 17276, n. 17277 e n. 27304 dei 2017).

Orbene, la fattispecie in esame è resa complessa dalla presenza di un fideiussore ( B.F.), sicchè in essa convivono più rapporti, ciascuno autonomo e scindibile: quello fra creditore (Unicredit) e debitore principale (Consorzio Poseidon), quello fra creditore e fideiussore, quello fra fideiussore e debitore. In questa sede rilevano, contemporaneamente, il rapporto creditore/debitore principale, che trova il suo titolo nel finanziamento soggetto ad IVA, ed il rapporto creditore/fideiussore, che trova il suo titolo nella fideiussione, dalla quale è derivata la prestazione di garanzia.

Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18520 del 2019, a composizione di un contrasto rimesso con ordinanza n. 33009 del 2018, ha enunciato il principio secondo cui, “In tema d’imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore è soggetto all’imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato”.

Il contrasto vedeva opporsi da un lato un più risalente orientamento, secondo cui “In tema di imposta di registro, rispetto alla sentenza di condanna ottenuta dal fideiussore nei confronti del debitore inadempiente per il recupero di somme assoggettate ad IVA, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, art. 8, trova applicazione l’imposta in misura fissa, atteso che la surrogazione del fideiussore al creditore principale comporta una peculiare forma di successione nel credito e la novazione dal lato soggettivo ma non incide sull’identità oggettiva dell’obbligazione, che conserva la sua natura ai fini tributari” (vedi Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14000 del 19/06/2014″ cfr. anche Cass. n. 16975, 16976, 16307, 16308,19499 tutte del 2014, nonchè Cass. ord. 24/7/2014 n. 16975, 16976, 16977 e da ultimo Cass. n. 19365 del 2018), e dall’altro la posizione dissonante, risultata poi prevalente, secondo cui “In tema d’imposta di registro, al decreto ingiuntivo ottenuto dal garante nei confronti del debitore inadempiente, per il recupero delle somme pagate al creditore principale e soggette ad IVA, è applicabile l’aliquota proporzionale del tre per cento al valore della condanna, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata Tariffa, Parte I, art. 8, comma 1, lett. b, non avendo spazio il principio di alternatività, in quanto l’obbligo azionato con tale pretesa, da un lato, deriva da un rapporto distinto ed autonomo da quello principale e, dall’altro, non si risolve in un corrispettivo o in una prestazione soggetta all’imposta sul valore aggiunto” (vedi Cass. n. 20262 del 2015; n. 25702 del 2015 e di recente Cass. n. 2551 del 2018).

Ma nella fattispecie controversa trova applicazione altro principio che, come di recente ricordato dalla Corte, risulta “acquisito, e mai smentito, secondo cui “In tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, alla sentenza di condanna ottenuta dal creditore sia nei confronti del debitore inadempiente che del fideiussore per il recupero di somme soggette ad IVA, non è applicabile l’imposta di registro in misura proporzionale bensì, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, art. 8, comma 1, lett. b), nota II, l’imposta in misura fissa, senza che assuma rilievo se la stessa sia emessa contro il solo debitore principale,, il solo fideiussore o entrambi, non soggetti IVA.” (Cass. n. 20702/2020).

E proprio in continuità con tale orientamento, va evidenziato “che in tali ipotesi l’elemento dirimente ai fini impositivi sia il conseguimento da parte del creditore, soggetto IVA, di un unico titolo esecutivo per il soddisfacimento del proprio diritto, a prescindere dal fatto che tale diritto trovi la sua fonte sia nel rapporto principale con il debitore che in quello di garanzia. La delineata natura del fatto tassabile comporta, come logico corollario, l’identità del prelievo fiscale, indipendentemente dalla circostanza che l’obbligazione di uno dei debitori discenda da un contratto fideiussorio ed abbia connotazioni di sussidiarietà” e che, pertanto, risulta “Decisiva la posizione del creditore, dato che, come si è visto, la tassazione investe il titolo esecutivo dallo stesso ottenuto: se il creditore ha la qualità di “soggetto-IVA”, e se l’adempimento reclamato è riconducibile nell’ambito di una fattispecie che implichi l’insorgenza del suo obbligo di pagare l’IVA, come appunto si verifica per chi conceda un prestito di denaro di cui ha diritto alla restituzione, il provvedimento giudiziale assume la consistenza di condanna, ad un pagamento sottoposto all’IVA medesima. Tanto basta per giustificare l’operatività del canone della prevalenza dell’IVA sull’imposta proporzionale di registro, atteso che la relativa regola si ricollega al mero assoggettamento di quel pagamento all’IVA, senza che assuma rilevanza la circostanza che la condanna si rivolga contemporaneamente al debitore principale ed al coobbligato solidale, per il quale la fonte dell’obbligo nasce da un rapporto distinto, quale il negozio costitutivo della fideiussione; per il creditore la condanna ha sempre ad oggetto un pagamento sottoposto ad IVA, quale che sia il soggetto tenuto al pagamento (il beneficiario del finanziamento od il terzo che abbia offerto garanzia).” (Cass. – n. 20702/2020 cit.)

La sentenza impugnata appare, quindi, censurabile laddove esclude “una distinta tassazione sulla garanzia fideiussoria” enunciata nel decreto ingiuntivo (questione in relazione alla quale Unicredit aveva peraltro formulato una domanda subordinata).

Viene qui in rilievo il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, il quale stabilisce che “1. Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69, 2. L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non da luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano ih virtù dell’atto che contiene l’enunciazione. 3. Se l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso è contenuta in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nell’art. 37, l’imposta si applica sulla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita.”.

La riportata disposizione pone il principio in forza del quale, ricorrendo certi presupposti, ed anche nel caso in cui l’atto enunciante promani dall’Autorità giudiziaria, la registrazione dell’atto enunciante (cosiddetta “tassa di sentenza”), comporta la tassazione dell’atto enunciato (cosiddetta “tassa di titolo”).

Detto in altri termini, il prelievo fiscale sulla condanna contenuta nel titolo esecutivo ottenuto dalla parte creditrice per il soddisfacimento del proprio diritto non esclude la tassabilità dell’atto enunciato (nella specie, la fideiussione), ove esso integri di per sè atto da registrare (Cass. n. 5946/2007; n. 11756/2008; n. 22243/2015; n. 3232516/2019).

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 7 del 1999, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 634 del 1972, art. 21 (Disciplina dell’imposta di registro), riprodotto nel qui esaminato D.P.R. 26 aprile 1986, n.131, art. 22, (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), sollevata in riferimento agli artt. 76,77,24 e 53 Cost., osserva che la tassazione si riferisce non a qualunque generica enunciazione, in un provvedimento giudiziario, di un atto, ma soltanto alla enunciazione degli atti posti a base dal giudice a base della propria decisione, e che “se l’atto enunciato (e per questo motivo tassato) era soggetto ad imposta in termine fisso, le parti risultano inadempienti ad un loro preciso dovere fiscale; nonostante ciò, la legge, come si è rilevato, consente loro di allegarlo o enunciarlo ugualmente ed al giudice di porlo alla base della propria decisione. Tale garanzia, peraltro, non può comportare la trasformazione in lecito di un comportamento illecito: per questo il legislatore delegato ha disposto che l’atto sia inviato all’ufficio del registro, per essere sottoposto alla tassazione ed all’applicazione delle sanzioni per la ritardata registrazione. Se, invece, il provvedimento enunciato è soggetto a tassazione in caso d’uso, è proprio la sua allegazione in giudizio che, rappresentandone una forma d’uso, ne legittima la sottoposizione all’imposta di registro. D’altra parte, si è già sottolineato che, per essere conforme alla Costituzione, la normativa va interpretata nel senso che deve essere tassato non qualunque atto la cui esistenza sia stata genericamente segnalata dalle parti, ma soltanto quei provvedimenti posti dal giudice alla base della propria decisione; sicchè non rilevano in alcun modo la mera segnalazione dell’atto, nè l’ampiezza della motivazione della sentenza”.

La condanna contenuta nel decreto ingiuntivo tassato si basa anche sull’atto di fideiussione, con cui viene garantita, nell’ambito di un rapporto di conto corrente bancario, la concessione di credito al correntista, essendo stata presa in considerazione, ai fini della condanna, non soltanto la mancata restituzione delle somme in vario modo messe a disposizione da Unicredit, ma anche l’inutile escussione della correlata fideiussione, per cui c’è coincidenza tra parti in causa dell’atto enunciante e parti dell’atto enunciato, donde la rilevanza fiscale dell’enunciazione, atteso che il decreto ingiuntivo non poteva non enunciare la garanzia fideiussoria (Cass. n. 17899/2005; n, 22443/2015; n. 18454/2016).

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, “In tema di imposta di registro, ove viene colpita la singola manifestazione di ricchezza e la connessa capacità contributiva, vale il principio dell’autonomia dei singoli negozi, come si desume in modo inequivoco dalla previsione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, la quale stabilisce che, se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate.’ (Cass. n. 4096/2012), ed ancora che ” La natura accessoria del contratto di fideiussione in campo civilistico (artt. 1939 e 1941 c.c.) non può essere riportata nell’ambito tributario, e segnatamente in quello della disciplina dell’imposta di registro, per la quale, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, vale invece il principio dell’autonomia dei singoli negozi; la relativa tassazione non resta, quindi, attratta nella disciplina tributaria dell’IVA per il solo fatto che il creditore sia un soggetto IVA.” (Cass. n. 17237/2013), ed infine che “Nel caso di decreto ingiuntivo nei confronti del fideiussore, l’imposta di registro si applica, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, comma 3, nei limiti del valore del credito il cui pagamento sia stato ingiunto e non al valore complessivo del rapporto garantito.” (Cass. n. 18454/2016; n. 22230/2015).

Appare evidente l’errore in cui è incorso il giudice di appello allorchè, dalla ritenuta natura unitaria, ai fini fiscali, del credito e della sua garanzia, ha ricavato l’ulteriore conseguenza che la relativa disciplina tributaria debba ritenersi attratta in quella dell’IVA, per essere l’ente creditore (la banca) un soggetto d’IVA, senza tuttavia considerare, invece, che per quanto rileva ai fini della tassazione dell’atto enunciato, avrebbe dovuto piuttosto verificare la qualità di soggetto passivo dell’IVA, nell’ottica dell’alternativa d’imposta, relativamente alla fideiussione correlata, oggetto di enunciazione nel provvedimento giudiziario, guardando, quindi, all’attività del soggetto prestatore della garanzia (Cass. n. 17237/2013 cit.).

La decisione impugnata non è conforme a diritto in quanto il giudice a quo non ha verificato se la fideiussione enunciata nel decreto ingiuntivo richiedesse il pagamento immediato dell’imposta di registro in termine fisso (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 5, comma 1, e D.P.R. cit., allegata Tariffa, Parte Prima, art. 6), ovvero se l’imposta avrebbe dovuto essere corrisposta solo in caso d’uso (stesso D.P.R., art. 5, comma 2), nel qua caso il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, comma 3, impone la registrazione limitatamente alle parti dell’atto non eseguite (Cass. n. 18454/2016).

E la CTR neppure ha verificato la sussistenza dei presupposti per l’assoggettamento ad IVA della garanzia personale prestata da B.F., garanzia della quale assai poco è dato sapere, dovendosi operare il necessario coordinamento tra i tributi, secondo il principio di alternatività di cui al citato D.P.R., art. 40, che prevede per gli atti soggetti all’imposta sul valore aggiunto la debenza dell’imposta di registro nella sola misura fissa.

In conclusione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla medesima CTR che, in altra composizione, provvedere anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in altra composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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