Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12718 del 19/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12718 Anno 2015
Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: SESTINI DANILO

SENTENZA

sul ricorso 16242-2012 proposto da:
BIVONA MARINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GIOVANNI GENTILE 22, presso lo studio dell’avvocato
COSTANTINO FRANCESCO BAFFA, che la rappresenta e
difende giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente –

2015
867

contro

INA ASSITALIA SPA e per essa GENERALI BUSINESS
SOLUTIONS S.C.P.A., quale suo procuratore e
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA,

Data pubblicazione: 19/06/2015

P.ZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio
dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta
e difende giusta procura speciale in calce al
controricorso;
OSPEDALE MADRE GIUSEPPINA VANNINI ISTITUTO FIGLIE DI

tempore Madre LAURA BIONDO, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA GIORGIO VASARI 5, presso lo studio
dell’avvocato RAOUL RUDEL, che lo rappresenta e
difende giusta procura speciale a margine del
controricorso;
RAVALLESE FERDINANDO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA GIORGIO VASARI 5, presso lo studio
dell’avvocato RAOUL RUDEL, che lo rappresenta e
difende giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controrícorrenti –

avverso la sentenza n. 997/2012 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 24/02/2012, R.G.N. 8859/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/04/2015 dal Consigliere Dott. DANILO
SESTINI;
udito l’Avvocato COSTANTINO FRANCESCO BAFFA;
udito l’Avvocato GIUSEPPE CILIBERTI;
udito l’Avvocato RAOUL RUDEL;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

2

SAN CAMILLO, in persona del legale rappresentante pro

Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per l’inammissibilità e in subordine il rigetto del

ricorso;

3

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Marina Bivona agì nei confronti dell’Ospedale
Madre Giuseppina Vannini -Istituto Figlie di San
Camillo e contro quattro medici e quattro
infermieri operanti nel medesimo Istituto perché
venissero riconosciuti responsabili della morte
suicidato il 13 ottobre 1994, mentre era
ricoverato nel nosocomio a seguito di un
precedente tentativo di suicidio: dedusse che,
nonostante un ulteriore tentativo suicidario posto
in essere il 12 ottobre, il personale medico e
paramedico non aveva assunto alcuna misura farmacologica e di vigilanza- volta ad evitare che
il paziente riuscisse nell’intento di togliersi la
vita; domandò pertanto il risarcimento del danno,
quantificando la richiesta in 450.000,00 euro.
convenuti contestarono la domanda e
chiamarono in manleva l’Assitalia Le
Assicurazioni d’Italia s.p.a. e il Lloyd Adriatico
s.p.a..
Nelle more del giudizio di primo grado, la
vedova del Bivona e altre due figlie -Antonietta e
Doriana- si costituirono parti civili nel
parallelo procedimento penale, che si concluse -in
primo grado- con la condanna del dott. Ferdinando
Ravallese e -in secondo grado- con il
proscioglimento dell’imputato per intervenuta
prescrizione, ma con conferma dei capi civili
della sentenza. Le predette parti civili adirono
3

del di lei padre -Francesco Bivona- che si era

successivamente il Tribunale, che liquidò il
risarcimento in oltre 237.000,00 euro in favore
della vedova ed in oltre 203.000,00 euro ciascuna
in favore di Antonietta e Doriana Bivona.
Nel frattempo, Marina Bivona aveva proposto
appello avverso la sentenza del Tribunale che le
Provvedendo sul gravame, la Corte di Appello di
Roma ha dichiarato l’inammissibilità
dell’impugnazione per difetto di specificità dei
motivi.
Ricorre per cassazione la Bivona affidandosi a
due motivi; resistono, a mezzo di distinti
controricorsi, l’Ospedale “Madre Giuseppina
Vannini” Istituto Figlie di San Camillo, nonché
Ferdinando Ravallese e l’INA Assitalia s.p.a..
Hanno depositato memoria la ricorrente e la
Generali Italia s.p.a. (già ma Assitalia).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

La

Corte

territoriale

ha

ritenuto

l’appello inammissibile per “genericità dei
motivi”, rilevando che l’appellante aveva “operato
un mero richiamo per relationem alle decisioni
penali, che non consente di individuare gli
argomenti e le ragioni concretamente impugnate o
le insufficienze delle argomentazioni sul piano
logico-giuridico”.
Ha inoltre osservato che la Bivona aveva
erroneamente sostenuto che la sentenza penale di
proscioglimento per prescrizione del reato
4

aveva -invece- negato il risarcimento.

aveva autorità vincolante in sede civile (quanto
all’accertamento dei fatti in essa contenuto), in
contrasto con l’orientamento di legittimità che
esclude qualunque efficacia extrapenale alle
sentenze che dichiarano non doversi procedere per
prescrizione del reato; ha rilevato, peraltro, che
dedotta genericità dei motivi di appello”.
2.

Col primo motivo (“violazione e falsa

applicazione degli artt. 163, 342 C.P.C.”) ) la
Bivona censura la sentenza per avere ritenuto il
difetto di specificità dei motivi di gravame:
deduce che l’atto di appello conteneva “più che
una esposizione sommaria dei fatti, una analitica
esposizione degli stessi, riportando testualmente
l’esposizione in fatto della sentenza impugnata,
che analiticamente riassume i punti salienti su
cui i giudici penali fondano la responsabilità per
colpa degli odierni resistenti, i cui espliciti
richiami nell’atto di appello costituiscono nel
contempo i presupposti della richiesta di riforma
della sentenza impugnata, essendo stati
interamente trasfusi nei motivi di appello”.
2.1. Il motivo è fondato.
I più recenti approdi della giurisprudenza di
legittimità in merito alla previsione dell’art.
342 C.P.C. (nella formulazione -applicabile
ratione temporis- anteriore alle modifiche di cui
al d.l. n. 83/2012 convertito in l. n. 134/2012),
5

l’esame della questione era “inibito per la già

hanno affermato un indirizzo maggioritario secondo
cui:
-escluso “qualsiasi particolare rigore di forme”
(Cass. n. 6978/2013), “il requisito della
specificità dei motivi, di cui all’art. 342 cod.
proc. civ., deve ritenersi sussistente, secondo

l’atto di impugnazione consenta di individuare le
ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, sì
da consentire al giudice di comprendere con
certezza il contenuto delle censure e alle
controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la
propria attività difensiva, mentre non è richiesta
né l’indicazione delle norme di diritto che si
assumono violate, né una rigorosa e formalistica
enunciazione delle ragioni invocate a sostegno
dell’impugnazione” (Cass. n. 22502/2014; cfr.
anche Cass. n. 22781/2014);
-ove venga denunciato “un vizio attinente
all’applicazione dell’art. 342 C.P.C., in ordine
alla specificità dei motivi di appello, il giudice
di legittimità non deve limitare la propria
cognizione all’esame della sufficienza e logicità
della motivazione con cui il giudice di merito ha
vagliato la questione, ma è investito del potere
di esaminare direttamente gli atti e i documenti
sui quali il ricorso si fonda” (Cass. n.
15071/2012,

in

adesione

a

Cass.,

8077/2012; conforme Cass. n. 25308/2014).
6

S.U.

n.

una verifica da effettuarsi in concreto, quando

2.2.

Alla

luce

di

un

tale

quadro

giurisprudenziale di riferimento, ritiene il
Collegio che dall’atto di appello emergano
chiaramente le censure mosse alla sentenza di
primo grado.
Deve rilevarsi, infatti, che i motivi di
riferimento alle argomentazioni logico-giuridiche
contenute nelle due sentenze penali, sì che non
pare dubitabile che il richiamo agli accertamenti
di fatto e alle correlate argomentazioni logicogiuridiche dei giudici penali costituisca
l’argomentata confutazione logico-giuridica della
sentenza di primo grado.
Più specificamente, l’appellante ha premesso la
trascrizione dei passaggi della sentenza penale di
primo grado che descrivono le misure adottate dal
Ravallese ed ha evidenziato come entrambe le
sentenze penali abbiano ritenuto la “assoluta
inconsistenza” di tali cautele, respingendo
altresì la tesi della inevitabilità dell’atto
suicidario.
Ciò consente di escludere che l’atto di
impugnazione difetti della necessaria specificità
e comporta l’accoglimento del primo motivo e
l’assorbimento del secondo (che censura le
affermazioni della sentenza impugnata in punto di
non operatività del giudicato extrapenale,
assumendo che -in ogni caso- la Corte avrebbe
dovuto prendere in esame “i fatti materiali emersi
7

gravame sono stati formulati mediante espresso

in sede penale costituenti prova certa di
responsabilità anche civile”) in quanto attinente
ad una questione che la Corte territoriale ha
dichiarato di non poter esaminare in dipendenza
della ritenuta genericità dell’appello.
3. La sentenza impugnata va dunque cassata, con
anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo,

dichiarando

assorbito il secondo, cassa la sentenza e rinvia,
anche per le spese di lite, alla Corte di Appello
di Roma, in diversa composizione.
Roma, 10.4.2015

rinvio alla Corte territoriale, che provvederà

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