Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12717 del 19/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12717 Anno 2015
Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: SESTINI DANILO

SENTENZA

sul ricorso 153.15-2012 proposto da:
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE ROMA H , in persona
del suo legale rappresentante pro tempore Direttore
Generale Dott. ALESSANDRO CIPOLLA, elettivamente
domiciliata in ROMA, P.ZA SS. APOSTOLI, 81, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE FORNARO, che la


2015
.

866

rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrentecontro

SANTARONI LUCA, CRESPI VANDA, entrambi in proprio e

1

Data pubblicazione: 19/06/2015

i

nella qualità di genitori del figlio deceduto
SANTARONI GABRIELE, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIALE MAZZINI 114-3, presso lo studio
dell’avvocato GIORGIO MELUCCO, rappresentati e difesi
e

dall’avvocato ALBERTO COLELLA giusta procura speciale

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 228/2012 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 16/01/2012, R.G.N. 6754/2007
cui è riunita la causa iscritta al n. 6866/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/04/2015 dal Consigliere Dott. DANILO
SESTINI;
udito l’Avvocato GIUSEPPE FORNARO;
udito l’Avvocato ALBERTO COLELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

a margine del controricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Vanda Crespi e Luca Santaroni convennero in
giudizio l’Azienda ASL Roma H per sentirla
condannare al risarcimento dei danni subiti per il
fatto che il loro primo figlio era nato morto,
assumendo che ciò era dipeso dalla condotta dei
ricoverato la partoriente soltanto quando la
gravidanza era giunta quasi al decimo mese di
gestazione ed avevano ritardato i necessari
interventi.
Ti Tribunale accolse la domanda, condannando la
ASL al risarcimento dei danni, quantificati in
oltre 500.000,00 euro in favore dell’attrice ed in
oltre 100.000,00 euro in favore del Santaroni.
La Corte di Appello di Roma ha rigettato i
motivi di gravame con cui era stata dedotta la
nullità della notificazione dell’atto introduttivo
del giudizio nei confronti della ASL (rimasta
contumace in primo grado), era stata lamentata la
mancata integrazione del contraddittorio nei
confronti dei sanitari ed era stata posta la
questione della sospensione del processo civile in
attesa della definizione del procedimento penale a
carico di due medici (in cui entrambi gli attori
si erano costituiti parte civile); nel merito, ha
confermato la pronuncia di condanna, pur
modificando le somme liquidate, col riconoscimento
di importi prossimi a 360.000,00 euro in favore di
ciascuno degli attori.
3

sanitari dell’Ospedale di Velletri, che avevano

Ricorre

per

cassazione

l’Azienda

Unità

Sanitaria Locale Roma H, affidandosi a cinque
motivi illustrati da memoria; resistono la Crespi
e il Santaroni a mezzo di unico controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Col primo motivo (“violazione e falsa

si duole che non sia stata dichiarata l’estinzione
del giudizio civile a seguito della costituzione
di parte civile della Crespi e del Santaroni nel
procedimento penale contro due medici
dell’Ospedale, costituzione che era avvenuta
successivamente all’instaurazione del procedimento
civile e che aveva comportato la riproposizi lpe in
sede penale delle stesse domande risarcitorie
avanzate in ambito civile.
Al riguardo, la Corte di Appello ha osservato
che non v’era “prova della sussistenza di alcuna
delle condizioni che ai sensi dell’art. 75 c.p.p.
legittimano la sospensione del giudizio civile”,
rilevando -fra l’altro- che la Azienda non aveva
provato di essere parte del procedimento penale in
veste di responsabile civile.
1.1.

Il motivo è infondato.

Invero, l’art. 75 c.p.p. -che individua i
criteri di coordinamento tra il processo civile e
quello penale- prevede specifiche eccezioni alla
regola dell’autonomia dei due procedimenti ) che
presuppongono tutte l’identità fra le parti del
giudizio civile e quelle del processo penale.
4

applicazione dell’art. 75 C.P.C.”), la ricorrente

Non ricorre dunque alcuna di tali eccezioni
quando l’azione civile sia stata (preventivamente
o successivamente) promossa contro un soggetto
estraneo al procedimento penale, come nel caso in
esame, in cui la USL non risulta citata o
intervenuta in tale processo come responsabile
6185/2009): ne consegue che la Corte di merito ha
correttamente escluso l’estinzione del giudizio
civile promosso nei confronti della USL, non
ricorrendo le condizioni per derogare alla regola
generale dell’autonomia dei due procedimenti.
2. Il secondo motivo (“violazione e falsa
applicazione degli artt. 101 e 102 CPC, nonché
degli artt. 145 e 164 CPC”) censura la sentenza
per avere

escluso la nullità

della notifica

dell’atto di citazione e per aver ritenuto che il
contraddittorio non dovesse essere integrato nei
confronti dei sanitari che avevano materialmente
operato (da considerare litisconsorti necessari).
2.1.

Entrambe le censure sono infondate.

La Corte ha dato atto che l’avviso di
ricevimento relativo alla notificazione dell’atto
di citazione reca il timbro dell’Ufficio
Protocollo Generale dell’Azienda convenuta,
individuando così un elemento che non consente di
ipotizzare il lamentato vizio di notifica.
Va poi escluso che i sanitari dipendenti della
USL, benché possibili responsabili in solido,
siano anche litisconsorti necessari, giacché la
5

civile (cfr. Cass. n. 17608/2013 e Cass. n.

solidarietà

passiva

luogo

a

rapporti

scindibili, senza che ricorra un’ipotesi di
litisconsorzio necessario passivo (cfr. Cass. n.
8413/2014).
3.

Il terzo e il quarto motivo -che si

esaminano congiuntamente- investono il merito
della

responsabilità

della

U.S.L. e prospettano violazione e falsa
applicazione dell’art. 1218 c.c. in riferimento
all’art. 360, comma l, nn. 4) e 5) C.P.C. (terzo
motivo), nonché erronea valutazione e falsa
applicazione degli artt. 1176, 1218 e 2236 c.c. in
relazione all’art. 360, coma l, nn. 3) e 5)
C.P.C. (quarto motivo).
La ricorrente assume che nessuna responsabilità
poteva essere ascritta “all’Azienda Sanitaria come
tale né ad un suo organo rappresentativo o
dipendente, per fatti di cui sono stati ritenuti
responsabili esclusivi i medici dell’Ospedale di
Velletri e non le strutture o i responsabili
dell’Azienda”, rilevando -inoltre- che “l’unica
ipotesi plausibile è che la morte del feto sia
avvenuta per causa improvvisa e non prevedibile”;
afferma, altresì, che “perché potesse ricondursi
all’Azienda Sanitaria o all’ente ospedaliero la
responsabilità per negligenza del medico e/o del
primario, ai sensi dell’art. 2236 cod. civ.
occorreva provare il dolo o la colpa grave del
prestatore d’opera, specie nel caso in esame ove
6

dell’affermazione

la prestazione medica implicava la soluzione di
problemi tecnici di particolare difficoltà”.
3.1. Le censure sono infondate nella parte in
cui la ricorrente si discosta dal pacifico
orientamento secondo cui la U.S.L. risponde (ex
art. 1228 c.c.) per il fatto imputabile alle
inoltre inammissibili nella parte in cui
sollecitano una diversa valutazione dei fatti
(anche circa l’individuazione delle cause del
decesso) in difetto della prospettazione di
specifici vizi motivazionali.
4.

Col

motivo

quinto

(“motivazione

insufficiente, lacunosa e contraddittoria nella
determinazione del quantum debeatur in relazione
al danno riflesso – violazione e falsa
applicazione degli artt. 2043 e 2059 cod. civ. con
riferimento all’art. 360 n. 5 CPC”), la ricorrente
si duole che la Corte abbia “esosamente calcolato
il danno morale subito dai coniugi CrespiSantaroni” e assume che il “danno riflesso” (che
individua nel “pregiudizio e la sofferenza della
vittima a seguito di un comportamento illecito
inquadrabile come reato”) avrebbe dovuto essere
richiesto soltanto ai medici che avevano commesso
il reato e che erano stati condannati in sede
penale; si duole, infine, che la Corte abbia
liquidato il danno “prescindendo totalmente dalle
tabelle applicate dal Tribunale di Roma e dal
Tribunale di Milano per tali fattispecie e da
7

proprie strutture e ai propri dipendenti; sono

qualsiasi riferimento alle condizioni reddituali
medie dei cittadini e degli stessi attori in
giudizio”.
4.1. A prescindere dalla confusa individuazione
della categoria del ‘danno riflesso’ (quello
figlio nato morto, oltre che per il pregiudizio
biologico accertato in capo a ciascun attore), le
censure sono infondate, nella parte in cui
pretendono di vanificare gli effetti della
responsabilità gravante sulla USL per il fatto dei
propri dipendenti, che si estende -ovviamente- ad
ogni profilo di danno patrimoniale e non
patrimoniale che sia conseguenza immediata e
diretta dell’evento di danno causato dall’operato
dei sanitari.
4.2. E’, invece, fondata la censura relativa
alla quantificazione del risarcimento.
Sul punto, la sentenza impugnata risulta
insufficientemente motivata in quanto, dopo aver
affermato che non v’era motivo per diversificare
la posizione della madre da quella del padre

e

dopo aver premesso che “le somme liquidate dal
Tribunale di Velletri sono entrambe molto lontane
da quelle desumibili dalla … giurisprudenza”, non
ha adeguatamente spiegato la ragione per cui ha
applicato i valori elaborati per la perdita di un
figlio all’ipotesi della morte di un feto (pur
maturo e prossimo alla nascita) e, per di più, ha
dichiarato di dover applicare una ‘maggiorazione’
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liquidato è un danno non patrimoniale per il

sulla base di considerazioni (“avendo il caso di
specie caratteristiche di speciale odiosità per
l’ostinata ed irritante inerzia dei sanitari che è
stata la causa di un evento così drammatico”) che
finiscono con l’attribuire al risarcimento una
nostro ordinamento.
Quanto al primo profilo, va considerato che il
danno non patrimoniale non può che essere
liquidato in via equitativa e che tale valutazione
ha da tempo trovato un utile parametro di
riferimento nelle note tabelle che sono state
elaborate dagli uffici giudiziari per assicurare
una tendenziale omogeneità di trattamento fra
situazioni analoghe; com’è noto, al fine di
assicurare il massimo grado di uniformità, questa
Corte è poi pervenuta a riconoscere alle tabelle
elaborate dal Tribunale di Milano valenza generale
di “parametro di conformità della valutazione
equitativa del danno biologico alle disposizioni
di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ, salvo che
non sussistano in concreto circostanze idonee a
giustificarne l’abbandono” (Cass. n. 12408/2011).
Con specifico riferimento al danno per perdita
del rapporto parentale, le tabelle milanesi
prevedono -con riferimento ai vari possibili
rapporti di parentela- una forbice che, nel caso
di danno subito dal genitore per la morte di un
figlio, oscillava (nell’edizione 2011, applicabile
al momento in cui venne emessa la sentenza
9

funzione ‘punitiva’, che è del tutto estranea al

impugnata) fra 154.350,00 e 308.700,00 euro; per
quanto emerge dai “criteri orientativi” che
illustrano la tabella, tale forbice consente di
tener conto di tutte le circostanze del caso
concreto, ivi compresa la “qualità ed intensità
della relazione affettiva che caratterizzava il
Se ciò è vero, deve allora ritenersi che, anche
a voler assimilare -come ha fatto la Corte romanala situazione del feto nato morto al decesso di un
figlio, non può tuttavia non considerarsi che per
i

il figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il
venir meno di una relazione affettiva potenziale
(che, cioè ) avrebbe potuto instaurarsi, nella
misura massima del rapporto genitore-figlio, ma
che è mancata per effetto del decesso anteriore
alla nascita), ma non anche di una relazione
affettiva concreta sulla quale parametrare il
risarcimento all’interno della forbice di
riferimento.
Con queste premesse, non può non rilevarsi che
la Corte di merito ha omesso di motivare
adeguatamente in ordine all’applicazione tout
court dei valori tabellari previsti per la perdita
del rapporto parentale e al riconoscimento di un
importo che si attesta sui valori più elevati
della forbice risarcitoria.
Quanto al secondo profilo, non appare corretta
la motivazione che giustifica la scelta di
applicare una maggiorazione con la “speciale
10

rapporto parentale con la persona perduta”.

odiosità” del fatto: premesso, infatti, che “è

l’istituto

l’ordinamento

con

incompatibile
dei

punitivi”

danni

italiano
(Cass.

n.

1781/2012, che precisa: “il diritto al
risarcimento del danno conseguente alla lesione di
un diritto soggettivo non è riconosciuto con
estranea al sistema l’idea della punizione e della
sanzione del responsabile civile ed indifferente
la valutazione a tal fine della sua condotta- ma
in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal
titolare del diritto leso”), deve ritenersi che la
gravità della condotta può -tutt’al più- assumere
rilevanza indiretta nella misura in cui abbia
aggravato le conseguenze dell’illecito (come nel
caso di aggravamento della sofferenza psichica che
ne abbia risentito il danneggiato), ma non è
idonea a giustificare -di per sé sola- un
incremento dell’importo risarcitorio.
Il quinto motivo va dunque accolto, nei termini
che precedono, con conseguente cassazione della
sentenza sul punto.
5.

La Corte di rinvio provvederà anche sulle

spese di lite.
p.q.m.
la Corte, rigettati gli altri motivi, accoglie
il quinto per quanto di ragione, cassa in
relazione ad esso e rinvia, anche per le spese di
lite, alla Corte di Appello di Roma, in diversa
composizione.
11

caratteristiche e finalità punitive -restando

Roma, 10.4.2015

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