Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12717 del 19/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/05/2017, (ud. 19/01/2017, dep.19/05/2017),  n. 12717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11083/2014 proposto da:

D.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA LUCIO PAPIRIO 83, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

AVITABILE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO BIAMONTE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BOCOGE COSTRUZIONI GENERALI S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, LARGO LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studio degli avvocati

ROSARIO SALONIA, FABIO MASSIMO COZZOLINO, che la rappresentano e

difendono, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1702/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 30/12/2013 R.G.N. 2143/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito l’Avvocato SIMONA PAIANO per delega verbale Avvocato ANTONIO

BIAMONTE;

udito l’Avvocato FABIO MASSIMO COZZOLINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15864 del 20 settembre 2012, cassava la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 27 ottobre 2010 avendo accertato che il giudice di appello aveva omesso di verificare se i titoli oggetto della transazione intervenuta nel contenzioso tra la Bocoge s.p.a. e D.A. rientrassero o meno nell’ambito di diritti indisponibili per i quali, a norma dell’art. 2113, l’accordo transattivo può essere impugnato con qualsiasi atto del lavoratore nel termine di sei mesi dall’accordo stesso. Inoltre, nel caso contrario, la Corte in sede di rinvio avrebbe dovuto verificare, dal tenore letterale della nota inviata alla Società ed eventualmente da altre ulteriori “circostanze precise, concordanti e obiettivamente concludenti”, l’effettiva volontà conciliativa del lavoratore anche con riguardo all’accettazione del recesso datoriale.

2. Riassunto il giudizio, la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza avendo accertato che tra D.A. e la Bocoge s.p.a. era intervenuta una transazione per la definizione della controversia conseguente alla sentenza n. 160 del 2002 tra le stesse parti, non impugnata dal lavoratore. Rigettava poi la domanda tesa al riconoscimento della somma di Euro 10.740,35 a titolo di contributi previdenziali, non esaminata dalla sentenza cassata e ritenuta assorbita dal preliminare accertamento dell’intervenuta conciliazione.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre D.A. con un solo motivo cui resiste con controricorso la Bocoge s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con un unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. e l’erronea applicazione del principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio della Cassazione. Inoltre ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324 c.p.c. e della L. 30 marzo 1970, n. 300, art. 18, comma 4, tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

5.1. Alla Corte di appello era stato demandato di verificare se i titoli per i quali era intervenuto l’accordo transattivo fossero o meno riportabili ai diritti specificamente indicati nell’art. 2113 c.c. e, in caso contrario, se dalla documentazione in atti prodotta si poteva desumere “l’effettiva volontà conciliativa da parte del lavoratore, anche con riguardo all’accettazione del recesso datoriale”.

5.2. La Corte del rinvio uniformandosi alle indicazioni della Cassazione ha verificato che dalla corrispondenza intercorsa tra i procuratori delle parti risultava confermata la transazione complessiva della controversia. La Corte desumeva il perfezionamento della transazione da una serie di comportamenti: la esplicitazione della volontà di rinunciare alla “riassunzione” in servizio a fronte di un risarcimento del danno di cui attendeva i conteggi per verificarne l’esattezza. La contestuale richiesta di un anticipo sulla somma comunque dovuta. La comunicazione, successivamente all’invio dei conteggi, delle coordinate bancarie per il versamento.

5.3. Inoltre ha accertato che le somme dovute al lavoratore erano riferibili a diritti che non derivavano da disposizioni inderogabili di legge e di contratto o accordo collettivo atteso che nel giudizio presupposto si controverteva del diritto al riassorbimento, concordato con i sindacati, dei lavoratori coinvolti in una procedura di licenziamento collettivo. Ha sottolineato, poi, che il lavoratore poteva liberamente disporre sia del diritto alla riassunzione sia di quello al risarcimento del danno conseguente al mancato rispetto dell’accordo e che la transazione non era stata impugnata nel termine semestrale fissato dall’art. 2113 c.c.. Ha evidenziato che la nota del 15 luglio 2002, inviata dal D. alla società, per la sua genericità ed indeterminatezza, non esprimeva una chiara volontà del lavoratore in tal senso.

5.4. Risulta quindi evidente che la Corte territoriale ha, con una ricostruzione dei fatti aderente al contenuto della documentazione allegata al giudizio oltre che congruamente e logicamente motivata, accertato l’esistenza di una reale e consapevole volontà conciliativa da parte del D. concretatasi in una transazione avente ad oggetto diritti disponibili del lavoratore che non era stata poi impugnata nei termini di legge.

5.5. Si tratta all’evidenza di accertamento di merito, censurabile, in sede di legittimità, soltanto in caso di violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale o in presenza di vizi della motivazione nella specie neppure denunciati (cfr. Cass. 28/08/2013 n. 19831).

5.6. Quanto alla denunciata insussistenza di reciproche concessioni, in violazione dell’art. 1965 c.c., va sottolineato che tale questione – in mancanza di specifiche allegazioni che consentano di verificare che il tema era stato già dibattuto nei precedenti gradi di giudizio – risulta inammissibilmente proposta per la prima volta in questa sede di legittimità.

5.7. Confermata la sentenza della Corte di appello che ha positivamente accertato l’esistenza di una transazione valida e mai impugnata resta assorbito l’esame di ogni altra questione connessa alla invalidità della transazione stessa. Va al riguardo rammentato che la pretesa contributiva, di cui nell’ultima parte del ricorso si lamenta l’omesso esame da parte della Corte di appello, era collegata alla qualificazione, auspicata ma esclusa, del risarcimento ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 e non, come invece positivamente accertato, quale attuazione dell’accordo sindacale – intervenuto con la società per la riassunzione di personale che, come il ricorrente odierno, era stato coinvolto nella procedura di licenziamento collettivo – nel quale era stato concordato un risarcimento nella misura del 40% della retribuzione globale di fatto non erogata dal licenziamento al ripristino del rapporto.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

7. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2017

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