Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12716 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. III, 09/06/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 09/06/2011), n.12716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27313/2006 proposto da:

B.C.E. (OMISSIS) quale procuratrice

generale del Dott. A.G.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO 8, presso lo studio dell’avvocato

VILLANI Ludovico Ferdinando, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PIZZORNI PIERGIORGIO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI Guido, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FAMIGLIETTI ANTONIO

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 650/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

SEZIONE AGRARIA, emessa il 15/6/2006, depositata il 27/06/2006,

R.G.N. 631/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato LUDOVICO FERDINANDO VILLANI;

udito l’Avvocato GUIDO ROMANELLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2.12.2004, il tribunale di Genova, nella controversia promossa dall’affittuaria del fondo rustico N. P., nei confronti dell’affittante C.A.G. per la declaratoria di risoluzione del contratto di affitto del 2.11.1993 per inadempimento della parte locatrice, dichiarava risolto il contratto per inadempimento di quest’ultima, in quanto nel fondo esisteva un’ampia discarica ad una profondità di circa cm. 15, per cui il fondo non poteva essere utilizzato per l’attività di agriturismo, e condannava l’affittante al risarcimento del danno in favore dell’attrice nella misura di L. 507 milioni, oltre rivalutazione ed interessi, ritenendo che detti danni fossero pari ai lavori edili eseguiti sul fondo da essa attrice.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il convenuto.

La corte di appello di Genova, sez. spec. agraria, con sentenza depositata il 27.6.2006, rigettava l’appello.

Riteneva la corte di merito, per quanto ancora interessa, che nella fattispecie la domanda era stata proposta come condanna al pagamento dell’indennità L. n. 203 del 1982, ex art. 17, ma che la sentenza di primo grado, a fronte di tale domanda, aveva pronunziato la condanna del convenuto a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, che tale statuizione sul punto del diverso titolo non era stata oggetto di impugnazione e che lo stesso convenuto appellante (nell’atto di appello che non censura tale punto) utilizzava i termini “danno” e “risarcimento”.

La corte condivideva le conclusioni cui erano pervenuti il c.t.u.

nonchè il tecnico in sede di accertamento preventivo, secondo cui in parte non esigua del fondo in questione negli anni 1950-60 vi era stata una discarica a cielo aperto del Comune di Genova, ricoperta allo stato da cm. 15 di terreno, la quale discarica era riapparsa a seguito del passaggio dei cavalli dell’agriturismo; che tale discarica rendeva l’intero fondo inutilizzabile; che tanto integrava un inadempimento grave del contratto di affitto, imputabile al convenuto locatore; che era irrilevante la consapevolezza che questi aveva dell’esistenza di tale discarica; che in ogni caso la proprietà dell’epoca (anni 50 – 60 doveva certamente essere d’accordo con il Comune di Genova in merito a tale utilizzo; che il danno andava liquidato in L.. 160 milioni per le scuderie e L. 347 milioni per le altre opere edili, come calcolato dal ctu.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione C. A.G..

Resiste con controricorso N.P..

Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 364 c.p.c.; nonchè il vizio motivazionale della sentenza a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto: Se costituisce violazione del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunziato, a fronte del petitum di condanna al pagamento dell’indennità di miglioria agraria L. n. 203 del 1982, ex art. 17, l’emettere condanna a titolo di risarcimento del danno. Se costituisce, a norma dell’art. 360 c.p.c. , n. 5, vizio motivazionale della sentenza l’identificazione della domanda a titolo di risarcimento del danno a fronte di un esplicito e specifico petitum di condanna al pagamento dell’indennità di miglioria agraria L. n. 203 del 1982, ex art. 17.

1.2.Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16, 17 e 45, nonchè dei principi in tema di onere della prova, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed il vizio motivazionale della sentenza a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo si conclude con i seguenti quesiti: Se costituisce una violazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16, 17 e 45, in presenza di contratto pacificamente derogatorio alle norme vigenti in materia di contratti agrari, attribuire un’indennità di miglioria, qualificata in base alla normativa derogata, anzichè in relazione alla quantificazione concordata. Se costituisce violazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17, l’attribuzione di indennità di migliorie in relazione ad opere eseguite senza previo esperimento della procedura di legittimazione con l’intervento di legittimazione.

Se nella fattispecie esiste il vizio motivazionale in merito alla ricostruzione fattuale di quanto indicato nelle precedenti censure.

2.1. I suddetti due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.

Essi sono inammissibili sia per la loro inconferenza che per la consequenziale inconferenza dei quesiti.

La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha statuito che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (ex multis, Cass. 07/11/2005, n. 21490;

Cass. 24/02/2004, n. 3612; Cass. 23/05/2001, n. 7046). L’inconferenza del motivo comporta che l’eventuale accoglimento della censura risulta comunque privo di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidoneo a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass. Sez. Unite, 12/05/2008, n. 11650).

2.2. In applicazione della stessa ratio è stato affermato (ed il principio va ribadito) che in relazione al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto non abbia alcuna specifica attinenza al concreto “decisum” della sentenza impugnata, dovendo assimilarsi il caso del quesito di diritto inconferente all’ipotesi di mancanza del quesito stesso. In questo caso la risposta al quesito, anche se positiva per l’istante, risulta comunque priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidonea a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass. S.U., 12/05/2008, n. 11650; Cass. S.U. 21/06/2007, n. 14385).

2.3. Nella fattispecie la sentenza di appello ha ritenuto di dovere preliminarmente affermare (p. 7) che la domanda, contrariamente a quanto assume l’attuale resistente, era stata proposta come condanna al pagamento dell’indennità L. n. 203 del 1982, ex art. 17, ma che la sentenza di primo grado, a fronte di tale domanda, ha pronunziato la condanna del convenuto a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale e che tale statuizione sul punto del diverso titolo non è stata oggetto di impugnazione e che lo stesso convenuto appellante (nell’atto di appello che non censura tale punto) utilizzava i termini “danno” e “risarcimento”.

Quindi correttamente la sentenza di appello, sul presupposto espresso che nessuna impugnazione in merito era stata mossa alla sentenza di 1^ grado, correttamente ha continuato a trattare la domanda come di condanna al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, proprio per effetto della mancata impugnazione della statuizione del tribunale nella parte che aveva deciso su tale domanda e non su quella di pagamento dell’indennità di miglioria.

2.4. Stante tale statuizione della corte di appello, i motivi di ricorso primo e secondo, con i rispetti quesiti di diritto, che investono ancora le questioni processuali e sostanziali relative alla domanda di pagamento delle migliorie, sono inconferenti, poichè non attengono al decisum sul punto del giudice di appello. Infatti il ricorrente non censura il fondamento della decisione della corte di appello, secondo cui era mancata un’impugnazione alla modifica di domanda operata dal tribunale, che rimaneva, quindi, in grado di appello domanda da risarcimento del danno da inadempimento contrattuale.

3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1225, 1256, 1458 1578 e 1581, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè di violazione dell’art. 2697 c.c., in tema di principi in materia dell’onere della prova, ed infine il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo si articola in varie censure e si conclude con vari quesiti di diritto.

4.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Inammissibili sono le censure che si concludono con i seguenti quesiti di diritto: Se costituisce violazione dell’art. 1225 c.c., in presenza di pattuizioni contrattuali attraverso le quali le parti hanno stimato in L. 90 milioni gli importi per le opere che l’affittuaria si impegnava ad eseguire sul fondo, riconoscere in via risarcitoria all’affittuaria un danno inerente i costi per le stesse opere in misura ben quasi sei volte superiore. Se, in relazione a ciò, sussiste un vizio motivazionale quanto all’accertamento del danno prevedibile al momento della stipulazione del contratto.

4.2. Anzitutto non risultano trascritte nel ricorso le “pattuizioni contrattuali attraverso le quali le parti hanno stimato in L.. 90 milioni gli importi dei lavori”. Sotto questo profilo la censura è quindi inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

4.3. Diverso dalla pretesa pattuizione espressa è l’assunto del ricorrente , secondo cui si può giungere ad una sorta di pattuizione e stima implicita dei lavori sulla base della riduzione concordata del canone da L. 15 milioni annui a L. 5 milioni.

Al contrario la sentenza impugnata, con motivazione fattuale immune da vizi rilevabili in questa sede di sindacato di legittimità, ha ritenuto che la circostanza che nel contratto, in conseguenza dell’impegno dell’affittuaria di eseguire i lavori indicati, il canone di affitto fosse ridotto da L. 15 milioni a L. 5 milioni, non prova certo che il lavori eseguiti dalla N. importassero esborsi per sole L. 90 milioni (il risparmio di L. 10 milioni annui per anni 9).

La censura sul punto, che mira ad una diversa ricostruzione della volontà dalle parti rispetto a quella effettuata dal giudice di merito e ad una diversa interpretazione delle clausole contrattuali, assegnando loro un contenuto suppletivo rispetto a quello emergente dalla lettera contrattuale (nella specie attinente solo alla riduzione annuale del canone), non può trovare ingresso in questa sede sia perchè da una parte non indica quali canoni ermeneutici avrebbe violato il giudice di merito sia perchè tende ad una rilettura delle risultanze processuali, impedita in questa sede di legittimità.

5.1. Inammissibile è la censura, che si conclude con i seguenti quesiti di diritto: Se costituisce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 1458 c.c., in relazione ad un contratto ad esecuzione continuata che ha avuto esecuzione per 6 anni su una durata complessiva di 9, una condanna che preveda effettui restitutori dei costi asseritamente sostenuti per l’esecuzione del contratto stesso. Se, in relazione a quanto detto, sussiste vizio motivazionale ex art. 360, n. 5, in riferimento all’omessa considerazione che, ai fini della determinazione delle conseguenze restitutorie, rivestiva l’esecuzione , per anni 6 su 9 del contratto.

5.2. Egualmente inammissibile è la censura del terzo motivo di ricorso che si conclude con il seguente quesito: Se costituisce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 1223 c.c., considerare conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento tutti i costi asseritamente sostenuti per l’esecuzione del contratto, nonostante risulti agli atti di causa la circostanza che il regolare adempimento del contratto non avrebbe consentito di recuperare integralmente detti costi di causa. Se, in relazione a quanto detto, sussiste vizio motivazionale, in riferimento all’accertamento di quanta parte dei costi sostenuti per l’esecuzione del contratto si sarebbe effettivamente potuto recuperare in ipotesi di regolare adempimento del contratto.

5.3. L’inammissibilità discende dall’essere le due questioni nuove, rispetto a quelle esaminate dalla sentenza di appello, impugnata.

Nella sentenza infatti non si tratta nè della incidenza, ai fini dell’art. 1458 c.c., dell’esecuzione del contratto già avvenuta, nè della conseguenza immediata e diretta del danno solo dall’inadempimento e non anche dalla durata contrattuale limitata.

Infatti è giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 6989/2004; Cass. n. 5561/2004; Cass. n. 1915/2004).

5.4. In ogni caso, ove poi tali questioni fossero state effettivamente già proposte al giudice di appello, stante la mancata pronunzia della sentenza di appello, le censure sono egualmente inammissibili in questa sede.

A tal fine va osservato che la censura di omessa pronuncia integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., e quindi una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (nullità della sentenza e del procedimento) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed a maggior ragione come vizio motivazionale a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (attenendo quest’ultimo esclusivamente all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia Cass. 17/10/2003, n. 15555; Cass. 14/07/2003, n. 11007; Cass. 18/06/2003, n. 9707; Cass. n. 10558/2002;

Cass. n. 9159/2002; Cass. n. 317/2002).

5.5. Nella fattispecie, invece, il ricorrente ha da una parte lamentato esclusivamente la violazione di norme di diritto sostanziale e di quelle attinenti alla rappresentanza processuale e dall’altra ha proposto il ricorso esclusivamente sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

6. Infondata è infine la censura sempre del terzo motivo che si conclude con i seguenti quesiti: se, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, costituisce violazione degli artt. 1218 e/o 1256 o 1578 e/o 1581 c.c. l’aver affermato “quale caposaldo giustificativo” l’imputabilità tout court, indipendentemente dall’esame dei profili concernenti l’imputabilità e la colpa, dell’inadempimento; l’aver comunque poi espressamente ritenuto prive di rilevanza le circostanze specificamente riferite alla persona dell’esponente ed al momento della stipulazione del contratto.

7.1. Osserva questa Corte che, in tema di obbligazioni, lo stato soggettivo di buona fede non è idoneo, di per se solo, ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento, essendo a tal fine necessaria, per converso, la prova, da parte del debitore, che l’inadempimento stesso (o anche il semplice ritardo) siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivata da causa oggettivamente non imputabile all’obbligato, situazione, quest’ultima, non riconducibile alla mera condizione psicologica (di buona fede) del debitore, e rapportabile, invece, all’impegno di cooperazione che, tenuto conto della natura del rapporto e delle circostanze del caso concreto (nonchè delle qualità soggettive del debitore), l’obbligato stesso è tenuto ad esplicare (Cass. 3/09/1999, n. 9278; Cass. 23/04/2004, n. 7729).

Il regime processuale della responsabilità contrattuale stabilito dall’art. 1218 cod. civ. – per cui grava sul debitore una presunzione di colpa e quindi l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento – si giustifica con il fatto che la prestazione ricade nella sfera di controllo del debitore ed è sottratta al controllo del creditore (Cass. 5/04/2005, n. 7081). Il debitore, quindi, per andare esente da responsabilità deve provare l’oggettiva persistente impossibilità dell’adempimento e l’origine dell’impossibilità in fatto non imputabile a lui o ai suoi danti causa.

7.2. Ne consegue che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie sussistesse un inadempimento – imputabile all’affittante convenuto- per la mancata prestazione su lui gravante di consegnare il fondo idoneo all’uso e privo di vizi.

7.3. E’ immune dai lamentati vizi l’impugnata sentenza allorchè ha ritenuto che era irrilevante la questione della consapevolezza o meno della parte locatrice in merito al punto che molti decenni prima tale fondo era stato adibito a discarica del Comune di Genova, poichè, come detto, non è rilevante lo stato soggettivo del debitore.

Ciò che rilevava, ai fini di escludere l’imputabilità dell’inadempimento, era invece non lo stato soggettivo dell’affittante convenuto, ma che egli fosse impossibilitato oggettivamente a rimuovere il vizio (e cioè risanare il terreno dagli effetti negativi della discarica precedente) e che tale impossibilità della prestazione non era a lui imputabile nè ai suoi danti causa. Tale prova, che gravava sul debitore, non è stata fornita, nè i fatti (impossibilità di risanare il terreno ed anche non addebitabilita causale del fatto che determinava l’inadempimento e cioè l’inidoneità del terreno) sono stati allegati.

Anzi la corte di merito ha ritenuto, al fine di corroborare tale soluzione, che certamente il Comune di Genova non potè utilizzare il terreno privato come discarica a cielo aperto tra gli anni 50 e 60, senza un preventivo accordo con la proprietà (e quindi con i danti causa dell’attuale convenuto, indipendentemente da quali fossero le conoscenze personali di quest’ultimo).

8. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 196 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova; la violazione dell’art. 437 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., a norma dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 ed, infine, il vizio di motivazione su un fatto controverso, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

9.1. Il motivo si articola in due censure.

E’ infondata la prima censura che si conclude con i quesiti seguenti:

se, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, costituisce violazione del principio iudex peritus peritorum e dell’art. 116 e 196 c.p.c., nonchè dei principi di cui all’art. 2697 c.c., il non aver disposto a fronte di dettagliate censure mosse al c.t.u., nè la rinnovazione della consulenza, nè una richiesta di chiarimenti. Se, in relazione a quanto detto, sussiste il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, quanto all’accertamento dei fatti oggetto di indagini peritali.

Il convenuto ricorrente critica, sulla base delle censure dei C.T.P., le conclusioni cui è pervenuto il giudice di appello, aderendo alle conclusioni del c.t.u., sia in merito all’entità della discarica in relazione all’estensione del fondo (secondo il ricorrente nella misura del 10%) sia in merito all’effettiva esecuzione delle opere previste nel contratto nonchè alla valutazione di dette opere e delle scuderie.

9.2. A parte possibili profili di inammissibilità della censura per non aver riportato i passi della C.T.U. criticati, limitandosi a riportare solo la C.T.P. (Cass. 07/10/2005, n. 19636), va in ogni caso osservato che, come emerge a pag. 9 della sentenza impugnata, sia il C.T.U. sia il Consulente dell’accertamento tecnico preventivo hanno tenuto conto delle osservazioni critiche mosse dai consulenti di parte convenuta. In ogni caso anche la sentenza impugnata si fa carico di tali censure ed anche di quelle mosse con la “perizia asseverata” prodotta dall’appellante, e ritiene motivatamente di non poter aderire alle stesse, ma di dover condividere le conclusioni del c.t.u..

La sentenza, quindi, è immune dai lamentati vizi di violazione di legge e motivazionale, in quanto non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, confutando i rilievi critici della parte oppure dando atto che essi sono stati già esaminati e confutati in modo condivisibile dal c.t.u. (cfr. Cass. 04/05/2009, n. 10222; Cass. 24/04/2008, n. 10688).

Pertanto la censura va rigettata, con la conseguenza che va rigettata anche quella relativa alla mancata rinnovazione della consulenza tecnica.

10.1. Inammissibile è poi la censura, che si conclude con seguente quesito di diritto: Se, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in violazione degli artt. 437 e 112 c.p.c., sussista un vizio di omessa pronunzia per non avere la sentenza statuito in merito alle istanze istruttorie, dedotte in appello. L’inammissibilità deriva dall’aver prospettato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, mentre l’omessa ammissione di mezzi istruttori, anche se dovuta all’omessa pronunzia su tali richieste, integra non un vizio di omessa pronunzia ex art. 112 c.p.c. (che attiene esclusivamente alla mancata statuizione su domande o eccezioni), rilevabile ex art. 360 c.p.c., n. 4, ma si risolve in un vizio di motivazione, ove per effetto di tale mancata ammissione, la motivazione presenti un vizio rilevabile ex art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 9208 del 1995).

10.2. Inoltre, e segnatamente, con riferimento alla lamentata mancata ammissione di prova testimoniale, va dichiarata l’inammissibilità della stessa per mancanza di autosufficienza, non avendo riportato nel ricorso il contenuto di tale mezzo istruttorio. Infatti, qualora, con il ricorso per Cassazione, venga censurata l’impugnata sentenza per mancata ammissione di una prova testimoniale ,è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività del mezzo non ammesso che il ricorrente precisi – ove occorra, mediante integrale trascrizione del capitolato – la risultanza che egli asserisce decisiva e non ammessa, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, il controllo deve essere consentito alla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (Cass. 23.3.2005, n. 6225; Cass. 23.1.2004, n. 1170).

11. Il ricorso va pertanto rigettato.

Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, sostenute dalla resistente, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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