Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12715 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. III, 09/06/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 09/06/2011), n.12715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22565/2006 proposto da:

L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BENOZZO

GOZZOLI 60, presso lo studio dell’avvocato MONTONE Remo, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI OLLOMONT, in persona del Sindaco pro tempore ing. G.

J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 160, presso

lo studio dell’avvocato VECCHIO Federico, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DUJANY ADOLFO giusta delega a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 419/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO –

SEZIONE AGRARIA, emessa il 16/3/2006, depositata il 18/04/2006,

R.G.N. 2798/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato FEDERICO VECCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, l’inammissibilità del ricorso ed in subordine il

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.E., premesso di essere stato ingiunto, con decreto del tribunale di Aosta dell’1.6.2001 al pagamento nei confronti del Comune di Ollomont, a titolo di canoni di affitto agrario per gli anni 1999 – 2000 dell’alpeggio BY, della somma di L. 34800.000, proponeva opposizione avverso tale decreto. In via riconvenzionale chiedeva il rimorso delle somme versate in eccedenza sull’equo canone, nonchè il risarcimento del danno. Il tribunale dichiarava la propria incompetenza. Il Comune riassumeva la causa davanti alla sez. spec. agraria, davanti alla quale con un successivo ricorso il Comune chiedeva anche la risoluzione del contratto agrario, per inadempimento del L..

Il Tribunale riuniva le cause e con sentenza del 19.10.2004 pronunziava la risoluzione del contratto per inadempimento del L., che condannava al pagamento dei canoni scaduti. La Corte di appello di Torino, adita dal L. rigettava l’appello.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il L..

Resiste con controricorso il Comune di Ollomont. Il collegio ha raccomandato una motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso si conclude con i seguenti quesiti di diritto: Se l’eccepita nullità del contratto per violazione di norme inderogabili in materia agraria ricomprenda anche la nullità per la determinazione del canone in natura, L. n. 203 del 1982, ex art. 9.

Se il giudice di 1^ grado nel rito del lavoro deve d’ufficio esaminare ed accertare la validità e l’efficacia del contratto posto dall’attore e fondamento delle domande. Se l’eccezione di nullità del contratto non costituisce un’eccezione in senso tecnico, ma una semplice difesa e come tale può essere proposta mediante motivo di appello anche se non dedotta nel primo grado di giudizio. Se la declaratoria di incostituzionalità delle norme in materia di equo canone di cui alla sentenza della corte cost. 5.7.2002 debba essere riferita anche al divieto di pattuire canoni agrari in natura. Se la pattuizione contrattuale del canone con riferimento ai prezzi dei beni e merci e quindi trasformato in denaro debba considerarsi nulla per violazione di norme inderogabili in materia di equo canone e segnatamente per violazione della L. n. 203 del 1982, art. 9.

1.2. Il secondo motivo di ricorso si conclude con i seguenti quesiti di diritto: Se il giudice di 1^ grado deve d’ufficio esaminare ed accertare la proponibilità ed ammissibilità della domanda giudiziale di risoluzione del contratto agrario. Se l’eccepita carenza di una condizione di proponibilità ed ammissibilità della domanda giudiziale di risoluzione del contratto non costituisce un’eccezione in senso tecnico, ma una semplice difesa e come tale può essere proposta mediante motivo di appello anche se non dedotta nel I giudizio. Se la L. n. 203 del 1982, art. 5, richiede che vi sia corrispondenza tra la contestazione dell’inadempimento in sede stragiudiziale e l’inadempimento dedotto nel giudizio per la risoluzione del contratto.

1.3. Il terzo motivo di ricorso si conclude con i seguenti quesiti di dritto: Se il giudice di I grado deve d’ufficio esaminare ed accertare la determinazione dell’oggetto della domanda giudiziale ex art. 125 c.p.c., e art. 414 c.p.c., comma 1, n. 3. Se l’eccepita indeterminatezza dell’oggetto della domanda giudiziale comporta la nullità del ricorso introduttivo in virtù dell’applicazione analogica degli artt. 163 e 164 c.p.c.. Se l’eccepita indeterminatezza dell’oggetto della domanda giudiziale non costituisce un’eccezione in senso tecnico, ma una semplice difesa, che può essere proposta mediante motivo di appello. Se la nullità del ricorso introduttivo del giudizio di I grado o comunque l’eccepita indeterminatezza dell’oggetto del medesimo, non rilevata dal giudice e non sanata, determina la nullità riflessa della sentenza in applicazione degli artt. 159 e 161 c.p.c..

1.4.11 quarto motivo di ricorso si conclude con i seguenti quesiti di diritto: Se la declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della C.Cost. n. 318 del 2010, relativa alla L. n. 203 del 1982, artt. 9 e 62, spieghi efficacia ex nunc. Se la detta efficacia di incostituzionalità travolga x diritti acquisiti dalle parti in virtù di contratti stipulati ed eseguiti sotto la vigenza delle suddette norme, poi dichiarate incostituzionali. Se la detta efficacia di incostituzionalità travolga i diritti acquisiti dalle pari in virtù di azioni giudiziali introdotte otto la vigenza delle norme, poi dichiarate incostituzionali.

Se, in virtù della dichiarata illegittimità costituzionale dei detti articoli, sia tornata in vigore la disciplina della L. n. 176 del 1978 e n. L. n. 595 del 1979, con la conseguenza che le somme corrisposte dall’affittuario al concedente a titolo di canoni, alle varie scadenze previste dal contratto o dalle consuetudini, hanno l’esclusivo valore di acconti in attesa di calcolare il canone legale e, con esso, gli eventuali conguagli, secondo quanto sarà stabilito da apposita legge, sostitutiva delle norme dichiarate incostituzionali.

2. Il ricorso è inammissibile per mancato rispetto del dettato di cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie per essere stata la sentenza impugnata pubblicata anteriormente all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69.

Il quesito di cui all’art. 366 bis c.p.c., rappresentando la congiunzione fra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, non può esaurirsi nella mera enunciazione di una regola astratta, ma deve presentare uno specifico collegamento con la fattispecie concreta, nel senso che deve raccordare la prima alla seconda ed alla decisione impugnata, di cui deve indicare la discrasia con riferimento alle specifiche premesse di fatto, essendo evidente che una medesima affermazione può essere esatta in relazione a determinati presupposti ed errata rispetto ad altri. Deve pertanto ritenersi inammissibile il ricorso che contenga quesiti di carattere generale ed astratto, privi di qualunque indicazione sul tipo della controversia, sugli argomenti addotti dal giudice “a quo” e sulle ragioni per le quali non dovrebbero essere condivisi (Cass. s.u. 14/01/2009, n. 565).

Segnatamente nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. 1.10.2007, n. 20603; Cass. 18.7.2007, n. 16002).

Nella fattispecie la formulazione dei motivi per cui è chiesta la cassazione della sentenza non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis, c.p.c., poichè i quesiti hanno carattere generale ed astratto, sono privi di qualunque indicazione sul tipo della controversia, sugli argomenti addotti dal giudice “a quo” e sulle ragioni per le quali non dovrebbero essere condivisi. Inoltre nessuno dei motivi relativi ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, contiene una specifica parte destinata alla chiara indicazione del fatto controverso ed all’illustrazione delle ragioni che rendono inidonea la motivazione (in quanto insufficiente, contraddittoria o omessa) a giustificare la decisione (cfr. Cass. S.U. 16.11.2007, n. 23730).

3. Il ricorso va, quindi dichiarato inammissibile. Esistono giusti motivi, segnatamente la mancata formazione di una consolidata giurisprudenza in tema di quesiti di diritto alla data della redazione del ricorso (luglio 2006), per compensare tra le parti le spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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