Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12714 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/06/2020, (ud. 27/03/2019, dep. 25/06/2020), n.12714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3049-2015 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato LUIGI BIAMONTI, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIORGIO MONDINI,

GIANPIETRO QUIRICONI;

– ricorrente principale –

contro

SONY MUSIC ENTERTAINMENT ITALY S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA D’ARA COELI 1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO MARIA

FERRARA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRETEL

ELISABETTA MALMSHEIMER;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 7160/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/10/2014 r.g.n. 2931/12.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 13.10.2014, ha respinto il gravame interposto da S.A., nei confronti della Sony Music Entertainment Italy S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede n. 4397/2012, depositata il 12.3.2012, con la quale è stato rigettato il ricorso del S. – diretto ad ottenere l’accertamento della illegittimità del recesso, per assenza di giusta causa, dal contratto di produzione discografica del 29.7.2002, comunicato dalla BMG Ricordi S.p.A., ora Sony Music Entertainment Italy S.p.A., il 26.5.2005; nonchè la declaratoria dell’inadempimento della società, con conseguente dichiarazione di risoluzione del contratto stesso per colpa di quest’ultima; ed altresì la condanna della medesima società al risarcimento del danno per la mancata percezione dei compensi previsti dal contratto, per la perdita di popolarità e di concrete occasioni di lavoro, da liquidarsi in Euro 2.229.250,000 o nella diversa somma ritenuta di giustizia -; ed, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale della società, il S. è stato condannato al risarcimento del danno, liquidato in misura pari ad Euro 396.002,56, oltre interessi legali sulla somma rivalutata dalla sentenza al saldo, e commisurato alle somme anticipate dalla committente all’artista per l’esecuzione dei dischi oggetto del contratto di produzione;

che per la cassazione della sentenza ricorre S.A. articolando sedici motivi, cui la Sony Music Entertainment Italy S.p.A. resiste con controricorso, spiegando ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi cui ha replicato S. con controricorso;

che sono state comunicate memorie, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nell’interesse di entrambe le parti;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso principale, si denunzia: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455 e 1375 c.c., per dedotta mancata valutazione, da parte della Corte di merito, della non scarsa importanza del preteso inadempimento del S., con riguardo all’interesse dell’altra parte; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455 e 1375 c.c., per mancata considerazione dell’abuso del diritto della società per recesso contrattuale, nonostante l’esatto adempimento, da parte del cantante, delle proprie prestazioni ed omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dal pieno adempimento di tali prestazioni contrattuali; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1375 c.c., per avere i giudici di merito ricondotto alla violazione dell’obbligo di buona fede condotte ad esso estranee, quali la pretesa del cantante di procedere alla incisione del disco in un luogo diverso (Capri) dallo studio, rimesso alla facoltà di scelta della società; la pronuncia di frasi offensive nei confronti della stessa e di condizionamento della prosecuzione dell’esecuzione del contratto a pretese in esso non previste; 4) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia e motivazione sul motivo di gravame relativo alla insussistenza di condotte in violazione dell’obbligo di buona fede ed omesso esame di fatti decisivi, quali la corrispondenza intercorsa tra le parti; 5) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione degli artt. 1387 c.c. e segg. ed, in generale, delle norme e dei principi che regolano la rappresentanza volontaria, per avere i giudici di merito erroneamente imputato al S. condotte in asserita malafede riconducibili esclusivamente al rappresentante F., nonchè omesso esame di uh fatto decisivo, quale il contratto tra questo e la Sony, in difetto di prova di una procura ed altresì con erronea qualificazione del rapporto tra il cantante ed il suo manager, in quanto mero nuncius, i cui comportamenti non potevano essere ascritti al primo; 6) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa pronunzia e motivazione sul motivo di appello relativo alla pretesa condizione alla quale il cantante avrebbe subordinato il proprio adempimento; 7) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa pronunzia e motivazione sul motivo di gravame relativo alla lettera di recesso per giusta causa del 26.5.2005, da cui scaturirebbe la nullità della sentenza; 8) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1455 c.c., per avere i giudici di appello ignorato il principio di immediatezza della contestazione del motivo di recesso o di risoluzione; 9) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1458 c.c., 99 e 112 c.p.c., per la condanna del S., quale conseguenza della risoluzione contrattuale, alla restituzione del compenso percepito, in assenza di domanda; 10) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa pronunzia e motivazione sul motivo di appello relativo all’inadempimento della società all’obbligo di distribuzione del primo disco; 11) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1374 e 1375 c.c., per avere la sentenza ritenuto che la vendita del disco all’estero costituisse circostanza idonea a provare l’adempimento dell’obbligo di distribuzione; 12) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della mail del 17.10.2003 di Sony BMG e dei dati risultanti dai rendiconti di vendita ai fini della verifica dell’adempimento dell’obbligo di distribuzione; 13) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa pronunzia e motivazione sul motivo di appello relativo all’inadempimento di Sony all’obbligo di promozione del primo disco; 14) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 116 c.p.c. per avere la sentenza attribuito rilievo probatorio a documenti contenenti mere dichiarazioni unilaterali della parte; 15) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, quale la localizzazione degli eventi promozionali del disco realizzati da Sony quasi esclusivamente in Italia e, pertanto, non funzionali alla distribuzione all’estero; 16) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa pronunzia e motivazione sul motivo di appello relativo alle pretese cause di insuccesso del disco;

che, con il ricorso incidentale condizionato, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la nullità o ingiustizia della sentenza per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale l’omesso esame della deduzione di tardività dell’eccezione di carenza di poteri di rappresentanza del F.; 2) “sulle domande di risarcimento dei danni formulate dal S.”, erroneamente quantificate dal medesimo;

che i primi tre motivi del ricorso principale – da trattare congiuntamente per ragioni di connessione – non possono essere accolti; ed invero, è da premettere che, nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora si denunzino reciproche inadempienze, occorre procedere alla comparazione del comportamento di entrambe le parti – con accertamento fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientrante nei poteri del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 13627/2017; 10477/2004) -, al fine di stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti, causando il comportamento della controparte, ed altresì della conseguente alterazione del sinallagma;

che, pertanto, la valutazione in ordine alla configurabilità o meno del grave inadempimento che determina la risoluzione del contratto, risolvendosi in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non può essere oggetto di sindacato in questa sede, ove si ravvisi una logica ed adeguata motivazione (v. tra le altre, Cass. nn. 6401/2015; 14755/2007; 14974/2006), come è avvenuto nel caso di specie, in cui la Corte distrettuale, con argomentazioni concise, ma adeguate, anche attraverso richiami frequenti alla sentenza del primo giudice, ha stabilito che il S. non aveva inadempiuto al generale precetto di buona fede che, ai sensi dell’art. 1375 c.c., presiede all’esecuzione del contratto (v. pag. 4 della sentenza impugnata);

che, peraltro, la correttezza (art. 1175 c.c.) e l’obbligo di fedeltà, lealtà e buona fede (art. 1375 c.c.) costituiscono disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e di clausole generali (Generalklauseln), il cui contenuto, elastico ed indeterminato, richiede, nel momento giudiziale e sullo sfondo di quella che è stata definita la “spirale ermeneutica” (tra fatto e diritto), di essere integrato, colmato, sia sul piano della quaestio facti che della quaestio iuris, attraverso il contributo dell’interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza sociale o dal costume o dall’ordinamento giuridico o da regole proprie di determinate cerchie sociali o di particolari discipline o arti o professioni, alla cui stregua poter adeguatamente individuare e delibare, altresì, le circostanze più concludenti e più pertinenti rispetto a quelle regole, a quelle valutazioni, a quei giudizi di valore, e tali non solo da contribuire, mediante la loro sussunzione, alla prospettazione e configurabilità della tota res (realtà fattuale e regulae iuris), ma da consentire inoltre al giudice di pervenire, sulla scorta di detta complessa realtà, alla soluzione più conforme al diritto, oltre che più ragionevole e consona (cfr. Cass., S.U., n. 2572/2012);

che tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica, come in più occasioni sottolineato da questa Corte, e la disapplicazione delle stesse è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge: e, dunque, come innanzi accennato, l’accertamento della ricorrenza, in concreto, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni è sindacabile, nel giudizio di legittimità, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva come nella fattispecie -, ma contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards” conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 25044/15; Cass. n. 8367/2014; Cass. n. 5095/11);

che, quanto alla dedotta violazione della norma censurata sotto il profilo di abuso del diritto, che avrebbe causato al S. un sacrificio sproporzionato ed ingiustificato, si osserva che la formulazione del motivo appare diretta ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede (cfr., tra le altre, Cass. nn. 15885/2018; 10568/2013; 7972/2007); ed inoltre, per ciò che, più in particolare, attiene al vizio sollevato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si osserva che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 13.10.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), , convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare”, in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della pronunzia per mancanza di motivazione”, ma critica una valutazione giuridica. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che il quarto motivo è inammissibile: va, infatti, al riguardo, innanzitutto, rilevato che non è stato prodotto (e neppure indicato come documento offerto in comunicazione nel ricorso per cassazione), nè trascritto, l’atto di gravame, in ordine al quale, si assume che la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunziare sul motivo relativo alla insussistenza di condotte contrarie all’obbligo di buona fede; e ciò, in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (v., ex plurimis, Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti glì elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare, in modo puntuale, la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza, che si risolvono, quindi, in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);

che, per quanto riguarda il dedotto “omesso esame”, valgano le considerazioni innanzi svolte;

che il quinto motivo è inammissibile, perchè, all’evidenza, teso ad ottenere un nuovo esame del merito attraverso una nuova valutazione degli elementi delibatori, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), in quanto “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa, “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. nn. 14541/2014; 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale condivisibile dal punto di vista logico-giuridico, anche in ordine alla valutazione dei mezzi istruttori addotti dalle parti;

che il sesto motivo non può essere accolto per le considerazioni svolte in ordine al quarto motivo, dovendosi, in questo caso, altresì precisare che, comunque, la Corte di merito, a pag. 4 della sentenza impugnata, ha valutato, seppure concisamente, la condotta complessiva della parte nell’esecuzione della propria prestazione secondo buona fede;

che il settimo mezzo di impugnazione non può essere accolto, in quanto i giudici di seconda istanza, a pag. 5 della sentenza, hanno fornito una motivazione congrua circa “il recesso per giusta causa” e, pertanto, il motivo esorbita da una appropriata censura in base ai vizi di error in procedendo ed omesso esame denunziati, risolvendosi in una mera contrapposizione valutativa rispetto al percorso decisionale della Corte;

che l’ottavo mezzo di impugnazione è inammissibile, per l’assoluta inconferenza della questione, riguardante la illegittimità della giusta causa di recesso, rigettata in primo grado e di cui è stata accertata la formazione del giudicato dalla Corte di merito;

che il nono motivo non è fondato; al riguardo, va premesso che, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di “omessa pronunzia” o di “ultrapetizione” – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 -, sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008); in particolare, per quanto attiene al vizio di “ultrapetizione”, dedotto dal S., la giurisprudenza di legittimità ha, in più occasioni, precisato che lo stesso ricorre nell’ipotesi in cui “il giudice di merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato)” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 9452/2014; 455/2011; 16809/2008);

che tale vizio non si profila nel caso di specie, in cui, nella sostanza, viene in considerazione l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda; attività, quest’ultima, che integra un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in Cassazione, se non sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (cfr., tra le molte, Cass. nn. 7932/2012; 20373/2008). Il giudice, infatti, ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificando i fatti costitutivi e fondandosi su una realtà fattuale non dedotta o allegata in giudizio. Nella fattispecie, invece, i giudici di merito non hanno introdotto nel processo una causa petendi diversa da quella enunciata dalla parte a sostegno della domanda, ma, facendo corretta applicazione del principio iura novit curia di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, da porre in immediata correlazione con quello sancito al precedente articolo, ed in linea con quanto richiesto dalla società nella domanda riconvenzionale (v pag. 5, primi due cpv, della sentenza impugnata), hanno ritenuto che la sentenza di primo grado fosse “chiara quando, in motivazione, afferma dovere essere dichiarata la risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c. con conseguente condanna al risarcimento del danno, “pari a”, espressione seguita dalla sommatoria delle voci anticipate dalla società”;

che il decimo, l’undicesimo, il dodicesimo, il tredicesimo, il quattordicesimo, il quindicesimo ed il sedicesimo motivo – da trattare congiuntamente perchè connessi – sono inammissibili, in quanto contengono, anche laddove articolati come violazione di legge, contestazioni della valutazione probatoria con la sollecitazione di un riesame del merito, insindacabile in sede di legittimità, come, ad esempio, la valutazione sulla configurabilità o meno del grave inadempimento determinante la risoluzione del contratto, che, appunto, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, ove, come nella fattispecie, sia stato adeguatamente e logicamente motivato (cfr., tra le molte, Cass. nn. 6401/2015; 14755/2007; 14974/2006, citt.); al riguardo, valgano, altresì, le considerazioni svolte relativamente ai primi tre motivi;

che, infine, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr., per tutti, Cass., SS.UU., 15486/2017), “La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo lamentando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli. A tanto va aggiunto che, in linea di principio, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (tra le varie, Cass. n. 24434/2016), dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il fatto storico rilevante, l’omesso esame di elementi probatori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., SS.UU. n. 8053/2014”;

che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso principale va respinto;

che dal rigetto del ricorso principale discende l’assorbimento di quello incidentale condizionato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e sono dunque da porre a carico del ricorrente principale;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei termini di cui al dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; assorbito il ricorso incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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