Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12714 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. III, 09/06/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 09/06/2011), n.12714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20208/2006 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO VENTURI

61, presso lo studio dell’avvocato STILLITANO GIULIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MANCONI Antonio Piero Sebastiano giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.P.;

– intimato –

sul ricorso 20724/2006 proposto da:

A.A.S.D., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ARRU PIERINO ROSARIO con studio

in 07100 SASSARI, PIAZZA D’ITALIA 26 giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

A.P.S.;

_- intimato –

sul ricorso 23432/2006 proposto da:

A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO 9,

presso lo studio dell’avvocato NUZZO MARIO, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine del controricorso e ricorso

incidentale unitamente all’avvocato A.P. difensore di sè

medesimo;

– ricorrente –

contro

A.A., A.A.S.D.;

– intimati –

sul ricorso 23433/2006 proposto da:

A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO 9,

presso lo studio dell’avvocato NUZZO MARIO, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine del controricorso e ricorso

incidentale, unitamente all’avvocato A.P. difensore di sè

medesimo;

– ricorrenti –

contro

A.A., A.A.S.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 340/2005 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, SEZIONE AGRARIA, emessa il 31/5/2005,

depositata il 24/06/2005, R.G.N. 416/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato MARIO NUZZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del 2^, assorbiti

gli altri; inammissibile il 23433/2006.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 12 dicembre 2001 A.P. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Sassari, sezione specializzata agraria, i propri fratelli A.A.S.D. e A.A..

Il ricorrente, premesso di condurre in affitto alcuni fondi, per una superficie complessiva di ettari 200, in agro di (OMISSIS) di proprietà della comune genitrice A.C. G., ha riferito che a seguito della morte della concedente (avvenuta l'(OMISSIS)) e dell’acquisto della piena proprietà di tali fondi da parte degli aventi causa della defunta (esso concludente, nonchè i convenuti e, ancora, A.L., M.L. e gli eredi di A.G.), le parti avevano proceduto allo scioglimento della comunione dei beni relitti dalla de cuius, con assegnazione delle singole porzioni e autorizzazione a ciascun assegnatario di immettersi nella porzione di propria spettante (ordinanza 20 novembre 1991 del giudice istruttore del tribunale di Sassari), sì che esso concludente il 1 giugno 1992 era stato estromesso dal godimento dei terreni in questione.

Con sentenza 12 gennaio 1999 passata in cosa giudicata – peraltro – ha esposto ancora l’attore, il tribunale di Sassari, sezione specializzata agraria, ha accolto l’opposizione proposta da esso concludente alla esecuzione per rilascio, dichiarando che i resistenti non avevano diritto a procedere a esecuzione forzata per il rilascio, stante la esistenza di validi e efficaci contratti di affittanza agraria, costituenti titoli per la sua detenzione da parte di esso A.P., opponibile ai proprietari.

Tutto ciò premesso l’attore ha chiesto la condanna dei convenuti, in via tra loro solidale, al risarcimento dei danni – da liquidare nella somma di L. 2 miliardi, o in quella accertando in causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria – per essere gli stessi venuti meno – con riferimento al periodo tra il 1 giugno 1992 e l’11 novembre 1997 (data di cessazione della affittanza) – all’obbligo di mettere a sua disposizione i terreni come da contratti stipulati con la comune dante causa in data 29 settembre 1979, 25 marzo 1981, 21 febbraio 1980 e 21 gennaio 1984.

Costituitisi in giudizio i convenuti hanno resistito alla avversa domanda eccependone in limine la inammissibilità atteso che la stessa, risolvendosi in una richiesta di condanna per responsabilità processuale aggravata, doveva essere proposta nel giudizio di opposizione all’esecuzione, a norma dell’art. 96 cod. proc. civ. e facendo, presente, nel merito, comunque – in via principale – che la pretesa era infondata sia in quando indimostrata sia prescritta ex art. 2947 cod. civ., comma 1, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, in via riconvenzionale, che la temerarietà della pretesa giustificava la condanna dell’attore al risarcimento dei danni da liquidare in Euro diecimila.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adita sezione ha rigettato sia la domanda principale che quella riconvenzionale.

Gravata tale pronunzia da A.P., nel contraddittorio dei convenuti che – separatamente costituitisi – hanno chiesto il rigetto del gravame ribadendo la richiesta di condanna della controparte ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., la Corte di appello di Sassari, sezione specializzata agraria, con sentenza 31 maggio – 24 giugno 2005 ha parzialmente accolto l’appello e, per l’effetto, ha condannato A.A.S.D. e A.A. al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, della somma rispettivamente di Euro 3.465,71 e di Euro 14.028,29 oltre rivalutazione monetaria calcolata sui singoli importi come individuati nella seconda relazione del consulente tecnico d’ufficio 18 gennaio 2005 in base ai coefficienti Istat corrispondenti alla scadenza della annata agraria a cui i singoli importi si riferiscono, nonchè gli interessi legali decorrenti sui singoli importi annuali, via via rivalutati/anno per anno, dalla scadenza delle diverse annate agrarie e cui detto importi si riferiscono fino alla data della decisione e quelli ulteriori sulle somme capitali rivalutate all’attualità dalla data della decisione fino al saldo.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 22 giugno 2006 – A.A., affidato a otto motivi (R.G. 20208/06) cui resistono con controricorso e ricorso incidentale, 23 giugno 2006, affidato a 5 motivi, A. A.S.D. (R.G. 20724/06), e, con atto 31 luglio 2006 affidato a due motivi, A.P. (R.G. 23432/06), che ha proposto altresì, altro ricorso incidentale (R.G. 23433/06).

Tutte le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza, devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

2. Come assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – da cui, peraltro, senza alcuna motivazione, totalmente prescinde la difesa del ricorrente A.P. – la parte che abbia già proposto ricorso per cassazione (sia esso principale o incidentale) contro alcune delle statuizioni della sentenza impugnata, nel rapporto con un determinato avversario, non può successivamente presentare un nuovo ricorso con riguardo ad altre pronunce sul medesimo rapporto ovvero fondato su nuovi motivi, non presenti nel primo, atteso che l’ordinamento non consente la reiterazione od il frazionamento dell’iniziativa impugnatoria in atti separati, alla stregua del principio generale della cosiddetta consumazione dell’impugnazione, senza che il relativo divieto trovi deroga nelle disposizioni di cui all’art. 334 cod. proc. civ., le quali operano soltanto in favore della parte che, prima dell’esercizio del potere impugnatorio dell’altro contendente, abbia fatto una scelta di acquiescenza alla sentenza impugnata (in termini, ad esempio, Cass. 7 luglio 2010, n. 16016, nonchè Cass. 14 novembre 2006, n. 24219).

Pacifico quanto precede è palese che il ricorso incidentale proposto da A.P. in ruolo al 23433/06 R.G., proposto successivamente al ricorso – a firma dalla stessa parte e nei confronti della stessa sentenza – in ruolo al n. 23432/06 R.G. deve essere dichiarato inammissibile.

3. Sempre in limine il Collegio osserva che giusta la testuale previsione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2, le restanti disposizioni del capo primo dello stesso decreto legislativo diverse da quelle indicate nel precedente comma 1 e, tra queste, per quanto rilevante al fine del decidere, le nuove disposizioni in tema di ricorso per cassazione si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere della data di entrata in vigore del presente decreto, cioè dal 2 marzo 2006.

Certo quanto sopra, pacifico che nella specie la sentenza impugnata è stata pubblicata il 24 giugno 2005, è palese la inapplicabilità – al presente ricorso – tra l’altro, della disciplina di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. e sono – di conseguenza – irrilevanti i quesiti di diritto che la difesa sia della ricorrente principale che del ricorrente incidentale A.P. hanno formulato al termine dei vari motivi in cui si articolano i loro ricorsi.

4. Con il primo motivo la ricorrente principale censura la sentenza impugnata lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 83 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per avere il giudice di appello affermato essere priva di rilievo pratico la accertata nullità della procura ad litem rilasciata per il grado d’appello dall’appellante all’avv. Nuzzo per mancanza della sottoscrizione del mandante atteso che A.P. nel giudizio di primo grado aveva già rilasciato al proprio difensore avv. Nuzzo mandato a rappresentarlo e difenderlo nel presente giudizio e, quindi, anche nella fase di appello, atteso, da un lato, che il mandato ricevuto per il primo grado non era stato richiamato nell’atto di appello, dall’altro, che la parola giudizio è sinonimo, sic et sempliciter di grado del processo.

5. Il motivo è infondato.

Deve ribadirsi – infatti – in conformità a quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice:

– da un lato, che la nullità della procura conferita per il grado di appello non comporta la nullità della costituzione in appello e l’inammissibilità del gravame, ove la parte abbia comunque rilasciato in primo grado una procura alle liti valida per tutti i gradi del giudizio, perchè il richiamo nell’atto di impugnazione ad una procura invalida non comporta di per sè una implicita rinuncia ad avvalersi dell’altra, precedentemente conferita (Cass. 10 dicembre 2009, n. 25810; Cass. 14 ottobre 2005, n. 19975; Cass. 5 giugno 2003, n. 8985);

– dall’altro, che la procura ad litem al difensore rilasciata in primo grado impiegando l’espressione per il presente giudizio, o altra equivalente, vale ad abilitare il difensore medesimo altresì alla proposizione dell’appello, senza necessità del conferimento di un’ulteriore delega, quando dal contesto dell’atto non risulti l’esistenza di elementi limitativi (in termini, Cass. 5 maggio 2010, n. 10813, nonchè Cass. 2 4 ottobre 2010, n. 21696 e Cass. 13 novembre 2009, n. 24092, tra le tantissime).

Essendosi i giudici a quibus puntualmente attenuti ai riferiti insegnamenti giurisprudenziali è palese – come anticipato – la manifesta infondatezza del motivo in esame.

6. In conseguenza del rigetto di tale motivo rimane assorbito (per carenza di interesse) il primo motivo del ricorso incidentale di A.P. (e con il quale si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 86 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, atteso che esso A. è stato – in sede di merito – unitamente all’avv. Nuzzo, procuratore e difensore di. se medesimo, ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ.).

7. Come accennato in parte espositiva, andando di contrario avviso, rispetto a quanto ritenuto dal primo giudice, la Corte di appello di Cagliari ha pur se parzialmente accolto la domanda di danni proposta da A.P. nei confronti di A.A.S.D. e di A.A..

Hanno, in particolare, quei giudici osservato, al riguardo:

– correttamente A.P. ha proposto domanda di risarcimento danni per responsabilità processuale aggravata (ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., comma 2) nei confronti dei congiunti A. A. e A.A.S.D. in un giudizio diverso, rispetto a quello dallo stesso A.P. introdotto nei confronti degli stessi convenuti, avente a oggetto la opposizione alla esecuzione intrapresa da costoro, atteso che al momento della opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., comma 1, l’esecuzione non era ancora iniziata, il danno non si era verificato e, pertanto, alcuna domanda in merito poteva essere dispiegata, se non tardivamente, e, quindi, a esecuzione avvenuta, viste le preclusioni di cui all’art. 180 cod. proc. civ., e segg.;

– ciò che ha cagionato i danni di cui A.P. ha chiesto il ristoro non è stata l’intimazione del precetto – che non produce notoriamente alcun danno – bensì l’avvenuta sua estromissione da alcuni dei terreni pertoccati ai suoi fratelli, in sede di scioglimento della comunione ereditaria e, dunque, la violazione da parte dei medesimi, dell’obbligo loro incombente, quali eredi della concedente C.G. ad essa subentrati nei contratti di affittanza dedotti in controversia, di garantire all’affittuario il pacifico godimento dei terreni stessi, sì che quello denunciato dall’ attore è un inadempimento contrattuale e non la violazione, da parte dei convenuti, della ordinaria diligenza in sede di esecuzione del provvedimento di assegnazione delle quote.

8. La ricorrente principale censura la sentenza impugnata nella parte de qua con il secondo motivo con il quale denunzia violazione dell’art. 96 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Intimamente connesso a tale motivo è il primo motivo del ricorso incidentale di parte A.A.S.D. che – sempre con riguardo allo stesso passaggio della sentenza impugnata – lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 96 cod. proc. civ. responsabilità aggravata e art. 615 opposizione all’esecuzione forma dell’opposizione. Art. 2043 cod. civ..

9. Tali motivi sono fondati e meritevoli di accoglimento, atteso che nessuna delle due argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata a fondamento della statuizione in esame è conforme a diritto.

9.1. Al riguardo, in limine, si osserva che:

giusta la testuale formulazione dell’art. 96 cod. proc. civ., comma 2, da cui singolarmente totalmente prescinde la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione il giudice che accerta la inesistenza del diritto per cui è stata … iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente che ha agito senza la normale prudenza …;

– è incontroverso come del resto da atto la stessa sentenza impugnata, in margine alla seconda invocata ratio decidendi che nella specie A.P. ben lungi dal denunciare la avvenuta intimazione dell’atto di precetto (a istanza delle controparti) e dal pretendere il ristoro dei danni conseguenti a tale intimazione, si è sempre doluto della avvenuta sua estromissione da alcuni dei terreni pertoccati ai suoi fratelli .. in sede di scioglimento della comunione ereditaria esistente tra gli stessi;

– non si dubita, contemporaneamente (come evidenziato a p. 4, righe 6 e seguenti della sentenza impugnata), da un lato, che detta estromissione, con l’immissione dei proprietari istanti nel possesso dei fondi, si è realizzata perchè in data 1 giugno 1992 era stata portata a compimento la procedura esecutiva minacciata con l’atto di precetto, dall’altro, che in conseguenza di ciò l’azienda agricola gestita da A.P. era andata completamente distrutta, con i gravissimi danni reclamati in questo giudizio da A.P.;

– con sentenza, passata in cosa giudicata, 2 dicembre 2998 – 12 gennaio 1999, il tribunale di Sassari, sezione specializzata agraria, ha accolto l’opposizione all’esecuzione proposta da A.P. nei confronti di A.A. e A.A.S.D. dichiarando che questi ultimi non avevano diritto a procedere a esecuzione forzata per il rilascio dei terreni stante la esistenza di validi e efficacia contratti di affittanza, costituenti titolo della .. detenzione, opponibile ai proprietari.

Non controverso, in linea di fatto, quanto sopra esposte, è palese, a giudizio di questa Corte:

– da una parte, che i danni, in dettaglio elencati nell’atto introduttivo di primo grado da parte di A.P. e di cui è chiesto il risarcimento in questo giudizio, sono giusta la stessa prospettazione dell’attore in primo grado una conseguenza della condotta tenuta da A.A. e A.A.S.D. allorchè hanno portato a termine una procedura esecutiva ancorchè non avessero diritto a procedere a esecuzione forzata;

– dall’altra, che – come correttamente evidenziato dai primi giudici – si è a fronte a una fattispecie totalmente sussumibile nella previsione normativa di cui all’art. 96 cod. proc. civ., comma 2, sopra trascritto.

9.2. Accertato quanto sopra deve evidenziarsi, ante omnia, la assoluta erroneità – in diritto – dell’affermazione – contenuta nella sentenza impugnata – secondo cui A.P. aveva proposto un’opposizione al precetto di rilascio e non quindi una un’opposizione all’esecuzione forzata (che all’epoca non era appunto ancora iniziata) e che di conseguenza non poteva il medesimo azionare alcuna pretesa risarcitoria in relazione a un danno che non si era ancora verificato, nè poteva, una volta compiuta l’esecuzione forzata, introdurre la domanda di risarcimento danni in un giudizio già iniziato, noto essendo che le domande devono essere introdotte nei termini di cui all’art. 180 cod. proc. civ., comma 2.

Al riguardo, infatti, deve ribadirsi, in conformità – del resto – a una giurisprudenza assolutamente consolidata da cui, singolarmente, totalmente prescinde la sentenza impugnata che questa Corte regolatrice è costante, da lustri nell’affermare che la domanda di risarcimento dei danni per responsabilità aggravata prevista dall’art. 96 cod. proc. civ., comma 2, non attenendo al merito della controversia (i cui termini, con riferimento all’oggetto e alle causae petendi delle domande rispettivamente proposte dalle parti, restano immutati secondo la fissazione che deriva dagli atti iniziali), può essere formulata per la prima volta anche all’udienza di precisazione delle conclusioni, in quanto la parte istante è in grado al termine dell’istruttoria di valutarne la fondatezza e di offrire al giudice gli elementi per la quantificazione del danno subito (in questo senso, ad esempio, Cass. 7 luglio 2009, n. 15964;

Cass. 1 ottobre 2003, n. 14583; Cass. 18 marzo 2002, n. 3941; Cass. 1 febbraio 1974, n. 282, che sottolinea come una tale domanda, per il suo stesso oggetto, costituisce una integrazione della domanda principale formulata dalla stessa parte e, pertanto, non importa alcuna alterazione del tema essenziale della lite, ma concerne soltanto le conseguenze che possono derivare dalla risoluzione della controversia inizialmente portata all’esame del giudice, sì che non si verifica quindi alcuna violazione dell’art. 183 cod. proc. civ., quando questa domanda viene formulata per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni, nè occorre, affinchè il giudice decida su di essa, che l’altra parte accetti esplicitamente od implicitamente il contraddittorio su tale istanza; Cass. 5 maggio 1967, n. 872; Cass. 8 ottobre 1965, n. 2101).

9.3. Sempre al riguardo – ancora – deve ribadirsi che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice è assolutamente costante nell’affermare che la domanda di risarcimento del danno da responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 cod. proc. civ. può essere proposta solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della detta responsabilità e del danno (Cass. 23 dicembre 2010, n. 26004; Cass. 4 giugno 2007, n. 12952, tra le tantissime).

In altri termini, la domanda diretta all’accertamento della responsabilità aggravata della controparte, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., rientra nella competenza funzionale, sia per l’an che per il quantum, del giudice che è competente a conoscere della domanda principale (Cass. 22 maggio 2001, n. 6967; Cass. 12 novembre 2003,n. 17016) il quale è il solo in grado di valutare la rilevanza e la consistenza patrimoniale di un illecito realizzato nell’ambito del processo svoltosi davanti a lui (Cass. 14 aprile 2000, n. 4816).

Non solo perchè nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale, o la assenza di normale prudenza, meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume temeraria, ma anche e soprattutto perchè la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. 4 giugno 2007, n. 12952; Cass. 26 novembre 1992,n. 12642).

In applicazione dei principi che precedono – del resto – non si dubita, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice:

– da un lato, che la domanda ex art. 96 cod. proc. civ., comma 2, in relazione a provvedimenti adottati nel corso del giudizio di primo grado deve essere proposta in detto grado di giudizio, dovendosi al fine della valutazione della tempestività della stessa avere riguardo al momento del fatto generativo del danno (cioè al momento in cui il comportamento asseritamente dannoso è stato posto in essere) e non a quello, successivo, dell’accertamento della inesistenza del diritto a tutela del quale il provvedimento è stato richiesto, adottato e posto in esecuzione (Cass. 14 maggio 2007, n. 10993);

– dall’altro, che, nel caso di esecuzione della sentenza di primo grado, iniziata e compiuta senza la normale prudenza, l’istanza risarcitoria può e deve essere proposta nel corso del giudizio di appello senza che sia opponibile alcuna preclusione (Cass. 12 marzo 2002, n. 3573; Cass. 17 febbraio 1982, n. 996), giacchè in tale ipotesi risulta evidente che la condotta imprudente è successiva alla conclusione del giudizio di primo grado, sicchè la relativa domanda non potrebbe essere proposta altro che successivamente al comportamento processuale dannoso.

9. 4. Con specifico riferimento alla seconda delle invocate dalla sentenza impugnata rationes decidendi si osserva, infine, che l’art. 96 cod. proc. civ., disciplina tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali.

La stessa si pone con carattere di specialità sia rispetto all’art. 2043 cod. civ., sia nei confronti dell’art. 1176 cod. civ..

La responsabilità processuale aggravata (ad integrare la quale è sufficiente, nelle ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 96 citato, la colpa lieve, come per la comune responsabilità aquiliana), pertanto, pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina dell’art. 96 cod. proc. civ., nè è configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (tra le tantissime, Cass. 26 novembre 2008, n. 28226; Cass. 24 luglio 2007, n. 16308; Cass. 1 aprile 2005, n. 6895; Cass. 17 ottobre 2003, n. 15551).

Quindi, stante la specialità della previsione contenuta nell’art. 96 cod. proc. civ., rispetto a qualsiasi ipotesi di responsabilità, ove un danno sia conseguenza diretta di una condotta tenuta nel processo -conte ad esempio, nella eventualità il danno lamentato derivi da una esecuzione forzata compiuta senza la normale prudenza in assenza del relativo diritto – è precluso al danneggiato sollecitare una tutela diversa da quella garantitagli dall’art. 96 cod. proc. civ. e invocare di conseguenza, che la condotta tenuta da controparte integra un illecito extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ., o, in alternativa, un inadempimento contrattuale.

9.5. Non essendosi i giudici del merito attenuti ai principi di diritto sopra esposti, in accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale di A.A. S.D. la sentenza impugnata deve essere cassata, con assorbimento dei restanti motivi dei detti ricorsi nonche del secondo motivo del ricorso incidentale di A.P. (con il quale la sentenza impugnata è censurata, per asserite supposte violazioni di norme del procedimento, poste in essere dalla corte di appello nel non avere accolto integralmente la domanda risarcitoria proposta).

Non essendo, peraltro, necessari accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito, con rigetto dell’appello proposto da A. P. avverso la sentenza del tribunale di Sassari, sezione specializzata agraria 11 novembre 2002, atteso che correttamente il primo giudice, preso atto che la domanda risarcitoria fatta valere in questa sede da A.P. doveva essere fatta valere inderogabilmente nel giudizio di opposizione all’esecuzione proposto dallo stesso A.P. nei confronti dei propri fratelli, ha rigettato la domanda attrice.

10. Attesi i rapporti tra le parti, la singolarità della fattispecie e la parziale novità di alcune delle questioni dibattute ritiene il collegio sussistano giusti motivi onde disporre, tra le parti, la totale compensazione delle spese del giudizio di appello nonchè di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi;

dichiara inammissibile il ricorso 23493/06 R.G:;

rigetta il primo motivo del ricorso principale (20208/06 R.G.) e dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale 23432/06 R.G.;

accoglie il secondo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale 20724/06 R.G. e dichiara assorbiti i restanti motivi degli stessi ricorsi nonchè il secondo motivo del ricorso incidentale 23432/06 R.G.;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti;

decidendo nel merito rigetta l’appello proposto da A.P. avverso la sentenza 11 novembre 2002 del tribunale di Sassari, sezione specializzata agraria;

compensa tra le parti le spese del giudizio di appello e di questa fase di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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