Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12713 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/06/2020, (ud. 27/03/2019, dep. 25/06/2020), n.12713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2971-2015 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO

32, presso lo studio dell’avvocato NICOLO’ SCHITTONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato CALOGERO IGNAZIO DIMINO;

– ricorrente –

contro

A.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato ALOISIA BONSIGNORE,

rappresentato e difeso dall’avvocato TOMMASO GASPARE MARIA

BONSIGNORE;

– controricorrente –

e contro

A. SUPERMERCATI DI A.A. & C. S.N.C., IN

LIQUIDAZIONE, A.A., GROUPAMA ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2638/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 16/01/2014 R.G.N. 2711/2010.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Palermo, con sentenza depositata in data 16.1.2014, ha accolto parzialmente il gravame interposto da A. Supermercati di A.A. & C. S.a.s., in liquidazione, in persona del liquidatore pro-tempore, A.A., e da A.N., nei confronti di S.G. e di Groupama Assicurazioni S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale di Sciacca n. 658/2009, resa il 25.11.2009, con la quale, in accoglimento della domanda del lavoratore, era stata dichiarata la responsabilità civile della società datrice, nonchè del socio accomandatario A.A. e del socio accomandante A.N. per l’infortunio sul lavoro occorso al S. il 21.12.2003 e, per l’effetto, i resistenti erano stati condannati, in solido, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dal dipendente, commisurati ad una percentuale invalidante del 60% e liquidati in complessivi Euro 712.246,83, una quota dei quali quantificata in Euro 331.346,37 – posta direttamente a carico della Groupama Assicurazioni S.p.A., quale compagnia assicuratrice per la responsabilità civile;

che, pertanto, in parziale riforma della sentenza gravata, la Corte territoriale ha condannato la società datrice ed A.A., quale socio illimitatamente responsabile, in solido, al risarcimento del danno patito dal S., da quantificare nella somma di Euro 687.731,96, già attualizzata; ha rigettato la domanda proposta nei confronti di A.N. e, conseguentemente, ha annullato la condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, pronunziata nei confronti di quest’ultimo, confermando, nel resto, la sentenza impugnata;

che per la cassazione della sentenza ricorre S.G. sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso A.N.; che la A. Supermercati di A.A. & C. S.a.s., in liquidazione, A.A. e la S.p.A. Groupama Assicurazioni non hanno svolto attività difensiva;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c. e si deduce che “nel primo scritto difensivo ex art. 416 c.p.c…. il convenuto A.N. non ha preso posizione in maniera precisa sulla sua qualità di semplice socio accomandante, estraneo alla gestione della società, da contrapporre a quella di titolare della A. Supermercati s.a.s., così come detta contestazione e/o presa di posizione non è avvenuta nel procedimento penale, ove A.N., quale titolare dell’ A. Supermercati s.a.s. è stato tratto in giudizio…”; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 116,444 e 445 c.p.c., perchè nella sentenza impugnata si esclude la responsabilità di A.N.’, in quanto “semplice socio accomandante dell’ A. Supermercati s.a.s.”, senza alcun riferimento alla sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., pronunziata nei confronti del medesimo per le gravissime lesioni occorse al dipendente a seguito dell’infortunio sul lavoro di cui è rimasto vittima, “equiparabile ad una sentenza di condanna”, costituente, comunque, elemento di prova importante, per disattendere il quale occorre argomentare adeguatamente; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per asserita “erronea compensazione integrale delle spese dei due gradi di giudizio tra S.G. ed A.N.”, in dipendenza del rigetto della domanda risarcitoria nei confronti di quest’ultimo, sul presupposto della insussistenza della responsabilità dè medesimo;

che il primo motivo non è meritevole di accoglimento; al riguardo, va, innanzitutto, osservato che lo stesso presenta profili di genericità, non essendo stata prodotta (e neppure indicata tra i documenti offerti in comunicazione nel ricorso per cassazione), nè trascritta, la memoria di costituzione nella quale si assume che A.N. non avrebbe preso una precisa posizione “circa la sua qualità di semplice socio accomandante estraneo alla gestione della società”: e ciò, in violazione del principio di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – più volte ribadito da questa Corte -, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza, che si risolvono, quindi, in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/201; 80/2011);

che, ciò premesso, va, comunque, sottolineato che l’attribuzione della qualità giuridica (implicante una qualificazione valutativa) non può considerarsi “fatto” acquisito solo per la mancanza di contestazione – con esonero, per la controparte, dall’onere della prova -, quale conseguenza prevista dalla omessa precisa presa di posizione del convenuto ex art. 416 c.p.c. (cfr., ex multis, Cass. nn. 6014/2018; 12664/2012; 86/2012; 11477/2010);

che neppure il secondo motivo può essere accolto: premesso, infatti, che non è stata prodotta (e neppure indicata tra i documenti offerti in comunicazione nel ricorso per cassazione), nè trascritta, la sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p., in violazione del principio di specificità – per la qual cosa, valgono, anche per il secondo mezzo di impugnazione, le considerazioni innanzi svolte al riguardo -; si osserva che là sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., pur non implicando un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile, contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità (art. 445 c.p.p.) di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza argomentare adeguatamente (cfr., tra le altre, Cass. nn. 13034/2017; 9456/2013; 23263/2011);

che, comunque, nella fattispecie, i giudici di seconda istanza (a pag. 2 della sentenza impugnata) hanno dato atto dell’accertamento compiuto dal Tribunale, sulla scorta essenzialmente della sentenza penale di patteggiamento, in ordine alla responsabilità anche di A.N., ed hanno disatteso quell’accertamento reputando – con una argomentazione sintetica, ma adeguata – che non fosse sufficiente, per affermare l’utile gestione ai fini della sussistenza della responsabilità ex art. 2320 c.c. del socio accomandante A.N., l’unica circostanza accertata in sede penale della presenza in azienda al momento dell’infortunio di cui si tratta;

che il terzo motivo è inammissibile, poichè – anche a prescindere dal fatto che nella sentenza impugnata non è stata disposta “la compensazione integrale delle spese dei due gradi di giudizio tra S.G. ed A.N.”, come, invece, dedotto dal ricorrente -, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di legittimità, la statuizione sulle spese di lite è sindacabile in questa sede esclusivamente nell’ipotesi in cui le stesse vengano poste a carico della parte totalmente vittoriosa (la qual cosa non è avvenuta nella fattispecie) ed esulando dal potere di controllo della Suprema Corte la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nel caso di soccombenza reciproca che in quello in cui sussistano altri giusti motivi, in quanto tale valutazione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24502/2017; 8421/2017; 15317/2013);

che, per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va respinto; che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, in favore di A.N., seguono la soccombenza; che nulla va disposto per le spese nei confronti della A. Supermercati di A.A. & C. S.a.s., in liquidazione, della S.p.A. Groupama Assicurazioni e di A.A., rimasti intimati;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore di A.N., liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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