Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12712 del 05/06/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 12712 Anno 2014
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

ORDINANZA
sul ricorso 10734-2012 proposto da:
TESFAGHIORGHIS HIDAT, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato
GIORGIO ANTONINI, che la rappresenta e difende, giusta delega a
margine del ricorso;
– ricorrente contro
TABORRA IOLANDA quale erede di Neri Lucia, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 163, presso lo studio
dell’avvocato ASTA PIETRO, che la rappresenta e difende, giusta
procura speciale in calce al ricorso notificato;
– controricorrente avverso la sentenza n. 504/2011 della CORTE D’APPELLO di
ROMA dell’8.2.2011, depositata 1’8/03/2011;

Data pubblicazione: 05/06/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ANNAMARIA
AMBROSIO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Giorgio Antonini che si riporta ai
motivi del ricorso;

scritti.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
«1. Con sentenza n. 504 in data 08.03.2011 la Corte di appello di
Roma ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da Hidat
Testaghiorghis nei confronti di Iolanda Tamborra avverso la sentenza
del Tribunale di Roma n.22625/2005 di rigetto della domanda
dell’appellante di determinazione del canone legale relativo
all’immobile in Roma, via della Rimessola n. 8.
La Corte territoriale — dato atto della costituzione dell’appellata, che
aveva chiesto il rigetto dell’appello – ha motivato la declaratoria di
improcedibilità dell’appello, richiamando la decisione delle SS.UU. n.
20604 del 2008 e osservando che l’appellante non aveva rispettato il
termine di dieci giorni, previsto dall’art. 435 co. 2 cod. proc. civ..
2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione
Hidat Testaghiorghis formulando due motivi: a) violazione e falsa
applicazione dell’art. 435 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.)
con riguardo al mancato rispetto del termine di 10 gg. per la notifica
del ricorso in appello, seppure con il rispetto del termine minimo di gg.
25 prima dell’udienza; b) violazione e falsa applicazione degli artt. 384
e 101 cod. proc. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.).
Iolanda Tamborra ha resistito con controricorso.

Ric. 2012 n. 10734 sez. M3 – ud. 07-05-2014
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udito per la controricorrente l’Avvocato Pietro Asta che si riporta agli

3. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in
applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto
appare destinato ad essere accolto il primo motivo, assorbito il
secondo.
3.1. Il suddetto motivo di ricorso risulta manifestamente fondato

secondo cui nel rito del lavoro e, conseguentemente, nel c.d. rito
locatizio, al quale 447 bis cod. proc. civ. estende le sue norme in quanto
applicabili, il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la
notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di
discussione (art. 435, comma 2, c.p.c.) non è perentorio e, pertanto, la
sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito
(come nel caso all’esame) all’appellato lo .spatium deliberandi non
inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione della
causa (art. 435, comma 3, c.p.c.), perché egli possa apprestare le
proprie difese (Cass. 14 luglio 2011, n. 15590; 15 ottobre 2010, n.
21358). Invero — come evidenziato in specie nella sentenza
n.21358/2010 — l’art. 435 c.p.c., comma 2, alla stregua del quale
“l’appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica
del ricorso e del decreto all’appellato”, deve essere letto ed interpretato in
relazione al contenuto del successivo comma 3 dello stesso articolo,
alla stregua del quale “tra la data di nofificaione all’appellato e quella
dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque
giorni”. Il che evidenzia come lo stesso legislatore, nel porre il suddetto
termine (ordinatorio) di cui al comma 2, abbia disciplinato le
conseguenze di una eventuale inosservanza di tale termine,
prevedendo, in buona sostanza, al comma 3, che la notifica effettuata
mantiene i suoi effetti, anche in caso di mancato rispetto del termine di
cui al comma precedente, allorchè tra la data di notificazione e quella
Ric. 2012 n. 10734 sez. M3 – ud. 07-05-2014
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sulla base del principio ripetutamente affermato da questa Corte,

dell’udienza permanga un termine non inferiore a venticinque giorni.
In altri termini appare chiaro, dal complesso dei due commi della
disposizione all’esame, che il legislatore ha regolato normativamente le
conseguenze della inosservanza del termine di cui al comma 2,
prevedendo in via generalizzata il permanere degli effetti della

superando – alla stregua delle stesse previsioni codicistiche – la
necessità di uno specifico provvedimento autorizzatorio o di proroga
da parte del giudice prima della scadenza del stesso termine.
3.2. Non contrasta con quanto sopra il principio affermato dalle
SS.UU. con sentenza n. 20604 del 2008, richiamata nella decisione
impugnata, posto che esso si riferisce alle sole ipotesi idonee a
comportare un effettivo allungamento del processo, potenzialmente
attribuibile a negligenza della parte attrice, di inesistenza, giuridica o di
fatto, della notificazione del ricorso e del decreto e, cioè, ad ipotesi di
contestuale violazione del termine dilatorio di cui al comma 2 dell’art.
435 cod. proc. civ. e del termine a tutela del diritto di difesa del
resistente fissato dal successivo terzo comma dello stesso articolo; ne
deriva l’inapplicabilità di detto principio al caso in esame, in cui la
notificazione del ricorso e del decreto dell’udienza in appello è
avvenuta nel rispetto del termine dilatorio di cui al comma 3 del cit.
art. 435 cod. proc. civ..
3.3. La non riferibilità della sentenza delle SS.UU. del 2008
all’ipotesi di ritardo della notificazione nel rispetto tuttavia del termine
posto a tutela di controparte dell’art. 435 c.p.c., comma 3, si evince
dalla circostanza che il richiamo operato nella predetta sentenza all’art.
111 Cost., comma 2, nel testo novellato dalla L. 23 novembre 1999, n.
2, ed alla regola della “ragionevole durata” del processo, non si attaglia
in alcun modo a fattispecie come quella all’esame in cui pacificamente
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compiuta notifica nell’ipotesi prevista dal comma 3, in tal modo

la notifica, ancorchè in ritardo rispetto al termine di gg. 10 di cui al
comma 2 della norma, è avvenuta entro un termine tale, rispetto a
quello dell’udienza di comparizione fissata dal presidente, da garantire
all’altra parte il necessario ipatium deliberandi.
Peraltro la non pertinenza della decisione delle SS.UU., rispetto alla

costituzionale (ordinanza n. 60 del 2010), che ha ritenuto
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 435 c.p.c., prospettata sulla base della suddetta decisione, per
evidente erroneità del presupposto interpretativo.
3.4. Merita aggiungere che, da ultimo, la Corte Costituzionale con
ordinanza n.253 del 2012 — nel dichiarare la manifesta infondatezza
della q.l.c. dell’articolo 435 comma 2 cod. proc. civ. sollevata proprio
dalla Corte di appello di Roma in riferimento all’art. 111 Cost. con
riguardo all’interpretazione della norma, sopra esposta e assunta a
“diritto vivente” — ha evidenziato che la norma, nella interpretazione
censurata dal collegio rimettente, lungi dal violare la parità delle parti, è
finalizzata, invece, a realizzarla sul piano del reciproco diritto di azione
e di difesa. Con il risultato di tutelare, all’un tempo, l’interesse
dell’appellante — impedendo che la sola violazione del termine
ordinatorio in questione determini l’improcedibilità del gravame — e
quello dell’appellato, cui resta comunque garantito un termine a
comparire sufficiente ad apprestare le proprie difese. »
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di
consiglio, il Collegio – esaminati i rilievi contenuti nella memoria di
parte resistente che non hanno evidenziato profili tali da condurre ad
una decisione diversa da quella .p.tospettata nella relazione – ha
condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione stessa.

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questione di diritto in esame, risulta confermata anche dalla Corte

In particolare il Collegio — nel rilevare la manifesta infondatezza
dell’eccezione di incostituzionalità formulata nella suddetta memoria
con riguardo all’art. 435 cod. proc. civ. nella parte in cui prevedrebbe
che «il termine ordinatorio fissato dalla legge (e nel decreto) sia liberamente ed
autonomamente prorogato ad arbitrio di una parte processuale (l’appellante), per

norma, quale indicata in relazione, con il conforto, da ultimo,
dell’ordinanza n. 235 del 2012 del Giudice delle leggi, non conduce
affatto alle conseguenze paventate da parte resistente, evidenziando,
piuttosto, attraverso una lettura necessariamente coordinata dei commi
2 e 3 dell’art. 435 cod. proc. civ., come la regolamentazione in via
generalizzata delle conseguenze dell’inosservanza del termine
ordinatorio di cui al comma 2 renda superfluo uno specifico
provvedimento autorizzatorio o di proroga da parte del giudice con
riferimento alla (sola) ipotesi in cui risulti rispettato Ú termine dilatorio
di cui al comma 3.
In conclusione va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo; ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata e il
rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di
cassazione alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Roma 7 maggio 2014

contrarietà agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost.» – osserva che l’esegesi della

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