Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1271 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/01/2020, (ud. 03/10/2019, dep. 21/01/2020), n.1271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23043/2018 R.G. proposto da:

B.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Domenico Sella, con

domicilio eletto in Roma, corso Trieste, n. 109, presso lo studio

dell’Avv. Donato Mondelli;

– ricorrente –

contro

P.A. e S.N., già soci rispettivamente

accomandatario e accomandante della cessata e cancellata Azienda

Agricola Corianese s.a.s., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Luisa

Tregnaghi, Pio Alessandro Meneghini, Cesare Loi ed Elena Allocca,

con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, viale

Angelico, n. 38;

– controricorrenti –

e contro

Agricon S.r.l., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Nicola Maragna e

Alberto Saraceno, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via degli Scipioni, n. 265;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1358/2018,

depositata il 22 maggio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre

2019 dal Consigliere Iannello Emilio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Su ricorso della Azienda Agricola Corianese s.a.s., il Tribunale di Verona, sezione distaccata di Legnago, con decreto in data 8/3/2005, ingiunse a B.M. il pagamento della somma di Euro 21.332,23, oltre interessi e spese, a saldo della fornitura di prodotti fitosanitari e per l’assistenza prestata nella relativa somministrazione alle colture.

Il B. propose opposizione assumendo che dalla somministrazione dei prodotti nella quantità e con le modalità d’uso indicati dalla opposta erano derivati danni alle colture, in ragione di che instava per la risoluzione del contratto per inadempimento della azienda ingiungente e per la condanna della stessa al risarcimento dei danni (relativi al perduto raccolto dei due frutteti: pere e mele) quantificati in Euro 59.732,00 o, in subordine, per la compensazione di tale credito con quello di contro vantato.

L’azienda opposta, costituendosi, chiese e ottenne di chiamare in garanzia la Agricon S.r.l., fornitrice e produttrice dei prodotti fitosanitari utilizzati.

Con sentenza del 24/11/2009 il Tribunale, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo, pronunciò la risoluzione del contratto per inadempimento della Azienda Agricola Corianese, condannandola al risarcimento del danno che liquidò (commisurandolo alla perdita del solo raccolto delle pere) in Euro 30.269,94.

2. In accoglimento del gravame interposto dalla Azienda Agricola Corianese s.a.s., la Corte d’appello di Brescia, in totale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo condannando l’opponente al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore dell’opposta e della società chiamata in causa.

Ha infatti ritenuto fondati, e di rilievo assorbente, il quarto e il sesto motivo di gravame in punto di riparto dell’onere della prova in ordine ai lamentati danni e alla loro causa.

Ha in proposito in particolare rilevato che:

– dato il tempo trascorso dai fatti, il c.t.u. ha potuto valutare solo le risultanze registrate quanto agli acquisti dei fitosanitari e all’applicazione dei trattamenti, riscontrando che l’acquisto limitato di alcuni prodotti era inutile o controproducente (in quanto favoriva il pullulare di altri elementi dannosi ovvero, in altri casi, danneggiava la popolazione degli utili predatori dei parassiti), era invece per la maggior parte adeguato ma risultava in vario modo intempestiva l’aspersione dei prodotti;

– i registri non risultavano compilati in modo corretto, le ricette mancavano delle date, non erano registrate informazioni relative alle date dei trattamenti e alla quantità dei prodotti impiegati, nè in merito alla data e all’entità dei raccolti;

– le prove testimoniali assunte si erano rivelate imprecise e non attinenti alla effettiva imputabilità dei danni e della loro entità a specifici consigli e direttive forniti dagli incaricati dell’Azienda Agricola Corianese e/o dalla società fornitrice del prodotto;

– non vi era pertanto certezza nè su quanto fosse concretamente accaduto, nè sulla imputazione dei trattamenti malaccorti, nè, infine, sulla quantificazione del danno che rimane ipotetico e prospettato solo sulla base della estensione dei frutteti;

– ne l’appellante ha formulato contestazioni in merito all’oggetto e alla regolare consegna delle forniture, del cui corrispettivo è stato chiesto il pagamento in via monitoria.

3. Avverso tale decisione B.M. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resistono le società intimate depositando controricorsi.

4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1218 c.c., in punto di ripartizione dell’onere della prova.

Sostiene in sintesi che, essendo pacifico in causa che tra le parti fosse intercorso un rapporto contrattuale (e segnatamente un contratto di compravendita misto a un contratto d’opera), incombeva alla creditrice opposta l’onere di provare l’esatto adempimento dell’obbligazione assunta, ovvero l’avvenuta corretta prestazione tecnica.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: fatto, in tesi, rappresentato dalla sostanziale perdita del prodotto (pere) relativamente all’annata agraria 2004 per effetto della intestazione di “Psilla”, della quale avevano riferito sia il teste M., sia il c.t.o. che ne imputava la causa “ad un forte attacco non controllato dell’insetto Cacopsylla pyri L”, da connettersi a sua volta al ritardo dell’impiego del Vertimec.

3. E’ infondato il primo motivo di ricorso.

3.1. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – espresso in prevalenza con specifico riferimento al tema della responsabilità medica, ma con argomenti evidentemente trasferibili a quello della responsabilità contrattuale in genere -, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale per l’inesatto adempimento della prestazione oggetto dell’obbligo assunto, il danneggiato deve fornire la prova del contratto, del sorgere o dell’aggravamento del danno e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione della controparte contrattuale, restando a carico di quest’ultima la prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (v. ex multis Cass. 26/07/2017, n. 18392; 16/01/2009, n. 975; 09/10/2012, n. 17143; 20/10/2015, n. 21177; 12/09/2013, n. 20904).

Non solo il danno ma anche la sua eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all’attore di provare. Ne consegue che, se, al termine dell’istruttoria, resti incerta la reale causa del danno, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano sull’attore.

A sostegno dell’opposta tesi dedotta a fondamento della censura, il ricorrente richiama il principio di diritto, enunciato da Cass. Sez. U. 30/10/2001, n. 13533, e poi costantemente seguito da questa Corte, secondo cui “in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento” (v. e plurimis Cass. 03/07/2009, n. 15677, e, da ultimo, Cass. 04/01/2019, n. 98).

Si tratta, però – come è stato chiarito (v. Cass. n. 18392 del 2017, cit., alla quale si rimanda per una più compiuta illustrazione dei passaggi logico-giuridici presupposti dalle affermazioni di principio che qui di seguito verranno ribadite) – di contrasto apparente con il principio di diritto prima richiamato) in quanto la causa cui ai precedenti richiamati in ricorso fanno riferimento non è quella della fattispecie costitutiva della responsabilità risarcitoria dedotta dal danneggiato, ma quella della fattispecie estintiva dell’obbligazione opposta dal danneggiante.

In ambito di responsabilità contrattuale, nella quale vengono in rilievo anche le cause estintive dell’obbligazione diverse dall’adempimento, e segnatamente quella rappresentata dalla impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (artt. 1218 e 1256 c.c.), occorre invero distinguere, come è stato detto, due “cicli causali”, ovvero: da un lato, la causalità che lega il fatto all’evento (causalità materiale) e quella che lega l’evento lesivo al consequenziale danno (causalità giuridica); dall’altro, quella concernente la possibilità (rectius: impossibilità) della prestazione.

La causalità relativa all’evento ed al danno consequenziale è comune ad ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, e caratterizza negli stessi termini, sia in ambito contrattuale che extracontrattuale, gli oneri di allegazione e di prova del danneggiato. Il danno è elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio ed essendo l’eziologia immanente alla nozione di danno anche l’eziologia è parte del fatto costitutivo dedotto che l’attore deve provare.

Ciò che piuttosto distingue, ai fini in discorso, la responsabilità contrattuale da quella extracontrattuale è l’emergenza, nella prima, di un secondo ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere.

Questo però acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore.

Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’insorgenza o l’aggravamento del danno è causalmente riconducibile alla condotta della controparte contrattuale sorge per quest’ultima l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile.

Conseguenzialmente la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere.

3.2. Nel caso di specie, come si è detto, il giudice di merito ha escluso l’esistenza di prova del nesso fra il trattamento fitosanitario praticato e le relative prestazioni di assistenza cui si era obbligata la ditta fornitrice, da un lato, e il danno alle colture, dall’altro, evidenziando l’impossibilità di trarre elementi certi al riguardo sia dalle prove testimoniali assunte, sia dalla consulenza tecnica d’ufficio, anche in ragione del fatto che quest’ultima era stata espletata a distanza di anni dai fatti e, dunque, per forza di cosa non all’esito di un sopralluogo ed esame diretto delle colture, ma solo sulla scorta dell’esame dei registri, peraltro risultati incompleti e compilati in modo non corretto.

Posto tale accertamento fattuale, è da escludere, alla luce dei suesposti principi, l’insorgenza di un problema di onere probatorio per la società opposta.

3.3. Il ricorrente sembra piuttosto muovere da una correlazione diretta tra ammaloramento delle piante e inadempimento della società convenuta, in realtà insostenibile dal momento che contenuto dell’obbligazione non era nè poteva logicamente essere il non ammaloramento delle piante (obbligazione di risultato) ma l’apprestamento dei prodotti e dell’assistenza utile al fine di prevenirlo (obbligazione di mezzi).

Ne è conferma il fatto che non è attinte da specifica censura il rilievo, pure contenuto in sentenza, della mancata allegazione di specifiche condotte inadempienti nella somministrazione o nell’assistenza prestata.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

La censura si appalesa eccentrica rispetto ai presupposti ed ai limiti del vizio cassatorio dedotto.

Occorre in proposito rammentare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/2-, nn. 8053 e 8054).

Nel caso di specie, le circostanze dedotte risultano valutate in sentenza, che ne motiva la ritenuta insufficienza probatoria, alla stregua di giudizio di fatto non sindacabile in cassazione.

Con tale motivazione peraltro il ricorrente mostra di non confrontarsi, risolvendosi piuttosto la censura in una mera quanto inammissibile sollecitazione di una nuova valutazione del materiale istruttorio.

5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna. Del ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, – e, per P. e S. – con solidale liquidazione unitaria, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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