Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1271 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2011, (ud. 09/11/2010, dep. 20/01/2011), n.1271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 81/2010 proposto da:

C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VALADIER 53, presso lo studio dell’avvocato ALLEGRA

ROBERTO, rappresentato e difeso dall’avvocato NAVACH Massimo, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati RICCIO Alessandro, NICOLA VALENTE, CLEMENTINA POLLI, giusta

procura in calce al ricorso notificato;

– resistente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2053/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato Navach Massimo, difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che

concorda con la relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, letta la relazione del Cons. Dott. Paolo Stile;

udite le richieste del P.M., Dott. Renato Finocchi Ghersi; esaminati gli atti, osserva:

1. Con sentenza definitiva del 16/5/2007, il Tribunale di Bari, giudice del lavoro, espletata una consulenza medico-legale e accertata la riduzione della capacità lavorativa di C. P. nella misura del 76%, dichiarava il diritto del ricorrente a percepire rassegno di invalidità e condannava l’INPS al pagamento delle relative somme oltre accessori di legge e spese processuali.

2. Avverso tale pronuncia, con ricorso depositato il 23 aprile 2008, proponeva appello il C. al fine di rivendicare il pagamento anche dell’indennità di accompagnamento.

Ripristinato il contraddittorio, l’INPS e il Ministero dell’Economia e delle Finanze rimanevano contumaci.

3. Acquisiti i documenti prodotti dalla parte impugnante, nonchè il fascicolo del giudizio di primo grado, con sentenza dell’11 maggio-13 luglio 2009, l’adita Corte di Appello di Bari rigettava il gravame.

4. A sostegno della decisione, osservava che nel ricorso introduttivo della controversia si leggeva l’esplicita affermazione che il ricorso amministrativo presentato in data 1 ottobre 2004 – per impugnare la valutazione dell’invalidità accertata nella misura del 67% da parte della Commissione medica all’esito della seduta 25 febbraio 2004 – mirava a “ottenere il riconoscimento della pensione d’inabilità dalla domanda”. Inoltre, nello stesso ricorso si menzionava esclusivamente la L. n. 118 del 1971, che contempla le provvidenze economiche per gli invalidi civili consistenti nell’assegno mensile (art. 13; incapacità lavorativa del 74%; limite di reddito;

incollocabilità) e nella pensione di inabilità (art. 12;

incapacità lavorativa del 100%; limite di reddito), laddove l’indennità di accompagnamento è disciplinata dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1, e ha presupposti del tutto diversi (incapacità di deambulare o di compiere gli atti della vita senza l’aiuto di un’altra persona).

5. Così argomentando, la Corte di Bari si è uniformata all’orientamento di questa Corte alla cui stregua, in materia di trattamenti assistenziali, la domanda amministrativa costituisce presupposto necessario per il diritto alla prestazione assistenziale richiesta e, in particolare, la presentazione di una specifica domanda amministrativa volta al conseguimento dell’indennità di accompagnamento, di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1, costituisce, unitamente ai previsti requisiti sanitari, un elemento necessario per l’attribuzione di tale beneficio in sede giudiziaria, a pena di improponibililà del ricorso, mentre deve escludersi che tale domanda possa ritenersi compresa in quella diretta al conseguimento di un beneficio diverso come quello alla pensione di inabilità, senza che in contrario possa invocarsi il disposto di cui all’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., atteso che la citata norma prevede solo, per economia processuale, che il giudice tenga conto anche dei successivi aggravamenti verificatisi in sede giudiziaria ma sempre e solo ai fini del beneficio previdenziale o assistenziale richiesto con l’originaria domanda (Cass. n. 6941/2005).

Nella specie, le critiche mosse dal ricorrente alla impugnata decisione attraverso la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., n. 3, ed insufficiente e/o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), appaiono del tutto inadeguate in quanto nessuna di esse vale a superare il principio di diritto sopra espresso, tenuto conto che, nella pronuncia impugnata, il Giudice di appello, ha svolto un duplice ordine di argomentazioni, che avallando detto principio, non risultano in alcun modo, inficiate. Ed, infetti, la Corte territoriale ha rimarcato, per un verso, che la richiesta indennità di accompagnamento, disciplinata dalla L. n. 18 del 1980, art. 1, ha presupposti del tutto diversi (incapacità di deambulare o di compiere gli atti della vita senza l’aiuto di altra persona) da quelli richiesti, sulla base della L. n. 118 del 1971, nel ricorso introduttivo per il conseguimento delle provvidenze economiche per gli invalidi civili, consistenti nell’assegno mensile (art. 13: nella incapacità lavorativa del 74%, limite di reddito e incollocabilità) e nella pensione di inabilità (art. 12: nella incapacità lavorativa del 100% e limite di reddito);

e, per altro verso, che lo stesso quesito formulato dal Giudice di primo grado al CTU mirava ad accertare se il soggetto fosse in possesso dei requisiti medico-legali per ottenere la pensione o l’assegno.

Rimanendo, dunque, la “indennità di accompagnamento” del tutto estranea agli effettuati accertamenti, la pretesa del ricorrente riguardo detta indennità è stata correttamente disattesa dal Giudice di merito.

Per quanto esposto il ricorso deve essere rigettato, essendo manifestamente infondato.

Nulla va disposto per le spese, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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