Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12709 del 25/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 25/06/2020, (ud. 28/02/2019, dep. 25/06/2020), n.12709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7135-2016 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato ARNALDO MIGLINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO AIELLO;

– ricorrente –

contro

C.P.C. COMPAGNIA PRODOTTI CONSERVATI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1054/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 01/10/2015 R.G.N. 1692/2013.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza depositata in data 1.10.2015, la Corte di Appello di Salerno ha respinto il gravame interposto da T.G., nei confronti della CPC Compagnia dei Prodotti Conservati S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale di Nocera Inferiore n. 648/2013, che aveva rigettato la domanda del lavoratore volta ad ottenere la condanna della società datrice al pagamento di Euro 17.513,43, oltre accessori a titolo di TFR per il lavoro svolto alle dipendenze di quest’ultima dal 19.4.1979 al 16.11.1997;

che la pronunzia di primo grado era stata emessa a seguito di opposizione al decreto ingiuntivo n. 48/2011 (del quale veniva richiesta la revoca), proposta, in data 29.3.2011, dalla società, la quale assumeva di avere già versato al T. la somma complessiva di Euro 56.531,86, di cui Euro 13.027,62 in data 19.7.2007; Euro 30.000,00 in data 9.5.2008 ed Euro 13.504,24 in data 5.3.2009, evidenziando che “la c.t.u. espletata in sede di istruttoria prefallimentare (il cui procedimento si era concluso con rigetto dell’istanza di fallimento dell’azienda per difetto dello stato di insolvenza) aveva accertato un residuo debito a carico della ditta per Euro 2.819,93”;

che, in particolare, il giudice di prima istanza, accogliendo l’opposizione aveva revocato il decreto ingiuntivo e condannato la società opponente al pagamento, in favore dell’opposto, della somma di Euro 11.874,75, oltre accessori e spese di lite;

che per la cassazione della sentenza ricorre T.G. articolando due motivi;

che la parte datoriale è rimasta intimata;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1193 c.c., in quanto, nonostante la Corte di merito abbia ricostruito correttamente la vicenda, non ha poi fatto correttamente uso della norma che disciplina l’imputazione dei pagamenti, poichè “erra in relazione al termine meno garantito, di cui all’art. 1193 c.c., comma 2, laddove testualmente afferma” che “i due crediti a favore del T. risultano entrambi scaduti; il credito per TFR per il periodo lavorativo svolto dal 19.4.1979 al 16.11.1997 non può considerarsi quale il meno garantito (trattandosi di somma in riferimento alla quale si applica la garanzia all’apposito Fondo presso INPS); il medesimo credito non può ritenersi il più oneroso (tenuto conto che l’importo oggetto del decreto ingiuntivo n. 48/2011 è ben inferiore a quello del risarcimento ex art. 18 azionato dal T. con il precedente decreto ingiuntivo n. 111/2004). Non potendosi applicare i detti criteri, soccorre pertanto quello residuale previsto dall’ultima parte del comma 2 dell’art. 1193 c.c., cioè va fatta l’imputazione dei pagamenti eseguiti dall’azienda in proporzione ai vari crediti. Come calcolato dal C.t.u. nominato in primo grado nella seconda integrazione alla relazione peritale depositata in data 25.2.2013, il TFR lordo spettante all’appellante – tenuto conto dell’ammontare dei due crediti e dei pagamenti già effettuati dal debitore (pagamenti documentati in giudizio e non contestati dal creditore) – è pari ad Euro 11.874,75. Tale è appunto la somma attribuita dalla gravata sentenza, che va pertanto confermata”. A parere del ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe errata, perchè, pur dando atto che il credito per trattamento di fine rapporto è garantito dall’apposito Fondo di Garanzia costituito presso l’INPS a norma della L. n. 297 del 1982, art. 2, per il caso di insolvenza del datore di lavoro e che il credito ai sensi dell’art. 18 Stat. lav. è sprovvisto di analoga tutela, inopinatamente ritiene i due crediti garantiti in eguale misura;

2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte di merito contraddittoriamente ritenuto che il credito da trattamento di fine rapporto e quello per risarcimento del danno ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori fossero “garantiti in eguale misura”;

che il primo motivo è fondato; come è noto, il nostro ordinamento regola, tra le cause di prelazione, i privilegi riconosciuti, ai sensi dell’art. 2745 c.c., “dalla legge in considerazione della causa del credito…” -, dei quali, quelli generali riguardano tutti i beni mobili del debitore (art. 2746 c.c.); ed ai lavoratori subordinati, per i crediti derivanti dalle retribuzioni, attribuisce privilegio generale sui beni mobili; è, altresì, noto che la tutela dei crediti da lavoro è stata ulteriormente rafforzata dalle modifiche introdotte negli anni 70 nella disciplina dei privilegi: basti pensare che, a norma dell’art. 2751-bis c.p.c., introdotto dalla L. n. 426 del 1975, che ha modificato l’art. 2777 c.c., i crediti per retribuzioni, le indennità e gli accessori dovuti ai lavoratori dipendenti e gli altri crediti di cui all’art. 2751-bis godono di un privilegio che è subordinato soltanto alle spese di giustizia;

che, pur dovendosi riconoscere che il comma 1, n. 1, del citato art. 2751-bis c.c. (la cui portata è stata ulteriormente estesa a seguito dei numerosi interventi della Corte costituzionale) attribuisce lo stesso privilegio alle “retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato” ed a “tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonchè” al “credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed” al “credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile”, tuttavia, deve considerarsi che il comma 1 dell’art. 2776 c.c. prevede la collocazione sussidiaria in favore dei crediti relativi al trattamento di fine rapporto ed all’indennità di mancato preavviso, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari;

che, pertanto, la Corte di merito ha errato nel ritenere che il credito da trattamento di fine rapporto e quello per risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18 fossero “garantiti in eguale misura”, perchè non ha tenuto conto del fatto che il primo ha una collocazione preferenziale ai sensi del comma 1 dell’art. 2776 c.c.;

che il secondo motivo resta, all’evidenza, assorbito;

che, pertanto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto – restando assorbito il secondo -, con rinvio, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Napoli, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito, a quanto innanzi affermato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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