Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12707 del 05/06/2014
Civile Sent. Sez. 1 Num. 12707 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: DIDONE ANTONIO
SENTENZA
sul ricorso 7966-2013 proposto da:
AZIENDA LOCALE DI EDILIZIA RESIDENZIALE – ALER DI
BRESCIA (c.f./p.i. 00304200173), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
Data pubblicazione: 05/06/2014
domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 16, presso lo
STUDIO R&P LEGAL – STUDIO ASSOCIATO ROSSOTTO
2014
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COLOMBATTO & PARTNERS, rappresentata e difesa dagli
avvocati LAMBERTI LORENZO, CORAIN MAURIZIO, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
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contro
CISPEL
LOMBARDIA
SERVICES
S.R.L.
(c.f./p.i.
09361480156), in persona del Procuratore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.
MAZZINI 146, presso l’avvocato SPAZIANI TESTA EZIO,
QUIETI ANGELO, giusta procura a margine del
controricorso;
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in
persona del Presidente pro tempore, domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende
ope legis;
– controricorrenti contro
MICHELI MARA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2515/2012 del TRIBUNALE di
BRESCIA, depositata il 11/08/2012;
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/05/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato CORAIN MAURIZIO
(deposita 2 cartoline dirette a CISPEL e MICHELI)
che si riporta;
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udito, per la controricorrente, l’Avvocato QUIETI
ANGELO che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso, previa
riunione dei ricorsi n.7966/2013 e n.13572/2013,
rigetto di entrambi i ricorsi.
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Ragioni in fatto e in diritto della decisione
1.- Con la sentenza impugnata
11.8.2012)
il
Tribunale
di
(depositata in data
Brescia
ha
rigettato
l’opposizione proposta dall’Aler di Brescia contro il
provvedimento in data 21 luglio 2011 con il quale il
Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi
degli artt. 143 comma l lett. c) e 154 comma l lett. d)
D.Lvo
n.
196/03,
aveva
dichiarato
la
illecita
somministrazione di test ai candidati alla selezione di un
dirigente
tecnico
da
inserire
nell’organico
della
opponente, effettuata per conto di quest’ultimo ente dalla
Cispel Lombardia Services srl e dalla dott.ssa Micheli
Mara; vietando il trattamento dei dati personali (anche
sensibili e anche risultanti da curricula) ricavati dalla
somministrazione dei test e disponendo la trasmissione del
provvedimento adottato al Ministero del Lavoro ed
all’Autorità Giudiziaria per quanto di loro competenza.
In sintesi, il Tribunale ha disatteso le censure della
società opponente la quale aveva dedotto l’assenza in capo
a sé della qualifica di titolare del trattamento e, nel
merito, la liceità del trattamento dei dati contenuti nei
curricula inviati ad essa dagli interessati, stante
l’applicazione, a suo dire, nel caso in esame, della
disciplina dell’art. 13 comma 5 bis D. L.vo n. 196/03, così
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come modificato dall’art. 6 comma 2 lett. a) del Dl. n.
70/11, convertito con la L. n. 106/11.
Contro la sentenza del tribunale l’Azienda Lombarda per
l’Edilizia della Lombardia ha proposto ricorso per
cassazione affidato a tre motivi.
Resistono con controricorso il Garante per la protezione
dei dati personali e la s.r.l. Cispel (quest’ultima
intervenuta nel giudizio di merito, unitamente a Micheli
Mara, intimata, la quale non ha svolto difese).
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha
depositato memoria.
1.1.- L’istanza di riunione al ricorso proposto dalla
Cispel contro la sentenza del 22.11.2012 del Tribunale di
Milano non può essere accolta, trattandosi di impugnazioni
distinte contro provvedimenti diversi emessi da due diversi
giudici del merito.
2.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2729 c.c. e
116 c.p.c. Lamenta che il Tribunale abbia ritenuto l’Aler
co-titolare del trattamento sulla base di presunzioni
illegittime.
Con il secondo motivo denuncia «omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)>> in
relazione alla ritenuta qualifica della ricorrente quale
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co-titolare. In sintesi, lamenta che il tribunale avrebbe
«completamente tralasciato di valutare delle prove
decisive
(rectius
fatti
decisivi),
omettendo
ingiustificatamente di prendere in considerazione le
risultanze istruttorie che confermavano come ALER non
avesse avuto alcun potere decisionale sul tipo dei dati da
raccogliere, sulle modalità, sulle finalità e sulle misure
di sicurezza dei trattamenti dei dati personali>>.
Con l’ultimo motivo parte ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, lett. a) n. 2 del
decreto legge n. 70 del 2011, convertito nella legge n.
106/2011>> lamentando che il Tribunale abbia omesso di
considerare
che,
trattandosi
di
curricula
inviati
spontaneamente dagli interessati, non trovava applicazione
la disciplina sul consenso e sull’informazione circa il
trattamento dei dati.
3.- Possono essere esaminati congiuntamente,
perché
connessi, i primi due motivi. Essi, là dove non sono
inammissibili perché veicolano censure in fatto non
deducibili in sede di legittimità, sono infondati.
Giova premettere, invero, che l’oggetto del controllo di
legittimità sulla motivazione concerne la giustificazione
della decisione di merito e non la vicenda giudiziale nel
suo complesso. Invero, è stato da tempo chiarito dalla
giurisprudenza (C., 18.11.2000 n. 14953) che in sede di
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legittimità il controllo della motivazione in fatto si
compendia nel verificare che il discorso giustificativo
svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione
esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione
(fatto probatorio – massima di esperienza – fatto
accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire
una diversa massima di esperienza a quella utilizzata
(potendo questa essere disattesa non già quando l’inferenza
probatoria non sia da essa “necessitata”, ma solo quando
non sia da essa neppure minimamente sorretta o sia
addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera
apparenza del discorso giustificativo) o confrontare la
sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine
di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o
ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito
a fondamento della sua decisione.
Invero, la deduzione di un vizio di motivazione della
sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al
giudice di legittimità non il potere di riesaminare il
merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico
formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del
merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere
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e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze
del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando,
così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi
di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti
dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di
motivazione, sotto il profilo della omissione,
insufficienza,
contraddittorietà della medesima,
può
legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel
ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia
evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti
decisivi della controversia, prospettato dalle parti o
rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile
contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate,
tale da non consentire l’identificazione del procedimento
logico – giuridico posto a base della decisione (C., S.U.,
27.12.1997 n. 13045).
Per converso, le censure motivazionali formulate dalla
ricorrente, anche mediante deduzione di circostanze di
fatto non risultanti dalla sentenza impugnata (e senza
indicazione del luogo e delle modalità in cui siano state
sottoposte al giudice del merito, quindi in violazione del
principio di autosufficienza) sono inammissibili anche alla
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luce del testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., come modificato
nel 2006, applicabile ratione temporis.
D’altra
parte,
non
è
possibile
veicolare
censure
motivazionali attraverso la denuncia della violazione come
norma di diritto sostanziale dell’art. 2729 c.c.,
sostanzialmente lamentando, però, che la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie.
3.1.- Ai sensi dell’art.
4,
d.lgs. n.
196/2003, per
“titolare” del trattamento si intendono, la persona fisica,
la persona giuridica, la pubblica amministrazione e
qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui
competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni
in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di
dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il
profilo della sicurezza; per “responsabile” del trattamento
si intendono, la persona fisica, la persona giuridica, la
pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente,
associazione od organismo preposti dal titolare al
trattamento di dati personali; per “incaricati” del
trattamento si intendono, le persone fisiche autorizzate a
compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal
responsabile.
Nella concreta fattispecie il giudice del merito – con
ampia e logica motivazione – ha accertato, in fatto, che,
essendo stata l’Aler ad incaricare la Cispel di procedere
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alla selezione di un dirigente tecnico da assumere, è da
ritenere che sia stato l’ente, come qualsiasi altro “datore
di lavoro”, ad impartire le iniziali istruzioni ed a
concordare con l’incaricato della selezione le modalità/ di
svolgimento della procedura selettiva e a conferma di tale
conclusione ha evidenziato la sussistenza della prova
documentale in atti (“la comunicazione Aler-Cispel
dell’1.2.11 e la mail 8.2.11”). Peraltro – ha correttamente
rilevato – non si giustificherebbero altrimenti la
richiesta della ricorrente alla Cispel di effettuare un
colloquio integrativo comprendente “reattivi psicologici” e
un “colloquio opzionale sull’argomento” e la successiva
accordata integrazione del corrispettivo, proprio per tale
ulteriore attività compiuta dalla Cispel, a favore di
quest’ultima. Infine, nel contratto di collaborazione
stipulato tra Aler e la Cispel srl le parti avevano
espressamente convenuto che “Aler incaricherà CLS in base
alle proprie necessità, individuando di volta in volta le
specifiche modalità di selezione. CLS provvederà ad attuare
quanto indicato, secondo le esigenze di Aler Brescia,
direttamente oppure avvalendosi di risorse qualificate nel
rispetto delle disposizioni vigenti’ e che tutte le
“attività” di selezione si sarebbero dovute svolgere “in
accordo con Aler Brescia”. Nessun rilievo assumeva la
circostanza che nel contratto menzionato fosse stata
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indicata la Cispel quale titolare del trattamento,
sussistendo, per tutte le anzidette ragioni un’ipotesi di
contitolarità.
4.- Quanto al terzo motivo, osserva la Corte che l’art. 6,
comma 2, lett. a) del Decreto legge 13 maggio 2011, n. 70,
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011,
n. 106, ha aggiunto all’articolo 13 d.lgs. n. 196/2003, il
seguente comma: “5-bis. L’informativa di cui al comma 1 non
è dovuta in caso di ricezione di curricula spontaneamente
trasmessi dagli interessati ai fini dell’eventuale
instaurazione di un rapporto di lavoro. Al momento del
primo contatto successivo all’invio del curriculum, il
titolare è tenuto a fornire all’interessato, anche
oralmente, una informativa breve contenente almeno gli
elementi di cui al comma l, lettere a), d) ed f).”. Con la
stessa disposizione è stata modificata la norma (art. 26,
comma 3, lett. b bis) relativa al consenso al trattament0
dei dati contenuti nei curricula spontaneamente trasmessi.
La modifica legislativa è successiva ai fatti oggetto del
provvedimento del Garante, il quale ha attivato il
procedimento su notizie apparse sulla stampa nel maggio
2011, in relazione alla selezione già espletata. Dunque, il
trattamento illecito è avvenuto prima dell’entrata in
vigore della norma invocata, così come rilevato dal
Tribunale, il quale ha altresì evidenziato che /272:21V non
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si trattava di curricula inviati di iniziativa degli
interessati, ma solo a seguito di annuncio di lavoro
pubblicato su quotidiani ad impulso dell’ente interessato
all’assunzione. Come ha ricordato il P.G., invero, secondo
questa Corte in tema di illeciti amministrativi, l’adozione
dei principi di legalità, irretroattività e divieto di
analogia, di cui all’art. 1 della legge n. 689 del 1981,
comporta l’assoggettamento del fatto alla legge del tempo
del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della
disciplina posteriore eventualmente più favorevole, a nulla
rilevando che detta più favorevole disciplina, successiva
alla commissione del fatto, sia entrata in vigore
anteriormente all’emanazione del provvedimento di
accertamento (Sez. L, n. 1105/2012).
Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità – nella misura
liquidata in dispositivo – vanno poste a carico della
ricorrente in favore del Garante mentre vanno compensate
nei rapporti con la controricorrente Cispel, stante
l’adesione al ricorso principale. Infine, sussistono i
presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis,
dell’art. 13 d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
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La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore
del Garante che liquida in euro 7.200,00 oltre le spese
prenotate a debito. Compensa le spese nei rapporti con la
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del
2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello
stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 maggio
2014
resistente Cispel.