Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12706 del 05/06/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 12706 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: CRISTIANO MAGDA

Ud. 07/03/2014

SENTENZA

PU

sul ricorso 7065-2013 proposto da:
ALI.BIO.

SOCIETÀ AGRICOLA A R.L.

in persona

del

legale

(P.I.

0255430792),

rappresentante pro

tempore,

CICCOLELLA

ANTONIO

(c.f.

CCCNTN62E22F284I),

CICCOLELLA

CORRADO

(c.f.

CCCCRD56S09F284A),

CICCOLELLA

VINCENZO

(c.f.

CCCVCN53TO5F284R),

Data pubblicazione: 05/06/2014

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 73,
presso l’avvocato DEL VECCHIO ARNALDO, rappresentati
e difesi dagli avvocati CASTELLANO MICHELE, FERRARI
VINCENZO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –

1

contro
CURATELA DEL FALLIMENTO ALI.BIO. SOCIETÀ AGRICOLA A
R.L. (P.I. 02554320792), in persona del Curatore
dott.ssa LAURA CACCAVARI, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA P.G. DA PALESTRINA 48, presso

difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente contro
PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI
CATANZARO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI
CASSAZIONE;

intimati

avverso la sentenza n. 975/2012 della CORTE
D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 25/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/03/2014 dal Consigliere Dott. MAGDA
CRISTIANO;
udito,

per i ricorrenti,

l’Avvocato MICHELE

l’avvocato TORTORELLA SILVIA, che la rappresenta e

CASTELLANO che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato SILVIA
TORTORELLA che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per

2

il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 25.9.012, ha respinto il reclamo
proposto da ALI.B10 soc. agr. a r.l. e dai sigg.ri Antonio, Vincenzo e Corrado
Ciccollella (detentori del capitale sociale della Fili Ciccolella s.p.a., a sua volta

Crotone dichiarativa del fallimento della società, emessa previa declaratoria di
inammissibilità della proposta di concordato preventivo da questa presentata.
La corte territoriale ha preliminarmente ritenuto preclusa, perché coperta da
giudicato, la questione concernente la qualità di ALI.B10 di imprenditrice agricola, in
quanto tale non assoggettabile a fallimento, che non era stata tempestivamente
sollevata dalla società col reclamo, secondo quanto prescritto dall’art. 18 comma 2 I.
fall., ma era stata dedotta solo nel successivo corso del giudizio.
Ha comunque rilevato che, nel merito, tale qualità andava esclusa, atteso che
ALI.B10 non svolgeva, di fatto, alcuna attività agricola, mentre era gravata da oneri
finanziari.
Ha infine affermato che il tribunale aveva correttamente dichiarato l’inammissibilità
del concordato per difetto di veridicità dei dati contabili aziendali, in quanto non era
stato indicato fra i crediti quello di circa 5 milioni di euro vantato verso ALI.B10 da
una società di assicurazioni, in forza di garanzia fideiussoria a prima richiesta
prestata dalla società.
La sentenza è stata impugnata da ALI.B10 e dai Ciccolella con ricorso per
cassazione affidato a tre motivi e illustrato da memoria, cui il Fallimento di ALI.B10
ha resistito con controricorso.
Il P.M istante non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano che la corte del merito abbia dichiarato
coperta da giudicato interno la questione concernente la qualità di ALI.B10 di società

titolare dell’intero capitale sociale di ALI.B10) contro la sentenza del Tribunale di

agricola, come tale non assoggettabile a fallimento, non compresa fra i motivi di
reclamo ma sollevata nel successivo corso del giudizio di secondo grado.
Sostengono che il giudice a quo, dopo aver correttamente riconosciuto che il
reclamo ex art. 18 I. fall, non è sottoposto ai limiti previsti dagli artt. 342, 345 c.p.c. in
tema di appello, in quanto comporta un effetto devolutivo pieno della fattispecie

effetto a seconda che oggetto di reclamo sia il decreto di rigetto o la sentenza di
accoglimento dell’istanza di fallimento, escludendo solo nel primo caso la formazione
di un giudicato sulle questioni non tempestivamente dedotte nell’atto di
impugnazione. Rilevano che, al contrario, ragioni di economia processuale
dovrebbero sollecitare un ripensamento della barriera del giudicato in una materia,
quale quella fallimentare, in cui persiste un interesse pubblicistico all’accertamento
dei presupposti di fallibilità, che non può venir meno solo perché la parte interessata
ha omesso di farne valere tempestivamente l’insussistenza.
li motivo è infondato.
Va intanto esclusa la proponibilità di un parallelo, sul piano degli effetti processuali,
fra decreto di rigetto e sentenza di accoglimento dell’istanza di fallimento: il primo,
infatti, non possiede attitudine al giudicato in quanto si limita a rilevare- allo stato — la
non fallibilità dell’imprenditore, ma non preclude al creditore di presentare una nuova
istanza che, secondo quanto affermato da questa Corte, può basarsi persino su
prospettazione identica a quella già respinta (Cass. nn. 21834/09, 19643/05).
La sentenza di fallimento è invece un provvedimento decisorio contente un
accertamento (sulla ricorrenza dei presupposti di fallibilità del debitore) che ha
natura costitutiva e che, in mancanza di impugnazione (od in caso di rigetto delle
ragioni su cui l’impugnazione si fonda) è destinato a divenire definitivo ed a spiegare
efficacia erga omnes.
A tale diversità di effetti corrisponde, nella disciplina positiva, il diverso atteggiarsi
degli strumenti posti a disposizione delle parti per impugnare l’uno o l’altro

sottoposta a giudizio, sarebbe incorso in errore nel considerare diverso questo

prowedimento.
Il reclamo contro il decreto di rigetto può infatti essere proposto, ai sensi dell’art. 22
I I. fall., senza l’osservanza di particolari forme volte a delinearne il contenuto (al di
là di quello minimo previsto dal’art. 125 c.p.c.), ciò che, quantomeno secondo
l’opinione dominante in dottrina, comporta la piena natura devolutiva di tale mezzo di

iudicanda, senza che l’ambito della sua cognizione sia limitato alla valutazione della
fondatezza delle ragioni fatte valere dalla parte reclamante.
Il 2° comma n. 3) dell’art. 18 I. fai!. prescrive, per contro, che il reclamo contro la
sentenza di fallimento deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto
su cui si basa l’impugnazione, con le relative conclusioni.
Se dunque, a differenza che nell’art. 342 c.p.c. (nel testo vigente alla data di entrata
in vigore del d. Igs. n. 169/07) , non è richiesta l’indicazione degli “specifici motivi” e
se deve, del pari, ritenersi inapplicabile, in difetto di richiamo, il disposto dell’art. 345
c.p.c. (il che consente di affermare che il legislatore ha inteso adeguare il mezzo alla
natura camerale dell’intero procedimento, escludendone l’assoggettabilità alla
disciplina propria dell’appello), ciò nondimeno la rigorosa formulazione della norma
impedisce di configurare il reclamo ex art. 18 I. fall. in termini pienamente devolutivi,
ovvero quale mezzo a critica illimitata, nel quale sarà sufficiente lamentare
l’erroneità della decisione per ottenerne la riforma.
La disposizione in esame circoscrive infatti, inequivocabilmente, l’ambito
dell’impugnazione alle sole questioni tempestivamente dedotte dal reclamante.
Ne consegue che la corte del merito investita del reclamo, pur essendo tenuta ad
esaminare tutti i temi di indagine oggetto di doglianza – anche se attinenti a fatti
(anteriori) non allegati nel corso del procedimento di primo grado od a nuove
eccezioni in senso proprio, ed anche quando il reclamante si limiti a riproporre le tesi
difensive già addotte, senza contrastare altrimenti le motivazioni in base alle quali il
tribunale le ha respinte – non può spingersi sino al punto di valutare d’ufficio la

impugnazione ed attribuisce alla corte d’appello il riesame completo della res

ricorrenza dei presupposti di fallibilità che non sono in contestazione.
La conclusione, d’altro canto, è coerente con i principi generali vigenti in materia di
impugnazione, secondo i quali sono coperti da giudicato interno tutti gli accertamenti
di fatto (implicitamente od esplicitamente) contenuti in una sentenza che
costituiscono presupposto indefettibile della pronuncia e che non hanno formato

2) II secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta che la corte territoriale abbia
escluso, in fatto, la natura di società agricola di ALI.B10, va invece dichiarato
inammissibile per difetto di interesse all’impugnazione.
Tale parte della pronuncia, infatti, non forma un capo della decisione suscettibile di
passare in giudicato, atteso che il giudice a quo, dopo aver correttamente ritenuto
inammissibile la relativa questione perché coperta da giudicato interno, l’ha
inutilmente esaminata anche nel merito (cfr. fra molte, Cass. SS.UU. nn. 2078/90 ,
5794/92 e, da ultimo, 3840/07).
3) Con il terzo motivo i ricorrenti contestano che il concordato potesse essere
dichiarato inammissibile per l’omessa evidenziazione, nel piano, dell’avvenuto
rilascio da parte di ALI.B10 di una fideiussione a prima richiesta dell’importo di circa
5 milioni di euro in favore di una società di assicurazione che aveva, a sua volta,
garantito un debito di pari importo dalla s.p.a. Consorzio Eurosviluppo Industriale
(controllante della fallita) verso il Ministero dell’Economia. Rilevano a riguardo che
non è provato che della garanzia vi fosse traccia nella contabilità aziendale e che, in
ogni caso, il credito – escusso dalla garantita in data successiva alla dichiarazione di
fallimento (e dunque costituente fatto soprawenuto del quale non poteva tenersi
conto nel giudizio di opposizione), contestato giudizialmente e privo dei caratteri
della certezza, liquidità ed esigibilità – avrebbe potuto incidere unicamente sulla
convenienza della proposta, la cui valutazione è rimessa in via esclusiva ai creditori.
Il motivo è manifestamente infondato.
Ai sensi dell’art. 161 2° comma I. fall., la domanda di concordato deve essere

oggetto di censura.

accompagnata (fra l’altro) da una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale,
economica e finanziaria dell’impresa e dall’elenco nominativo dei creditori, con
l’indicazione dei rispettivi crediti.
Una domanda che non evidenzi l’avvenuta prestazione di una garanzia, oltretutto di
assai rilevante ammontare, e che non includa nell’elenco dei creditori il terzo

eventuale, in quanto condizionato all’inadempimento del debitore principale) è
dunque, per ciò stesso, priva di uno dei requisiti richiesti per la sua ammissibilità.
E’ indubbio, d’altro canto, che la garanzia di cui si discute fosse stata rilasciata da
ALI.B10 in data anteriore alla presentazione della proposta di concordato, sicché è
del tutto irrilevante che il credito da essa derivante sia stato concretamente escusso
dalla società garantita solo in data successiva.
Risulta, infine, incomprensibile l’assunto dei ricorrenti secondo cui “non vi sarebbe
prova che della garanzia vi fosse traccia nella contabilità aziendale”, atteso che, per
un verso, il legale rappresentante della proponente non poteva certo ignorare di
averla rilasciata (sicché l’eventuale sua omessa annotazione nella contabilità e/o in
bilancio configurerebbe un illecito) e che, per l’altro, la domanda non è stata
dichiarata inammissibile a causa della falsità della dichiarazione del professionista
attestatore, ma per l’omessa evidenziazione di una posta passiva certamente idonea
ad incidere sulle prospettive di realizzazione del piano e che andava pertanto resa
nota ai creditori al fine di consentire loro di esprimere un voto consapevole sulla
proposta.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, che si liquidano in € 6.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori di
legge.
Roma, 7 marzo 2014.

garantito (precisando, se del caso, che il credito di cui questi è titolare è meramente

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