Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12702 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. I, 25/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 25/06/2020), n.12702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36401/2018 proposto da:

H.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Taranto n. 90,

presso lo studio dell’avv. Luciano Natale Vinci, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avv. Giuseppe Mariani;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Potenza, depositato il

17/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal Cons. GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 4 ottobre 2018 il Tribunale di Potenza ha respinto la domanda proposta da H.G., nativo del Camerun, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.

In estrema sintesi, il Tribunale anzidetto ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione, invocata dal richiedente, avuto riguardo alle dichiarazioni rese da quest’ultimo e alla situazione generale del Camerun, rappresentata nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza.

Avverso il descritto decreto il richiedente propone ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi.

Il Ministero resiste, depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I) Con il primo motivo il ricorrente chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per la violazione degli artt. 3,10,24,111 e 117 Cost., e dell’art. 6CEDU, in relazione all’adozione del rito camerale e all’eliminazione del grado d’appello.

L’istanza non è meritevole di accoglimento.

Con l’ordinanza n. 17717 del 5/7/2018, condivisa dal Collegio, questa Corte ha già affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Ciò in quanto il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.

La manifesta infondatezza della questione de qua è stata ribadita anche con l’ordinanza n. 27700 del 30/10/2018, che ha puntualizzato che nel procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è necessario soddisfare esigenze di celerità; non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado e il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa, che si svolge davanti alle commissioni territoriali, deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

II) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.p., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, degli artt. 10,32,2 e 32 Cost..

Deduce che il Tribunale non avrebbe valutato correttamente le circostanziate dichiarazioni del ricorrente, che sarebbe stato costretto a fuggire dal proprio Paese perchè accusato falsamente dallo zio di intrattenere rapporti intimi con altri uomini e, messo alla berlina davanti a tutta la comunità del villaggio, sarebbe stato accusato di rovinare il nome della religione musulmana. Il Giudice di merito, inoltre, nel valutare la credibilità del racconto, non avrebbe adottato il metodo istruttorio prescritto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e non avrebbe valutato adeguatamente la condizione generale del Paese di origine del richiedente.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale di Potenza ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente, vago e non circostanziato, rimarcando che egli, “all’udienza del 28 marzo 2018, in sede di audizione (nella quale si era limitato a dichiarare di non avere in Patria sorelle, fratelli e genitori), non aveva fugato i molteplici dubbi che hanno portato la Commissione a non riconoscergli la protezione internazionale. Permangono difatti una grave carenza descrittiva nella dinamica dei fatti ed una sommaria descrizione degli elementi di timore in caso di rientro”.

Sulla base di siffatti rilievi il Tribunale ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento in favore del richiedente dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Nessun vizio inficia le argomentazioni del Tribunale.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzitutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. ord., n. 16925/18).

Nel caso in esame, correttamente è stata esclusa la necessità di approfondimenti istruttori, essendosi al cospetto di un racconto ritenuto “vago e non circostanziato” alla stregua dei parametri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Il Tribunale di Potenza ha poi aggiunto che le criticità, che attualmente riguardano il Camerun, si concentrano nelle regioni dell’estremo nord e in quelle anglofone e non sussiste in tutto il paese il rischio di violenza indiscriminata.

Deve premettersi che questa Corte (cfr., amplius, Cass. n. 32064 del 2018, in motivazione) ha chiarito che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretata in conformità alla fonte Eurocomunitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono, di per sè, una minaccia individuale da definirsi come danno grave (cfr. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE). Ciò in quanto l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente laddove il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza gli scontri tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, raggiunga un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, rinviato nel paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (cfr., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018).

Una specifica situazione di tal fatta, però, è stata esclusa dal Tribunale di Potenza con riguardo al Camerun e questo accertamento costituisce un’indagine di fatto che può esser censurata in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: il che non è avvenuto, sicchè l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.

III) Con il terzo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento in suo favore della protezione umanitaria, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale, nel negare la protezione umanitaria, non avrebbe considerato la sua condizione personale di vulnerabilità e su tale aspetto di carattere decisivo non avrebbe svolto accertamenti.

Il motivo è inammissibile.

In ordine alla protezione umanitaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità, che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).

Nel caso di specie, il giudice del merito ha rimarcato che dalle stesse dichiarazioni rese dal ricorrente non si evinceva una situazione di vulnerabilità individualizzata e specifica, emergendo che il medesimo aveva abbandonato il Paese per il desiderio di trovare migliori condizioni di vita e possibilità di lavoro.

Alla luce di quanto precede è dunque evidente che la doglianza del ricorrente è inammissibile, non avendo egli assolto all’onere, sul medesimo incombente, di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato.

IV) Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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