Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12700 del 20/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 20/06/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 20/06/2016), n.12700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7030/2014 proposto da:

DITTA DILERNIA, in persona del titolare, elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato

GEMMA PATERNOSTRO, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO

APREA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1855/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI del

13/ 12/2013, depositata i123/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato Antonio Aprea difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti e chiede l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con la sentenza impugnata, pubblicata il 23 dicembre 2013, la Corte di appello di Bari, quale giudice di rinvio dalla Cassazione, in forza di sentenza n. 12887/2009, definitivamente decidendo sull’appello proposto dal Ministero delle Finanze – Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, con atto di citazione notificato il 4 aprile 2001, avverso la sentenza n. 656 resa dal Tribunale di Bari il 7 gennaio/22 febbraio 2000, nel contraddittorio con l’appellato G.M., quale titolare della ditta DILERNIA, nella causa riassunta ad iniziativa di quest’ultimo, ex art. 392 c.p.c., con atto notificato a mezzo del servizio postale in data 11 luglio 2009, ha così deciso:”1) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza del Tribunale di Bari n. 656/2000, rigetta la domanda proposta dal G., nella suddetta qualità;

2) compensa integralmente tra le parti le spese processuali di tutte le fasi e gradi del processo, ivi compreso il presente giudizio di rinvio”.

1.1.- La Corte d’appello ha deciso sulla domanda di restituzione d’indebito che il G. aveva avanzato nei confronti del Ministero delle Finanze-A.A.M.S. per la restituzione della somma di Lire 511.003.000, trattenuta dalla committente sui compensi maturati in favore della ditta DILERNIA, quale vettore di generi di monopolio, a causa della perdita del carico trasportato da un autocarro della ditta il giorno 10/12/1985, per una rapina perpetrata da ignoti. Il giudice di rinvio ha ritenuto che la presunzione di responsabilità ex recepto del vettore di cui all’art. 1693 c.c., non fosse stata vinta con la prova, spettante allo stesso vettore, dell’inevitabilità assoluta della rapina ed, interpretando le clausole di cui agli artt. 5 e 6 del capitolato che regolava i rapporti tra la p.a. e la DILERNIA, ha reputato che questa non potesse andare esente da responsabilità solo perchè aveva stipulato una polizza assicurativa contro il rischio di rapina, così come imposto dall’art. 6 di detto capitolato. Accogliendo l’appello del Ministero, ha perciò rigettato, come detto, la domanda di restituzione di indebito avanzata dal vettore.

2.- La ditta DILERNIA, in persona del titolare G.M., propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato non si difende.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso si articola nelle seguenti due censure:

– prima parte: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare in tutti i suoi profili, anche documentali, il fatto decisivo consistente “nelle concrete modalità di perdita della merce (generi di monopolio), consegnata dalla A.A.M.S. e trasportata dalla ditta ricorrente, nonchè sulle ricadute giuridiche di tale perdita”. In particolare, non avrebbe tenuto conto della sentenza istruttoria penale; dell’allegato A) art. 3) delle condizioni addizionali della polizza assicurativa n. (OMISSIS) del 15 gennaio 1985 (“Rischi di furto totale e rapina);

dell’appendice n. 1 art. 1) “Clausola furto e rapina” allegata alle citate condizioni addizionali della suddetta polizza n. (OMISSIS);

della mancata contestazione di tutte le parti costituite, in tutte le pregresse fasi del giudizio, del fatto storico della sottrazione della merce e della sua qualificazione giuridica quale “rapina” (ai sensi dell’art. 628 c.p.).

– seconda parte: nullità della gravata sentenza per violazione degli arti. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorrente ripropone, come violazione di legge, specificamente dei primi tre articoli del c.p.c. indicati in rubrica, le medesime censure di cui alla prima parte, sostenendo che la sentenza sarebbe, oltre che viziata nella motivazione, anche nulla perchè il giudice non avrebbe tenuto conto dei fatti dedotti dalla parte attrice e non contestati dalle controparti (ed anzi riscontrati dagli elementi documentali suddetti), da cui si sarebbe dovuto desumere che le circostanze di luogo e di tempo e le modalità (utilizzo di forza, violenza, oltre che di armi da fuoco, con dispiego di uomini e mezzi) con cui si è svolta la rapina del 10 dicembre 1985 sarebbero state tali da renderla assolutamente imprevedibile ed inevitabile, per essere le medesime equiparate al caso fortuito, quale causa di esonero dalla responsabilità ex recepto di cui all’art. 1693 c.c..

Aggiunge che la relativa motivazione sarebbe apparente, oltre che incompleta e carente.

1.1. Il ricorrente propone un secondo mezzo col quale formula una censura, la cui rubrica coincide con quella della seconda parte del primo motivo, e precisamente: nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Nell’illustrazione si insiste, in particolare, nella dedotta mancata considerazione, da parte del giudice di merito, dei documenti contrattuali prodotti dalle parti (condizioni addizionali della polizza assicurativa ed appendice, sopra menzionati) e si sottolinea che, se esaminati, avrebbero dovuto portare alla conclusione che il vettore si era scrupolosamente attenuto alle prescrizioni imposte, nel trasporto della merce, sia dall’Amministrazione che dalla compagnia assicuratrice, ponendo in essere tutte le speciali cautele del caso. Inoltre, queste circostanze nemmeno sarebbero state contestate dall’Amministrazione convenuta, che avrebbe impostato la propria linea difensiva sull’interpretazione da darsi alle condizioni generali di contratto (di cui al terzo ed al quarto mezzo del presente ricorso), non sulla responsabilità ex recepto del vettore.

2.- I motivi – che vanno esaminati congiuntamente poichè attengono entrambi alla ricostruzione ed alla valutazione dei fatti da parte del giudice di merito – non meritano di essere accolti.

La Corte d’appello ha preso le mosse da un orientamento giurisprudenziale consolidato il quale assume che la presunzione di responsabilità ex recepto che l’art. 1693 c.c., pone a carico del vettore può essere vinta solo dalla prova specifica della derivazione del danno da un evento positivamente identificato e del tutto estraneo al vettore stesso, ricollegabile alle ipotesi del caso fortuito e della forza maggiore, le quali non ricorrono automaticamente nel caso di rapina, richiedendosi anche che questa appaia improbabile e, comunque, assolutamente inevitabile (cfr., da ultimo, Cass. n. 28612/13 e n. 15107/13). In particolare, la Corte d’appello ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 18235/03 (secondo cui “Nel contratto di trasporto, per integrare l’esimente del caso fortuito prevista dall’art. 1693 c.c., non è sufficiente che un evento come la rapina appaia solo improbabile, ma occorre anche che esso sia imprevedibile, in base ad una prudente valutazione da effettuarsi, in caso di vettore professionale, con la diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, ed assolutamente inevitabile, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto e delle possibili misure idonee ad elidere od attenuare il rischio della perdita del carico con la precisazione che – attesa la particolare diligenza imposta al vettore nella custodia delle cose affidategli – la semplice denuncia di essere vittima di una rapina non è di regola sufficiente ad escludere la responsabilità del vettore per la perdita della merce trasportata”), confermata da giurisprudenza successiva (Cass. n. 17398/07, n. 7533/09, n. 11024/09), che qui si ribadisce.

Il ricorrente non contesta il ricorso alla norma dell’art. 1693 c.c., ma – per come risulta dalle tre censure svolte nei due mezzi in esame – sostanzialmente deduce che vi sarebbe stata la prova dell’adozione di tutte le cautele del caso e di modalità di svolgimento della rapina tali che l’avrebbero resa assolutamente inevitabile.

Premesso che la prevedibilità ed evitabilità della rapina, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1693 c.c., costituiscono oggetto di un giudizio di fatto, non censurabile in Cassazione ove adeguatamente motivato (così, tra le altre, Cass. n. 18235/03 e n. 11024/09 cit.), le censure in esame risultano per un verso, inammissibili e, per altro verso, infondate.

2.1.- E’ inammissibile la censura svolta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla sentenza impugnata, pubblicata il 23 dicembre 2013. Sebbene il vizio di motivazione sia stato denunciato “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, l’illustrazione di cui alla prima parte del primo motivo evidenzia asserite lacune della motivazione, che tutt’al più la potrebbero rendere insufficiente.

Questa Corte Suprema ha già chiarito che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv.

in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (così Cass. S.U. n. 8053/14).

I vizi della motivazione denunciati dal ricorrente attengono, in sostanza, all’asserito mancato esame della sentenza istruttoria penale (e degli atti presupposti), nonchè delle condizioni addizionali della polizza di assicurazione: la relativa denuncia si traduce nell’omesso esame di elementi istruttori ed è, per quanto detto, inammissibile.

2.2.- Le censure di omessa od apparente motivazione così come quelle di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per non aver considerato le deduzioni difensive delle parti convenute sono infondate.

L’assunto di omessa motivazione non corrisponde al vero, in quanto la Corte di merito ha esaminato proprio, e specificamente, il “fatto storico” della rapina, nella prospettiva della sua inevitabilità, rilevante per il giudizio da esprimere sulla responsabilità del vettore ai sensi dell’art. 1693 c.c..

Parimenti, non corrisponde al vero che il giudice non si sia curato degli atti del procedimento penale, poichè la sentenza esamina espressamente “quel poco che hanno dichiarato ai Carabinieri di Andria i dipendenti della ditta DILERNIA DI G.M., P.E. e C.V.” e lo ritiene insufficiente alla ricostruzione della dinamica della rapina. Nè siffatta dinamica risulta emergere – contrariamente a quanto si assume in ricorso –

dalla sentenza istruttoria penale che si limita a dichiarare il non luogo a procedere per essere rimasti ignoti gli autori del reato: il dato ulteriore che si dovrebbe desumere da questa sentenza, secondo il ricorrente, è l’uso delle armi da parte degli ignoti malviventi;

ma di questo dato il giudice del rinvio ha, sia pure implicitamente, tenuto conto nell’esaminare e ritenere inadeguate le dichiarazioni degli autisti, riportate in motivazione (che vi avevano fatto riferimento).

Il giudice del merito ha avuto modo di precisare che “nessuna indicazione risulta fornita in ordine all’ora della rapina e al punto preciso in cui venne commessa; se l’autocarro su cui viaggiavano i due denuncianti era fermo o in movimento, e, in questa seconda evenienza, come gli ignoti malfattori siano riusciti a fermare la corsa del mezzo (speronamento, blocco stradale o altro stratagemma);

se l’autocarro fosse o meno dotato di un sistema di allarme o di altro meccanismo che ne impedisse la ripresa della corsa, una volta bloccato dai malviventi; ecc.”.

2.2.- Questa motivazione, per nulla apparente, circa la mancanza di elementi istruttori atti a ricostruire le effettive e concrete modalità di consumazione del reato, trova riscontro nel materiale istruttorio messo a disposizione dalla parte attrice.

Essendo mancati elementi idonei alla ricostruzione dell’evento criminoso, la parte qui ricorrente non può certo pretendere che l’onere probatorio da cui è gravata fosse considerato assolto con la mera allegazione, nell’atto introduttivo della lite (ripetutamente richiamato e riprodotto in ricorso), di circostanze di fatto rimaste, poi, sfornite di riscontro istruttoria. Nè risulta una situazione processuale di non contestazione idonea a sollevare la parte da detto onere probatorio.

E’ vero che il Ministero convenuto non ha contestato che la perdita della merce sia stata causata da rapina. Tuttavia, alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata, va precisato che, data per accaduta una rapina della merce trasportata dal vettore, la prova dell’inevitabilità assoluta della consumazione del reato spetta al vettore, il quale, attesa la presunzione di responsabilità di cui all’art. 1693 c.c., è gravato dall’onere di provare le circostanze concrete in cui la rapina è stata commessa ed il fatto che queste l’abbiano resa assolutamente inevitabile malgrado l’adozione di cautele volte a prevenirne il rischio.

Questi fatti non avrebbero potuto costituire oggetto di non contestazione, in quanto estranei alla sfera di conoscenza del Ministero convenuto (cfr. Cass. n. 3576/13 nel senso che l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ad essa ignoti).

Comunque, l’impostazione difensiva del Ministero è stata tale da presupporre la responsabilità ex recepto del vettore, non certo da escluderne la ricorrenza: come meglio si dirà trattando degli altri due motivi, in tanto il Ministero avrebbe potuto invocare – così come ha invocato – l’insussistenza di un’ipotesi di esclusione convenzionale della responsabilità ex recepto del vettore e chiedere perciò il riconoscimento di questa responsabilità in capo alla DILERNIA, in quanto ne ha presupposto la sussistenza per mancanza di una causa di esonero ex art. 1693 c.c..

Non si configura perciò alcuna non contestazione nè alcun vizio della sentenza per non averne tenuto conto.

2.3.- Infine, la censura di mancata considerazione da parte del giudice del merito dalle condizioni generali e dell’appendice della polizza assicurativa (contenenti le cautele imposte al vettore per l’operatività della garanzia per il furto e la rapina) risulta inammissibile: sia perchè (consistendo nella deduzione di omesso esame di parte del materiale probatorio) trattasi, come già detto, di censura non riconducibile al testo attuale dell’art. 360 c.p.c., n. 5; sia perchè si tratterebbe comunque di risultanze documentali del tutto irrilevanti, alla stregua del ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice di merito.

Avendo questi ritenuto non provate le modalità concrete dell’esecuzione della rapina, non si sarebbe mai potuta raggiungere la dimostrazione che le cautele imposte dalla compagnia di assicurazione (in particolare, viaggi diurni, presenza di due autisti, apparecchio antifurto), che il ricorrente sostiene di aver adottato, fossero non solo necessarie ma anche sufficienti; ed invero solo le concrete modalità del fatto (rimaste ignote) avrebbero consentito di individuare le misure idonee, se non ad eliminarne il rischio, quanto meno a renderlo altamente improbabile.

In conclusione, i primi due motivi vanno rigettati.

3.- Col terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione agli artt. 5) e 6) del capitolato allegato al contratto di appalto, alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente lamenta che, nell’interpretare le clausole del capitolato, la Corte di merito non avrebbe indagato la reale comune intenzione delle parti e non ne avrebbe valutato il comportamento complessivo (ed anche per la fase esecutiva). Sostiene che l’art. 6 si sarebbe dovuto interpretare nel senso che il vettore sarebbe andato esente dal rischio “rapina”, alla condizione che avesse effettuato regolare assicurazione (anche) per quel rischio: avendo a ciò provveduto (come da documentazione prodotta, relativa alla polizza stipulata con la Milano Assicurazioni, mai contestata), la ditta Dilemia sarebbe stata del tutto esonerata sia dalla responsabilità contrattuale che dall’onere probatorio posto a suo carico in merito alla violenta “sottrazione” della merce per la subita rapina. Aggiunge che sull’esistenza e sull’operatività della polizza assicurativa si sarebbe formato un giudicato interno e che sarebbe errata l’interpretazione data dal giudice di merito anche all’art. 5 del capitolato speciale – concernente le ipotesi di “mancanze ed avarie”, che sono del tutto differenti dalla “rapina”.

3.1.- Col quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 12) del capitolato allegato al contratto di appalto, alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, al fine di censurare la sentenza laddove ha valorizzato, a sostegno dell’interpretazione data alle clausole 5 e 6 del capitolato, il comportamento tenuto dalla ditta Dilernia a fronte della trattenuta operata dall’Amministrazione sui compensi spettanti in base al contratto di appalto: evidenzia il ricorrente che il vettore non si sarebbe potuto opporre a questa trattenuta, anche ritenendola illegittima, perchè la facoltà dell’Amministrazione era espressamente prevista dall’art. 12 del capitolato, che riconosceva un diritto di ritenzione sul corrispettivo dell’appalto in caso di responsabilità per i fatti previsti nell’art. 6.

4.- I motivi – che vanno esaminati congiuntamente perchè attengono entrambi all’interpretazione del capitolato del contratto di appalto – non sono fondati.

Le clausole in contestazione sono le seguenti:

– art. 5: “L’assuntore risponde delle mancanze ed avarie dei generi che ha preso in consegna dal Deposito della manifattura di Bari, fermo restando le eventuali responsabilità a carattere penale e si obbliga alla rifusione del danno…”, secondo i criteri specificati nel prosieguo dello stesso articolo;

art. 6: “L’assuntore deve obbligatoriamente effettuare regolare assicurazione per il rischio rapina, con scoperto non superiore al 10%, impegnandosi ad osservare le prescrizioni cautelari poste dall’assicuratore.

In difetto risponderà direttamente, a prezzo pieno di tariffa, come in tutti gli altri casi di mancanze previste dal precedente articolo.

Valida polizza assicurativa, a copertura degli automezzi impiegati e per i massimali adeguati ai valori dei carichi, di cui al precedente art. 2, deve essere prodotta all’atto della stipula del contratto, pena la decadenza dall’aggiudicazione”.

4.1.- La Corte d’appello ha interpretato la seconda delle due clausole nel senso che la previsione di una valida polizza assicurativa per il rischio rapina “trova la sua giustificazione nell’esigenza di tutelare la posizione della P.A. nelle ipotesi in cui non sia configurabile la responsabilità ex recepto del vettore, per essere la perdita del carico derivata da una rapina integrante gli estremi di un evento ricollegabile alle ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore, come tale idoneo ad esonerare il vettore medesimo da qualsiasi obbligazione risarcitoria”.

Trattasi di interpretazione del contratto del tutto coerente col suo dato letterale e, contrariamente a quanto si assume in ricorso, per nulla smentita dalla comune intenzione delle parti quale si sarebbe dovuta desumere dalle condotte tenute da queste ultime prima e dopo la conclusione del contratto.

4.2.- Si può convenire con il ricorrente sul fatto, dedotto col quarto motivo, che non sia decisivo il richiamo che la Corte d’appello ha fatto alla condotta della Dilernia di non opposizione all’esercizio, da parte della p.a., del proprio diritto di ritenzione, in quanto il vettore non ha mai contestato la pretesa creditoria accampata dai Monopoli di Stato per la perdita del carico a seguito della rapina del 10 dicembre 1985. In effetti, si tratta di un comportamento che può spiegarsi anche alla luce del disposto del richiamato art. 12 del capitolato, che riconosceva alla pubblica amministrazione un diritto di ritenzione per ogni ipotesi di responsabilità del vettore, senza necessità di intimazione o di condanna giudiziale.

Tuttavia, va considerato che la Corte ha utilizzato l’argomento non tanto al fine di corroborare il proprio giudizio di responsabilità ex recepto del vettore, quanto al fine di dimostrare come negli scritti difensivi prodotti dalla Dilernia nel giudizio in cui era stata parte la società di assicurazione, si fosse dato per scontato che l’art. 6 del capitolato consentisse all’Amministrazione la scelta tra agire direttamente nei confronti del vettore ovvero percepire l’indennizzo assicurativo.

4.2.- In sostanza, è questa anche l’interpretazione della Corte d’appello. Secondo quest’ultima, detto art. 6 non è da intendersi come una norma a favore del vettore – tale cioè che gli avrebbe consentito di andare completamente esente da responsabilità solo che avesse stipulato una polizza assicurativa, anche se avesse dovuto rispondere ai sensi dell’art. 1693 c.c.. Piuttosto, è da intendersi come una norma a favore dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, volta ad assicurare a quest’ultima di contare sulla garanzia assicurativa anche qualora il vettore fosse andato esente da responsabilità; in caso contrario, consentendogli, però, di scegliere tra l’indennizzo assicurativo e l’escussione diretta del vettore responsabile.

L’interpretazione, che, come detto, non trova smentita nel dato letterale del primo e del comma 2 dell’art. 6, è coerente con la previsione dell’ultimo comma – evidenziata pure in sentenza – per la quale la garanzia aggiuntiva costituiva condizione per la stipula del contratto, pena la decadenza dall’aggiudicazione: ciò, che conferma che si tratta di clausola di favore per la pubblica amministrazione.

Questo ragionamento non è per nulla scalfito dalle considerazioni svolte in ricorso, che si limitano sostanzialmente a contrappone l’interpretazione del contratto più favorevole al ricorrente, senza evidenziare quale sarebbe il dato letterale e/o il comportamento delle parti che, se considerato dal giudice del merito, avrebbe dovuto condurre ad interpretare diversamente l’art. 6.

Nè coglie nel segno il ricorso quando tende a sottolineare la differenza tra questo articolo ed il precedente art. 5: non vi è dubbio che le due clausole contrattuali abbiano ad oggetto due fattispecie diverse. E però la Corte di merito, nell’affermare che la perdita del carico dovesse essere “ricondotta, quindi,… alle ipotesi previste dall’art. 5 del Capitolato…” onde concludere per la responsabilità del vettore, non ha fatto altro che avvalersi del rinvio all’art. 5 contenuto nello stesso art. 6. Questo, infatti, nel secondo comma regola la responsabilità diretta del vettore “a prezzo pieno di tariffa, come in tutti gli altri casi di mancanze previste dal precedente (e non “presente”, come erroneamente riportato in ricorso) articolo”>>.

La regola convenzionale è dettata espressamente per il caso della mancanza di assicurazione per il rischio rapina, perchè di questa si occupa tutto l’art. 6. La disciplina pattizia ivi contenuta impone l’obbligo di assicurazione e l’impegno ad osservare le prescrizioni cautelari imposte dall’assicuratore; quindi, regola l’ipotesi della violazione dell’obbligo o dell’impegno (“in mancanza…”), ma nulla dice sulla responsabilità del vettore. La clausola in esame non è stata affatto predisposta dalle parti come una deroga convenzionale alle regole di responsabilità dettate dalla legge per il contratto di trasporto: nè l’art. 6 nè altra clausola contengono deroga alcuna alle ipotesi di responsabilità del vettore desumibili dalla disciplina ordinaria, che non è nemmeno menzionata (laddove, se si fosse trattato di un’esenzione convenzionale di responsabilità del vettore, avrebbe dovuto essere quest’ultima l’oggetto della previsione pattizia, quanto meno al solo scopo di escluderne la ricorrenza in caso di rispetto dell’obbligo di assicurazione).

Piuttosto, come ritenuto dal giudice di merito, il capitolato si limita ad aggiungere alla responsabilità regolata dall’art. 1693 c.c., operante per legge, un’ulteriore ipotesi di responsabilità per mancata stipula della garanzia assicurativa (o mancata osservanza delle prescrizioni imposte dall’assicuratore), a tutto vantaggio dell’Amministrazione committente.

Dal momento che questa interpretazione risulta raggiunta dal giudice di merito mediante il corretto impiego dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., senza che si riscontrino le carenze logico-giuridiche lamentate dal ricorrente, le censure di cui al terzo ed al quarto motivo vanno respinte.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese poichè l’intimato non si è difeso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2016

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