Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12697 del 25/05/2010

Cassazione civile sez. III, 25/05/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 25/05/2010), n.12697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3112-2006 proposto da:

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato TRALICCI

GINA, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ALPI ASSICURAZIONI S.P.A. IN L.C.A. (OMISSIS), in persona del

Commissario Liquidatore C.W., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio

dell’avvocato IANNOTTA GREGORIO, che la rappresenta e difende giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.A., GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 16089/2005 del TRIBUNALE di ROMA, SEZIONE 23^

CIVILE, emessa il 18/06/2005, depositata il 13/07/2005 R.G.N.

49251/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. ALBERTO TALEVI;

udito l’Avvocato IANNOTTA ALESSANDRA (per delega Avv. IANNOTTA

GREGORIO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.

Con atto di citazione regolarmente notificato, C.F. conveniva dinanzi al giudice di pace di Roma D.A., la Alpi s.p.a. in l.c.a. e la Generali s.p.a., quale impresa designata L. 24 dicembre 1969, n. 990, ex art. 19. L’attore chiedeva la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un sinistro stradale, avvenuto ad (OMISSIS), e causato – secondo la prospettazione attorea – da un veicolo di proprietà di D.A., ed assicurato all’epoca dell’evento con la Alpi s.p.a., successivamente posta in liquidazione coatta amministrativa. Si costituiva la sola Alpi s.p.a.

in l.c.a., eccependo l’incompetenza per territorio del giudice adito;

l’inammissibilità (recte improcedibilità) della domanda per mancato rispetto del termine di cui al D.L. n. 576 del 1978, art. 8; la prescrizione del diritto; l’inammissibilità di pronunce di condanna nei confronti dell’impresa in l.c.a.; nel merito eccepiva l’assenza di responsabilità di D.A..

Con sentenza 13.5.1998 n. 4410, il giudice di pace di Roma rigettava la domanda nei confronti di tutti i convenuti, ritenendo prescritto il diritto azionato dall’attore.

La sentenza veniva tempestivamente impugnata dall’attore, il quale a fondamento del gravame deduceva;

(a) che nella specie doveva applicarsi il termine di prescrizione quinquennale, e non quello biennale ritenuto invece applicabile dal primo giudice;

(b) che, in ogni caso, anche il termine biennale di prescrizione era stato interrotto con varie lettere di costituzione in mora, delle quali l’appellante dichiarava di “rinnovare la produzione in uno (sic) al presente atto di appello”;

(c) che comunque l’eccezione di prescrizione poteva giovare alla sola eccipiente, cioè la Alpi s.p.a. in l.c.a., ma non agli altri convenuti contumaci.

Anche nel giudizio di appello si costituiva la sola Alpi s.p.a. in l.c.a., reiterando tutte le eccezioni già sollevate in primo grado.

Con sentenza 23.11.1999 n. 23345, questo Tribunale:

(a) rigettava l’appello come proposto nei confronti della Alpi s.p.a.

in l.c.a. e della Generali s.p.a, ritenendo prescritto il diritto;

(b) accoglieva invece il gravame con riferimento alla domanda proposta nei confronti di D.A., sul presupposto che questi, rimasto contumace, non poteva giovarsi dell’eccezione di prescrizione sollevata dal consorte di lite;

(e) rimetteva la causa sul ruolo con separata ordinanza perchè fosse istruito il merito della domanda.

La suddetta sentenza d’appello 23345/99 veniva impugnata per cessazione da C.F., il quale allegava che:

(1) erroneamente il Tribunale aveva escluso l’ammissibilità della produzione dei documenti (dimostranti l’interruzione della prescrizione) nel grado di appello;

(2) in ogni caso, tali documenti risultavano ritualmente prodotti in primo grado;

(3) infine, aveva errato il Tribunale nel ritenere applicabile il termine di prescrizione biennale in luogo di quello quinquennale.

Con sentenza 20.1.2004 n. 774, la S.C. rigettava il terzo motivi di ricorso, accoglieva il secondo e dichiarerà assorbito il primo. Di conseguenza, cassava la sentenza impugnata rinviando il giudizio a questo Tribunale. Il giudizio veniva riassunto a cura dell’appellante C.F., il quale provvedeva a notificare l’atto di riassunzione anche ad D.A..

In questa fase di rinvio si costituiva la sola Alpi s.p.a. in l.c.a., tornando ad eccepire l’inammissibilità di una pronuncia di condanna nei confronti dell’impresa in l.c.a. e, nel merito, l’assenza di responsabilità dell’assicurato nella causazione del sinistro.

Precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 23.5.2005″.

Con sentenza 18.6 – 13.7.2005 il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, così provvedeva:

“-) dichiara improcedibile la domanda come proposta da C. F. nei confronti di D.A., Generali Assicurazioni s.p.a. e Alpi s.p.a. in l.c.a.;

-) condanna C.F. alla rifusione in favore di Alpi s.p.a. in l.c.a. delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 200 per spese; Euro 1.000 per diritti di procuratore; Euro 1.500 per onorari di avvocato, per complessivi Euro 2700, oltre spese generali D.M. 8 aprile 2004, n. 127, ex art. 14 I.V.A. e C.N.A.”.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione C. F..

Ha resistito con controricorso la Alpi Assicurazioni s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la parte ricorrente denuncia “VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELLE NORME DI DIRITTO EX ART. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo all’art. 324 c.p.c.” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente, La Suprema Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 774/04, ha imposto al Giudice del rinvio di esaminare i documenti tardivamente prodotti in appello dall’istante in tal modo implicitamente decidendo, in via definitiva, sulla stessa questione di improcedibilità della domanda stessa con conseguente preclusione di riesame dell’eccezione de qua da parte del Tribunale del rinvio (V. Cass. 18/10/1991, al 1017; e Cass. 04/02/1986, n. 689). Avendo il Giudice di Appello e la Corte di Cassazione delibato sulle preliminari di merito, avevano ritenuto procedibile L. n. 990 del 1969, ex art. 22 e/o D.L. n. 576 del 1978, art. 8 la domanda attorea implicitamente rigettando detta eccezione.

Il primo motivo non può essere accolto.

Ritiene il collegio che pur dovendosi confermare il filone interpretativo citato dalla parte ricorrente (cfr. la recente Cass. Sentenza n. 26241 del 15/12/2009), nella fattispecie il principio stesso non possa trovare applicazione poichè questa Corte, nella predetta sentenza n. 774/04, si è limitata ad enunciare un principio di diritto in tema di ammissibilità delle prove senza vincoli ulteriori per il Giudice del rinvio; il che priva di pregio le doglianze in esame.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia: “VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELLE NORME DI DIRITTO EX ART. 360 c.p.c., n. 3 CON RIGUARDO AGLI artt. 348, 214, 215, 115 e 116 c.p.c., artt. 2943 e 2945 c.c. – VIZIO DI MOTIVAZIONE EX art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5″ esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Illegittima è la decisione con cui il Collegio ha affermato la domanda è improcedibile D.L. n. 576 del 1978, ex art. 8 … il quale stabilisce … la richiesta scritta ex art. 22 va inviata al commissario liquidatore e non all’impresa designata … lo spatium deliberami che deve intercorrere tra la richiesta scritta del danneggiato e l’inizio del giudizio risarcitorio (che è fissato in sessanta giorni …) è elevato a sei mesi …”.

Premesso che non è dato capire a quale documento, dei numerosi prodotti dall’attore, si riferisca la motivazione, va rilevato che si è omesso di valutare che in atti sono stati prodotti diversi atti interruttivi della prescrizione quali: -a) Atto di citazione notificato alla SPA ALPI in data 22.01.1992 ex art. 149 c.p.c. ed al convenuto D.A. in data 27.04.1992, allegato al fascicolo di primo grado; -b) Lettera raccomandata di richiesta danni del 18.03.1993 ricevuta dalla spa Alpi ass.ni in data 31.03.1993; – c) Lettera raccomandata di richiesta danni del 07.10.1994 ricevuta dal Commissario Liquidatore della spa Alpi ass.ni in data 19.10.1993;

– d) Lettera raccomandata di richiesta danni del 08.11.1995 ricevuta dal COMMISSARIO LIQUIDATORE della spa Alpi ass.ni in LCA, in data 13.11.1995 e dalla SPA GENERALI ASS. NI, quale impresa designata dalla spa CONSAP, in data 10.11.1995. Precisato che alla data del 1992/1993 la spa Alpi ass.ni non era ancora sottoposta a LCA, il quale fatto si è verificato soltanto in data 23.05.1994 (D.M. in pari data), si rileva un erroneo nonchè illegittimo esame, da parte del Collegio, della documentazione prodotta dall’istante. Nel biennio successivo alla data del sinistro ((OMISSIS)) è stato, invero, notificato alla spa Alpi ass.ni, in data 22.01.1992, (non ancora sottoposta a LCA per quanto sopra esposto), nonchè al sig. D.A. atto di citazione introduttivo del giudizio, successivamente dichiarato estinto, ed identico, quanto ai soggetti ed all’oggetto a quello RG. 36906/97 – Giudice di Pace di Roma – conclusosi con la sentenza n. 4410/98 (facente parte del presente procedimento). Tale notifica ha interrotto la prescrizione. Il Collegio ha omesso di esaminare l’atto. Dalle prove acquisite emerge che non vi è stata prescrizione;

nè improcedibilità della domanda. E’ erroneo l’assunto secondo cui “l’appellatile non ha affatto dimostrato di avere adempiuto all’onere posto a suo carico dal D.L. n. 576 del 1978, art. 8 …”. Invero, la difesa della sola Alpi ass.ni in LCA (essendo contumaci sia il convenuto D. che la Compagnia Generali Ass.ni) non ha mai contestato o eccepito tempestivamente, ex art. 2719 c.c. e artt. 214 e 215 c.p.c. nelle sue difese, nè la conformità all’originale nè l’avvenuta ricezione delle predette raccomandate. In sostanza il Tribunale Capitolino non soltanto ha deciso su un’eccezione mai proposta dal convenuto, ma ha inteso gravare l’attore di un onere, quale quello della prova della spedizione e/o ricezione delle raccomandate de quo, ampiamente adempiuto dallo stesso. Quanto, poi, alla dedotta violazione del principio sancito dalla Suprema Corte (Cass. SS.UU 8203/2005) circa l'”inammissibilità di documenti nuovi in appello”, si rileva che il predetto richiamo giurisprudenziale analogamente alla motivazione sul punto, dedotta dal Tribunale al solo fine di giustificare la decisione di “improcedibilità della domanda”, costituisce al tempo stesso violazione del “principio di diritto” sancito nella sentenza della Cassazione n. 774/2004 (proposta avverso la sentenza di appello n. 23354/99), nonchè dell’art. 384 c.p.c..

Anche il secondo motivo non può essere accolto.

Va anzitutto rilevato che le doglianze concernenti eventi processuali (ad es. mancate contestazioni) o risultanze istruttorie, prospettati come oggettivamente diversi rispetto a come sono stati affermati nell’impugnata decisione, debbono ritenersi inammissibili per due ragioni, ciascuna delle quali decisiva anche da sola: -A) si tratta di censure che in ultima analisi consistono nell’affermazione di inesatte percezioni da parte del Giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo. Tali censure pertanto, potrebbero eventualmente (ove ne sussistessero tutti i presupposti) costituire vizi revocatori denunciabili ex art. 395 c.p.c ma non vizi denunciabili ritualmente in sede di ricorso per cassazione (cfr. tra le altre cass. Sentenza n. 17057 del 03/08/2007; e cass. Sentenza n. 2463 del 01/02/2008); -B) anche a prescindere da quanto ora esposto la parte ricorrente non ha ottemperato al principio di autosufficienza del ricorso -applicabile pure in materia strettamente processuale – non avendo riportato ritualmente il contenuto degli atti (anche – eventualmente – di parte) e delle risultanze processuali citate (“Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non (o mal) valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse”; v. tra le altre Cass. n. 14262 del 28/07/2004; cfr. Cass. a SEZ. U n. 9561 del 16/06/2003; Cass. Sentenza n. 4849 del 27/02/2009; va ribadito che detto principio è applicabile anche in materia processuale; cfr. tra le altre Cass., Sentenza n. 978 del 17/01/2007).

Ciò premesso si osserva che il Tribunale (cfr. tra l’altro a pag. 9) non si è limitato ad affermare che di non dover “… prestare ossequio al dictum della sentenza rescindente …” ma ha esaminato in concreto (ai fini della decisione in tema di procedibilità ed ai fini della decisione in tema di prescrizione) i documenti in questione; pervenendo a decisioni su tali punti che si sottraggono al sindacato di legittimità essendo fondate su argomentazioni sufficienti, logiche, non contraddittorie e rispettose della normativa in questione.

Essendo la sentenza destinata a rimanere ferma sulla base di dette rationes decidenti, debbono ritenersi irrilevanti e quindi inammissibili le doglianze fondate su rationes diverse.

Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia “VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELLE NORME DI DIRITTO E art. 360 c.p.c., n. 3 CON RIGUARDO all’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c.” esponendo doglianze da riassumere come segue. Palesemente apparente è la motivazione in forza della quale il Tribunale Civile di Roma ha omesso di entrare nel merito della controversia quantomeno nei confronti del sig. D.A. stante la coesistenza nel nostro ordinamento delle norme ex artt. 2043 e 2054 c.c. con quelle previste dalla L. n. 990 del 1969, art. 18, comma 22. Con la sentenza n. 23345/99, emendata parzialmente dalla sentenza del Supremo Collegio n. 774/04, è stato accolto l’appello del C. acclarando la circostanza che “il diritto al risarcimento del danno dell’attore nei confronti del sig. D. non si è prescritto per carenza di eccezione da parte del convenuto”. Sulla statuizione si è formato giudicato, per omessa impugnazione della stessa, con la conseguenza che la decisione gravata con la quale è stata dichiarata improcedibile e prescritta la domanda dell’attore, anche nei confronti del D., deve ritenersi illegittima per violazione dell’art. 324 c.p.c. e del principio del ne bis in idem.

Il motivo deve ritenersi inammissibile (nella sua parte essenziale, concernente la prescrizione) in quanto ha ad oggetto una decisione che in realtà non è stata emessa.

Infatti nell’impugnata decisione si da chiaramente atto (a pag. 3) che nella decisione n. 23345/99 il gravame era stato accolto relativamente alla domanda contro il D. con riferimento alla questione della prescrizione. Da ciò e dal contesto si evince che il Tribunale non ha inteso pronunciarsi con riferimento alla prescrizione della domanda contro D.A. (tale questione in relazione a detta parte non fanno dunque parte della decisione).

Relativamente alla diversa questione della proponibilità di detta domanda contro D.A., il motivo di ricorso è inammissibile per due ragioni, ciascuna delle quali decisiva pure da sola: -A) nell’ambito del motivo in esame, talora la parte ricorrente sembra riferirsi alla sola questione della prescrizione (v. ad es. la frase “… essendo stata accertata con efficacia di giudicato la circostanza dell’insussistenza di alcuna prescrizione del diritto del C. nei confronti del D. …”) e talora invece sembra invece riferirsi pure alla questione della proponibilità; tale difetto di chiarezza è sufficiente per comportare l’inammissibilità per genericità; -B) in ogni caso, con riferimento alla questione della proponibilità manca una rituale (chiara e compiuta) censura (sotto il profilo logico e/o giuridico) munita di adeguato supporto argomentativo.

Sulla base quanto sopra esposto il ricorso va respinto.

La complessità della fattispecie costituisce giusto motivo per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010

 

 

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