Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12696 del 25/05/2010

Cassazione civile sez. III, 25/05/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 25/05/2010), n.12696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1714-2006 proposto da:

M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ACAIA 76, presso lo studio dell’avvocato BATTISTA ANTONIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALTAMURA FRANCO giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 6, presso lo studio dell’avvocato OTTAVI

LUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLIVA

GIUSEPPE giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1097/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

SEZIONE SECONDA CIVILE, emessa il 29/04/2005, depositata il

10/10/2005 R.G.N. 1481/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. ALBERTO TALEVI;

udito l’Avvocato MONACO MAURO (per delega dell’Avvocato ALTAMURA

FRANCO);

udito l’Avvocato OTTAVI LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso con

condanna alle spese.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’impugnata decisione io svolgimento del processo è svolto come segue.

“Con atto notificato a mezzo posta il 7 aprile 1992 S. G. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Forlì M. A., titolare di omonima ditta corrente in (OMISSIS), onde ottenere il risarcimento del danno causatogli il (OMISSIS) dall’improvvisa rottura della forcella di bicicletta costruita dalla ditta del convenuto. Quel giorno, lungo la statale (OMISSIS) la rottura di quel pezzo lo aveva catapultato sulla strada e gli erano derivate gravi lesioni.

Il convenuto si dichiarava estraneo all’accaduto in quanto quel pezzo era stato acquistato dalla Societè des Tubes Excell, di cui chiedeva la chiamata in causa; non si poteva pretendere che di ogni pezzo egli, semplice assemblatore, verificasse la qualità. Osservava che la rottura poteva dipendere dall’incidente; soggiungeva che la bicicletta, venduta alla ditta Selleri nel (OMISSIS), era stata usata dall’attore da circa un anno e mezzo, era stata revisionata dalla stesa ditta Selleri nell'(OMISSIS) e riconsegnata allo S. pochi giorni prima del fatto; l’accaduto poteva essere in relazione a una malaccorta manipolazione. Chiedeva un’indagine peritale. La ditta (OMISSIS) chiamata in causa rimaneva contumace.

La causa veniva istruita con la produzione del rapporto dei C.C. di (OMISSIS), l’interrogatorio libero delle parti, consulenza medica e di verifica del materiale. Con sentenza del 16 giugno 2001 il Tribunale, in composizione monocratica, in accoglimento della domanda, condannerà il M. al pagamento di L. 81.900.000, oltre rivalutazione monetaria e interessi dalla data del fatto; respingeva la domanda del convenuto nei confronti della terza chiamata e liquidava in L. 13.634.200 le spese dell’attore a carico del convenuto. M. lui proposto appello nei confronti delle altre parti; all’udienza del 8.10.2002 ha dichiarato di rinunciare all’appello nei confronti della società (OMISSIS). Con il primo motivo sostiene che l’unico passivamente legittimato era chi aveva venduto la bicicletta allo S., che comunque non vi era prova che da parte sua si fosse profilata una colpa, come richiesto dall’art. 2043 c.c., che l’evento fosse in relazione causale col preteso difetto della forcella e che il pezzo esaminato fosse proprio quello montato sulla bicicletta dello S.. Ben poteva essere astenuto che la forcella fosse stata stroncata dall’urto, conseguente a perdita di controllo del veicolo. La consulenza era inattendibile nell’affermare che la rottura era conseguita ad affaticamento del materiale piuttosto che ad altra causa, ignorando i diversi elementi raccolti dai Carabinieri. Con un secondo motivo censura la liquidazione dei danni biologico e morale, il secondo neppure spettante; nonchè del danno alla bicicletta, non dimostrato;

rivalutazione e interessi non potevano applicarsi alla liquidazione in valuta del tempo. Infine lamenta eccessiva e ingiustificata liquidazione delle spese di lite. L’appellato resiste”.

Con sentenza 29.4 – 10.10.2005 la Corte d’Appello di Bologna decideva come segue:

“… in parziale accoglimento dell’appello proposto da M.A. contro la sentenza 16/22 giugno 200 n. 688 del Tribunale di Forlì, esclude la rivalutazione monetaria sull’importo del risarcimento liquidato e dispone che gli interessi siano calcolati sull’importo devalutato secondo indici ISTAT dal giugno 2001 al dicembre 1988 e successivamente su quelli Como per anno rivalutati; dichiara compensate per un terzo le spese sostenute dallo S. in questo grado e condanna il M. a rimborsargli, per la restante quota, Euro 4.506,94, oltre i.v.a. e c.p.a”.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione M. A..

Ha resistito con controricorso S.G..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

M.A., con il primo motivo, denuncia “Sulla responsabilità Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.; violazione dell’art. 345 c.p.c. nel testo previgente; violazione dell’art. 2697 c.c., comma 1 anche in relazione alla violazione e a falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c.; falsa applicazione del D.P.R. n. 224 del 1988, art. 4; violazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c.;

violazione dell’art. 40 c.p. e falsa applicazione dell’art. 42 c.p.;

insufficiente, inadeguata e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dall’appellante e rilevabili d’ufficio – Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″ esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Non era stato dall’attore in causa dimostrato, nè che la bicicletta coinvolta nell’evento de quo fosse stata marcata ” M.” e cioè messa in vendita sul mercato dal convenuto-appellante, nè, per quanto più interessa, che il canotto passato all’esame del CTU, dopo ben 11 anni dal fatto, fosse appartenuto alla bicicletta coinvolta nel sinistro de quo. Non era stato dall’attore dimostrato che la sua caduta dalla bicicletta fosse avvenuta, come da lui in causa affermato (e precedentemente escluso), a seguito dell’improvvisa rottura del “canotto” piuttosto che a seguito di altra causa (sbandamento improvviso per fuoriuscita della catena come rilevato dai Carabinieri). Vanno considerate le dichiarazioni spontanee rese dall’infortunato ai Carabinieri verbalizzanti, aventi evidente valore contessono ed il rapporto dei Carabinieri che comunque avevano escluso la responsabilità di terzi.

L’affermata “impossibilità” che la rottura fosse stata determinata da violento urto della ruota anteriore, quella, appunto, corrispondente al canotto de quo, contro il cordolo del marciapiede, è priva di adeguato oggettivo supporto probatorio; inoltre dovevasi accertare se fosse stato provato da un lato, che il canotto dopo 11 anni portato all’esame del CTU fosse quello coinvolto nel sinistro de quo, dall’altro e comunque, che la “difettosità di fusione”, riscontrata all’esame metallurgico in sede di CTU, fosse stata la causa esclusiva, diretta e immediata della rottura senza che abbia avuto comunque incidenza, l’urto violento della ruota anteriore contro il cordolo del marciapiedi. Risultava, per di più, in causa acclarato che il canotto de quo, ove lo si fosse ritenuto appartenente alla bicicletta coinvolta nell’infortunio per cui è causa, era di fabbricazione della società (OMISSIS) “Des Tubes Excell” chiamata in causa, non costituitasi in prime cure ed in appello perchè fallita. La Corte territoriale ha affermato che il M. dovrebbe comunque rispondere del difetto del canotto stesso per il fatto che “sulla testata di attacco del canotto” vi sarebbe “la marcatura M.L.”. Ma l’affermazione della Corte del merito è priva di adeguato supporto probatorio e l’equiparazione del fabbricante al distributore (“fornitore”) del prodotto è prevista solo dal D.P.R. n. 224 del 1988 (art. 4) non regolante la fattispecie. Risultava in causa e, comunque, poteva e doveva essere accertato sulla scorta della prova testimoniale ofFerta dal convenuto e dalla Corte del merito totalmente obliterata, che la bicicletta coinvolta nell’evento de quo era stata dall’attore acquistata (usata) oltre due anni prima e quindi molto prima del (OMISSIS) e che il fabbricante del “canotto” rivelatisi difettoso in sede di CTU era stato individuato nella società (OMISSIS). Sono state obliterate dai Giudici del merito, le circostanze che la bicicletta era stata acquistata usata dall’attore, che prima di tale acquisto aveva circolato per qualche anno, che lo stesso attore l’aveva usata per oltre due anni prima dell’incidente de quo e aveva fatto effettuare interventi tali da non consentire di affermare, con la dovuta certezza giuridica, che il “canotto” coinvolto nel sinistro de quo fosse lo stesso di quello passato all’esame del CTU dopo 11 anni dal suo accadimento ((OMISSIS)).

Le doglianze sopra sintetizzate (e le numerose altre che non è stato possibile citare per brevità) non possono essere accolte.

Va anzitutto rilevato che debbono considerarsi inammissibili le doglianze consistenti (espressamente od implicitamente) nell’affermato travisamento di fatti; nel senso di inesatta percezione da parte dei giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo. Tali censure infatti, potrebbero eventualmente (ove ne sussistessero tutti i presupposti) costituire vizi revocatori denunciabili ex art. 395 c.p.c. ma non vizi denunciabili ritualmente in sede di ricorso per cassazione (cfr. tra le altre cass. Sentenza n. 17057 del 03/08/2007; e cass. Sentenza n. 2463 del 01/02/2008).

Quanto alla sopra affermata omessa o viziata considerazione di alcune risultanza istruttorie ed omessa ammissione di prove, si osserva: -A) che le tesi difensive sul punto sono inammissibili per violazione del principio di autosufficienza del ricorso in quanto non riportano ritualmente il contenuto delle risultanze processuali citate e dei capitoli di prova di cui sarebbe stata chiesta l’ammissione (cfr..

tra le altre Cass n. 14262 del 28/07/2004; cfr. Cass. a SEZ. U n. 9561 del 16/06/2003; Cass. Sentenza n. 4849 del 27/02/2009; in tema di prove non ammesse cfr. tra le altre cass. Sentenza n. 4391 del 26/02/2007); -B) che dette risultanze, nei limiti in cui è possibile valutarle sulla base delle predette insufficienti e quindi (come già esposto) irrituali citazioni, appaiono comunque anche prive del requisito della decisività.

Quanto agli asseriti vizi logici, occorre rilevare che “Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. S. U. n. 05802 del 11/06/1998; v. inoltre, tra le successive: Cass. 10406 del 29/05/2004, Cass. n. 08523 del 05/05/2004; e cass. n. 01025 del 22/01/2004); nella specie le doglianze, al di là della loro formale enunciazione, consistono in sostanza in una diversa valutazione in ordine alla scelta, all’interpretazione, all’attendibilità ed alla concludenza delle risultanze istruttorie idonee a chiarire i fatti in contestazione, e non costituiscono quindi rituali motivi di ricorso.

Le censure in questione debbono quindi ritenersi inammissibili.

Le doglianze residue sono prive di pregio in quanto la motivazione dell’impugnata decisione si sottrae ai sindacato di legittimità essendo sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia “Sul danno Violazione del combinato disposto degli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 c.c.; Falsa applicazione degli artt. 2057 e 2059 c.c., art. 2697 c.c., comma 1; violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.;

falsa applicazione del D.L. n. 857 del 1976, art. 4 e della Legge di Conversione n. 39 del 1977; falsa applicazione del R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403; inadeguata e insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalla parte appellante e rilevabili d’ufficio. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. I Giudicanti hanno liquidato il danno biologico da invalidità permanente (7,5%) facendo erroneo e violatorio ricorso al criterio tabellare previsto, per la determinazione del danno patrimoniale da invalidità permanente specifica, dal R.D. n. 1403 del 1922 computando il non dimostrato “valore punto d’invalidità” di L. 245.421 per il coefficiente 17,353 corrispondente all’età dell’attore e così, contro le basilari regole di diritto, soggettivamente ed immotivatamente quantificando il relativo danno in L. 34.209.148. La Corte del gravame ha omesso qualsiasi esame sulla relativa questione (art. 112 c.p.c.). Gli stessi Giudici del merito, sempre in ordine al danno biologico, hanno omesso di tenere conto del fatto che tanto il relativo danno da temporanea, quanto quello da permanente, non costituiscono voci diverse di risarcimento, ma sono entrambi parte del medesimo danno che sia pure valutato con riferimento anche alla inabilità temporanea deve avere una valutazione unitaria rispetto alla quale la liquidazione operata è totalmente ingiustificata. I Giudici del merito hanno erroneamente ed immotivatamente liquidato il danno morale, nonostante fosse nettamente escluso, nella presente fattispecie, un fatto-reato suscettibile di determinare, ex art. 2059 c.c. il danno stesso e nonostante che il M. non avesse fabbricato il prodotto causa dell’evento. L’importo richiesto dall’attore per spese di protesi dentaria (L. 23.000.000 circa) non doveva essere interamente liquidato perchè al debitore non compete di rimborsare spese assolutamente prive di qualsiasi adeguato collegamento con la lesione subita dal danneggiato. Altrettanto censurabile è la sentenza de qua in ordine al danno materiale (bicicletta) che dai Giudici del merito è stato liquidato in L. 1.500.000 senza la sussistenza di alcuna prova e con erroneo ricorso al criterio equitativo.

Il motivo non può essere accolto.

Tutte le doglianze non considerate Dell’impugnata sentenza sono inammissibili. Infatti, proprio in quanto non sono state prese in esame dalla Corte di merito, la parte ricorrente avrebbe dovuto indicare ritualmente se ed in quale atto, nonchè (per il principio di autosufficienza del ricorso; cfr. tra le altre Cass. n. 8960 del 18/04/2006; Cass. Sentenza n. 7767 del 29/03/2007; Cass. Sentenza n. 6807 del 21/03/2007; Cass. Sentenza n. 15952 del 17/07/2007) in che termini, le tesi medesime erano state sottoposte al giudizio del Giudice di secondo grado (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 20518 del 28/07/2008: “Ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, alfine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa”; cfr. anche Cass. N. 14590 del 2005). In difetto di dette precisazioni non rimane che dichiarare tale inammissibilità.

Le doglianze ulteriori sono prive di pregio in quanto la motivazione deve ritenersi sufficiente (specie se considerata alla luce delle sue parte implicite emergenti dal contesto della medesima), logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione (in effetti la liquidazione del danno morale nella fattispecie è giuridicamente corretta “… anche alla stregua dell’anteriore giurisprudenza …” come esplicitamente osserva la Corte; oltre che, comunque, alla stregua di quella successiva; cfr. le recenti Cass: Sentenza n. 4053 del 19/02/2009: “Il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 cod. civ. costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del cd.

danno morale soggettivo (e cioè della sofferenza contingente e del turbamento d’animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato), ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 cod. pen. e Cass. Sentenza n. 24044 del 13/11/2009).

Non rimane dunque che rigettare il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila Euro) per onorario oltre Euro 200,00 (duecento Euro) per spese vive ed oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010

 

 

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