Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12696 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 12/05/2021), n.12696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8830-2019 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PADRE SEMERIA

n. 68, presso lo studio dell’avvocato MARIA LUCE STEFANIA STASI,

rappresentato e difeso dall’avvocato UBALDO MACRI’;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 29/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 29.01.2019 il Tribunale di Lecce respingeva il ricorso proposto da M.M., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Lecce aveva rigettato la domanda del ricorrente volta al riconoscimento dello status di rifugiato ovvero alla concessione della protezione sussidiaria e/o umanitaria.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione di rigetto M.M., affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale non avrebbe adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria sullo stesso gravante.

La censura è inammissibile, sia perchè priva di specifica attinenza alla motivazione, sia perchè generica e comunque risolventesi in una istanza di riesame del merito.

Il ricorrente, infatti, non si confronta con la motivazione del decreto impugnato, nè indica in cosa si sarebbe concretata la violazione di legge denunciata. Nel motivo, infatti, vengono dedotte circostanze parzialmente difformi da quelle risultanti dalla lettura del provvedimento impugnato (in particolare, nel ricorso dichiara di essere (OMISSIS), mentre dal decreto risulta che aveva dichiarato di essere (OMISSIS); inoltre, nel ricorso si allega che la richiesta di offrire lui e la madre come vittime sacrificali sarebbe stato denunciato alle Autorità, peraltro senza precisare da chi, mentre dal decreto impugnato emerge che la denuncia non vi sarebbe stata) ed il ricorrente non si preoccupa di indicare in quale punto del processo di merito tali circostanze, appunto diverse da quelle risultanti dal decreto del Tribunale, sarebbero state allegate e dedotte.

Il provvedimento impugnato, peraltro, è sorretto da adeguata motivazione, in esito alla quale il giudice di merito ha ritenuto la storia personale del richiedente inattendibile. Tale motivazione, come detto, non è specificamente attinta della doglianza, nè censurata sotto il profilo dell’apparenza.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale, data l’assenza della videoregistrazione del procedimento svolto dinanzi alla Commissione Territoriale, avrebbe dovuto disporre l’udienza di comparizione delle parti.

La censura è inammissibile.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice di merito ha fissato l’udienza, durante la quale – come si evince dalla lettura del decreto (cfr. pag. 2) – vi è stata la discussione da parte del procuratore del richiedente. Come correttamente sottolineato dal Tribunale, infatti, in mancanza della videoregistrazione, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza di comparizione delle parti, ma non è obbligato a procedere ad una nuova audizione del richiedente “salvo che quest’ultimo non ne faccia espressa richiesta deducendo la necessità di specifici chiarimenti, correzioni e delucidazioni sulle dichiarazioni rese in sede amministrativa” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25439 del 11/11/2020, Rv. 659659). Nel caso di specie, non risulta che il richiedente abbia adempiuto a tale onere di allegazione, non avendo, dunque, diritto di essere nuovamente sentito solo in considerazione del fatto che non vi fosse la videoregistrazione.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente negato la sussistenza dei presupposti necessari ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

La censura è inammissibile.

Con riguardo al riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), il Tribunale ha adeguatamente motivato le ragioni che l’hanno indotto a ritenere non credibile il ricorrente (cfr. pag. 5 del decreto impugnato). Tale apprezzamento di fatto è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012. Al di fuori di tali limiti, la censura si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del Tribunale, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). In presenza di valutazione di non credibilità della storia riferita dal richiedente la protezione, non sussistono i presupposti nè per il riconoscimento dello status, nè per la concessione della protezione sussidiaria ai sensi del richiamato art. 14, lett. a) e b).

In relazione al mancato riconoscimento della protezione di cui alla lett. c) di detta disposizione, invece, si deve osservare che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Tribunale ha valutato la situazione esistente in (OMISSIS), ottemperando al dovere di cooperazione istruttoria sullo stesso gravante. In particolare, citando le fonti privilegiate sulla base delle quali ha fondato il proprio convincimento, il giudice di merito ha riconosciuto l’esistenza di precarie condizioni di sicurezza in alcune zone del Paese a causa dell’attività del gruppo terroristico (OMISSIS), specificando, tuttavia, che “… non può ritenersi l’area di provenienza del richiedente – (OMISSIS) – caratterizzata da un livello di conflittualità permanente e così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nella zona in questione, il concreto rischio della vita Il (cfr. pag.6 del decreto impugnato). Tale ratio decidendi non è specificamente attinta dal motivo, con il quale il ricorrente si limita a dolersi genericamente dell’omessa concessione della suddetta tutela, senza confrontarsi dunque con il contenuto della decisione impugnata.

Sul punto, va ribadito il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 21932 del 09/10/2020, Rv. 659234; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 22769 del 20/10/2020, Rv. 659276).

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale avrebbe omesso di considerare la situazione di vulnerabilità cui andrebbe incontro il ricorrente in caso di rimpatrio, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

Il giudice di merito ha correttamente valutato la condizione del ricorrente, non ravvisando alcun profilo di vulnerabilità tale da giustificare la concessione della tutela umanitaria. In particolare, il Tribunale, pur apprezzando la frequenza di corsi linguistici e l’attività lavorativa svolta, ha sottolineato che “… non sono stati rappresentati fattori soggettivi di vulnerabilità inerenti la mancanza, nel paese di origine, delle condizioni minime che garantiscano un’esistenza nella quale non risultino compromesse le possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili…” (cfr. pag. 7 del decreto impugnato). Il giudice di merito, dunque, alla luce di una comparazione tra le condizioni di vita in (OMISSIS) – dove si trova, peraltro, la madre del ricorrente – e il livello di integrazione in Italia, ha ritenuto che il rimpatrio non “… possa determinare la privazione dell’esercizio di un nucleo di diritti umani, costitutivo dello statuto di dignità personale”. Non si configura, quindi, alcun profilo di violazione di legge, avendo il Tribunale svolto la valutazione comparativa prevista dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero dell’Interno nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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