Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12694 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 12/05/2021), n.12694

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17664-2018 proposto da:

O.W., rappresentato e difeso dall’avv. ANDREA MAESTRI, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

04/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 04.05.2018 il Tribunale di Bologna respingeva il ricorso proposto da O.W., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Bologna, Sezione di Forlì Cesena, aveva rigettato la domanda del ricorrente volta al riconoscimento dello status di rifugiato ovvero alla concessione della protezione sussidiaria e/ó umanitaria. Il Tribunale, invero, riteneva non sussistenti i presupposti necessari per la concessione della tutela invocata.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione di rigetto O.W., affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 Cost., del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32 nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente negato la concessione della protezione sussidiaria, fondando tale decisione esclusivamente sul giudizio di non credibilità, senza considerare la situazione socio-politica esistente in (OMISSIS).

La censura è inammissibile.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Tribunale ha correttamente motivato il diniego della protezione sussidiaria, analizzando il quadro socio-politico della (OMISSIS) e citando fonti internazionali (cfr. pag. 6 del decreto impugnato). Ha poi concluso che la consultazione di tali fonti “…non evidenzia l’attuale esistenza in (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato idonea ad esporre la popolazione ad un grave pericolo per la vita o l’incolumità fisica… ad eccezione delle vicende legate all’estrazione del petrolio, rispetto alle quali il ricorrente è del tutto estraneo…” (cfr. pag. 6 del decreto impugnato). Allo scopo di contrastare tale passaggio della motivazione il ricorrente richiama diverse fonti internazionali, omettendo, tuttavia, di specificare il periodo temporale al quale esse si riferiscono. In tal modo, non consente a questa Corte di verificare che, se il giudice avesse tenuto conto di dette fonti alternative, l’esito della lite sarebbe stato diverso. Va, sul punto, ribadito il principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle c.d. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del c.d. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv.657062; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 21932 del 09/10/2020, Rv. 659234).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 nonchè dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale avrebbe omesso di considerare, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, le condizioni in cui versa la Libia, Paese nel quale il ricorrente medesimo era stato detenuto in carcere per un mese e tre settimane.

La censura è inammissibile, perchè formulata in termini assolutamente generici. Il ricorrente, infatti, deduce di esser stato detenuto in carcere per oltre un mese, senza specificare in che modo tale esperienza abbia effettivamente causato una situazione di vulnerabilità tale da esporto, in caso di rimpatrio, ad una grave lesione del nucleo inalienabile dei suoi diritti fondamentali. Come affermato da questa Corte, infatti, “Il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere accordato automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, ma solo se tali violenze per la loro gravità o per la durevolezza dei loro effetti abbiano reso il richiedente “vulnerabile” ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5; ne consegue che è onere del richiedente allegare e provare come e perchè le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile, non essendo sufficiente che in quell’area siano state commesse violazioni dei diritti umani” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 28781 del 16/02/2020, Rv. 659886; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13758 del 03/07/2020, Rv. 658092).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè il giudice di merito avrebbe omesso di tener conto della sua situazione personale, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, infatti, non si configura alcun profilo di omesso esame della condizione soggettiva del medesimo, avendo il Tribunale considerato la circostanza che “… il ricorrente risulta aver frequentato un corso per cameriere da sala; ha 40 anni; un figlio, padre e fratelli in (OMISSIS). In Italia non lavora… Non può ancora ritenersi che abbia raggiunto un significativo e serio inserimento sociale e lavorativo: Non ha riferito di problemi di salute…” (cfr. pag. 7 del decreto impugnato). Tale passaggio della motivazione del provvedimento impugnato, non specificamente attinto dal motivo, evidenzia che la condizione personale del richiedente la protezione è stata, nel suo complesso, esaminata e valutata dal Tribunale. Non è dunque vero quanto affermato dal ricorrente, ovverosia che il Tribunale avrebbe fatto automaticamente discendere dal giudizio di non credibilità il diniego della protezione umanitaria. In proposito, va ribadito il principio secondo cui “La proposizione, mediante ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi in un “non motivo”. L’esercizio del diritto di impugnazione, infatti, può considerarsi avvenuto ih modo idoneo solo qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, da considerarsi in concreto e dalle quali non possano prescindere, dovendosi pertanto considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che difetti di tali requisiti” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15517 del 21/07/2020, Rv. 658556). Pertanto, quando il motivo di ricorso contesta un percorso logico-motivazionale in effetti estraneo alla sentenza impugnata, esso non soddisfa neppure i requisiti basilari per l’idoneo esercizio del potere di impugnazione.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero dell’Interno nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

 

 

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